Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3144 del 09/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 09/02/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 09/02/2021), n.3144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI U.L.C. Giuseppe – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8776-2019 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO

32, presso lo studio dell’avvocato LOMBARDI WALTER, rappresentato e

difeso dall’avvocato GRIECO GABRIELE;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE REGINA MARGHERITA 294,

presso lo studio dell’avvocato VALLEFUOCO ANGELO, rappresentata e

difesa dall’avvocato BARTOLONI SAINT OMER PIERFILIPPO;

– controricorrente –

contro

S.R., T.G.S.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2027/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 05/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

M.F. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze in epigrafe indicata, con tre mezzi.

La Curatela del Fallimento della (OMISSIS) SRL ha replicato con controricorso. S.R., G.T. e S.G. sono rimasti intimati.

La controversia riguarda l’azione intentata dalla Curatela nei confronti degli amministratori di diritto e di fatto della società fallita per conseguire il risarcimento per danni cagionati alla massa dei creditori per violazione degli obblighi di legge sugli stessi gravanti. In primo grado M. (amministratore di diritto) e S.R. (amministratore di fatto) venivano condannati in solido al risarcimento di Euro 402.000=,00=, già attualizzata alla data della pronuncia, oltre interessi successivi; a seguito dell’appello proposto da M., in secondo grado la sentenza veniva riformata e la condanna risarcitoria veniva commisurata nella misura di Euro 349.608,00=, già attualizzata alla data della pronuncia, oltre interessi successivi.

Sono da ritenersi sussistenti i presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo, con il quale si denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c. nella formulazione antecedente alla riforma di cui al D.L. n. 83 del 22 giugno 2012, convertito in L. n. 134 del 7 agosto 2012, e dell’art. 24 Cost., è inammissibile.

Sotto un primo aspetto, il ricorrente si duole che la Corte di appello non abbia disposto la CTU – come sollecitato sin dal primo grado – per quantificare l’ammontare dei presunti danni da lui arrecati alla società, consulenza che – a suo dire – avrebbe potuto chiarire non solo l’ammontare dei danni, ma anche la reale esistenza di uno stato di decozione della società e la sua ascrivibilità all’operato dello stesso ricorrente.

Tale censura è inammissibile perchè la richiesta era già stata formulata in primo grado, alla stregua del motivo di ricorso e, quindi, la questione esorbita dall’applicazione dell’art. 345 c.p.c. (Cass. n. 7410 del 14/04/2016; conf. n. 11752 del 15/05/2018); inoltre la decisione di disporre o meno CTU costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito che va adeguatamente motivato e che, per tale ragione, può essere censurata sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 17399 del 01/09/2015) e non per violazione di legge, come nel caso.

Sotto un secondo profilo, il ricorrente estende la doglianza anche a dei documenti e sostiene che “Lo stesso ragionamento vale anche per i documenti che l’appellante ha depositato e che parimenti dovevano essere considerati indispensabili ai fini della decisione della causa” (fol. 10 del ricorso).

Anche in relazione a tale aspetto la censura è inammissibile perchè non illustra con la dovuta specificità di quali documenti si tratti e quando furono depositati, elementi necessari a vagliare la fondatezza o meno del motivo.

2. Il secondo motivo, con il quale si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio individuato nella mancata o errata valutazione della sentenza penale – sopravvenuta rispetto all’introduzione del giudizio di appello – con il quale il Tribunale di Firenze aveva assolto M.F. e S.R. dal reato di cui agli art. 216 L. Fall., nn. 1 e 2, artt. 223 e 219 L. Fall., è inammissibile.

Dal testo della decisione impugnata risulta evidente che la Corte territoriale ha esaminate detta sentenza penale, anche se non ne ha tratto le conclusioni auspicate dal ricorrente e la censura si limita a contestare l’approdo valutativo della Corte territoriale, senza indicare alcun fatto di cui sia stato omesso l’esame di guisa che la censura non risponde all’archetipo del vizio denunciato. Trova applicazione nel caso in esame il principio secondo il quale ” In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.” (Cass. n. 23940 del 12/10/2017; conf. a Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).

3. Il terzo motivo, con cui si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2476 c.c., nonchè dell’art. 146 L. Fall., è inammissibile.

Il ricorrente sostiene di non avere agito con colpa perchè non era stato in grado di partecipare alle attività sociali e di controllare l’operato di S.G., che era l’amministratore di fatto della società, a causa delle sue condizioni fisiche e psicologiche indotte da un grave incidente subito, e perchè appena le condizioni di salute glielo avevano consentito, aveva lasciato la carica; assume, inoltre, che non era così evidente la natura sospetta delle operazioni contestate dalla Curatela; infine sostiene che la condanna in solido avrebbe dovuto riguardare anche S.G., amministratore di fatto della società.

Il ricorrente, lungi dal contestare una violazione di legge, in realtà contesta l’accertamento dei fatti compiuto dalla Corte di appello e sollecita un riesame del merito funzionale alla qualificazione della sua condotta, sia circa la rilevanza delle sue condizioni di salute, sia in relazione alla posizione di S.G..

Va osservato in proposito che la prospettazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta mediante le risultanze di causa inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 195 del 11/1/2016,). Non può d’altro canto ritenersi sia stata ritualmente introdotta una censura di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, visto che l’istante nemmeno spiega quale sarebbe il fatto che il giudice del merito avrebbe omesso di esaminare: va qui rammentato che, ai fini della valida prospettazione della censura in questione, il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., n. 6, e art. 369 c.p.c., n. 4, deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, e che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. n. 8053 del 7/4/2014; Cass. Sez. U. n. 8054 del 7/4/2014).

Merita di essere, altresì, rammentato che la responsabilità dell’amministratore di fatto non implica l’esonero da responsabilità dell’amministratore di diritto.

4. In conclusione il ricorso principale va dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo in favore della parte costituita.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.000,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2021

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