Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3144 del 07/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 07/02/2017, (ud. 09/01/2017, dep.07/02/2017),  n. 3144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – rel. Presidente –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10077-2014 proposto da:

F.A., F.N., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA EDGARDO NEGRI, 67 presso lo studio dell’avvocato BENEDETTA

RUBBI, rappresentati e difesi dall’avvocato ENRICO FASCIONE giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA in persona del Procuratore Speciale Dott.

R.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO 3 presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GRAZIOSI, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

K.F.;

– intimata-

avverso la sentenza n. 290/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2017 dal Consigliere Dott. SPIRITO ANGELO;

udito l’Avvocato MARIA GABRIELLA SCORPIO per delega;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Firenze ha rigettato l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Pisa con cui era stata parzialmente accolta la domanda proposta da F.A. e F.N. nei confronti di K.F. e della Groupama Assicurazioni s.p.a. (già Gan Italia s.p.a.), avente ad oggetto il risarcimento del danno per perdita del rapporto parentale da loro sofferto in seguito al decesso del padre, F.A., avvenuto in occasione di un incidente stradale che aveva coinvolto la vettura condotta dalla K. ed assicurata con la Groupama, in cui la vittima viaggiava quale terzo trasportato.

La Corte di Appello, confermando la pronuncia del tribunale che aveva liquidato la somma di Euro 170.000 in favore di ciascuno dei danneggiati, ha rilevato che, contrariamente a quanto dedotto dagli appellanti, il giudice di prime cure aveva tenuto conto sia dello specifico rapporto di parentela intercorrente tra i superstiti e la vittima (avendo espressamente affermato di aver fatto applicazione delle tabelle milanesi per perdita del genitore) sia dell’età dei primi e della seconda (essendosi tenuto conto, per un verso, del fatto che i figli, di 23 e di 28 anni, erano ormai in età adulta; e, per altro verso, della circostanza che il genitore si trovava all’inizio della terza età, avendo 56 anni).

La Corte territoriale ha inoltre evidenziato che, pur in mancanza di specifiche offerte istruttorie in ordine all’intensità del vincolo affettivo nel caso concreto, e non ostante fosse incontroverso che non sussisteva un rapporto di convivenza tra la vittima e i prossimi congiunti, il Tribunale aveva attribuito a ciascuno di essi oltre 15.000 Euro in più rispetto al minimo tabellare, così soddisfacendo in pieno le esigenze di personalizzazione del danno.

La Corte di Appello ha infine condannato gli appellanti a rimborsare agli appellati le spese del giudizio, peraltro distinguendo, in sede di liquidazione delle stesse, il rapporto processuale facente capo alla K. (il cui impegno difensivo era stato assai modesto avendo essa dapprima dichiarato di rimettersi a giustizia e successivamente invocato il rigetto dell’appello senza spendere argomentazioni) da quello facente capo alla Groupama s.p.a., che aveva profuso un impegno difensivo di livello medio.

Propongono ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, F.A. e F.N.. Resiste con controricorso la Groupama assicurazioni s.p.a., la quale ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (“Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 3) in relazione agli artt. 350, 351 e 281 sexies c.p.c., – Nullità della sentenza o del procedimento per vitti di motivazione (art. 360, n. 4) – In particolare, errata e/o immotivata discussione orale del giudizio d’appello ex art. 281 sexies c.p.c.”) i ricorrenti deducono che alla prima udienza del giudizio di appello, fissata ai sensi dell’art. 350 c.p.c., poichè la Groupama aveva sollevato eccezione di improcedibilità dell’impugnazione, la Corte di Appello aveva assegnato termine ai soli appellanti per proporre le loro deduzioni al riguardo. Nel verbale di udienza, invece, si era dato atto che la discussione era stata rinviata ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., con termine per note, sicchè all’udienza successiva la causa era stata discussa e decisa nel merito.

Sostengono che, in mancanza di richiesta di una delle parti, la Corte non avrebbe potuto disporre la discussione orale dell’impugnazione, non versandosi nell’ipotesi di cui all’art. 351 c.p.c., (che, in sede di udienza fissata per delibare la richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata, consente al giudice di appello, se ritenga la causa matura per la decisione, di provvedere ai sensi dell’art. 281 sexies) ma nella diversa ipotesi di cui all’art. 350 c.p.c., la quale imporrebbe che la decisione avvenga secondo le modalità stabilite dal successivo art. 352, che subordina la discussione orale ad una duplice richiesta di parte, rivolta dapprima al collegio decidente e successivamente al presidente della Corte.

Il motivo è in parte inammissibile in parte infondato.

E’ inammissibile nella parte in cui censura la statuizione impugnata sotto il profilo del difetto di motivazione non ostante trovi applicazione ratione temporis la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito nella L. n. 134 del 2012, disposizione che si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello dell’entrata in vigore della legge di conversione, vale a dire dall’11 settembre 2012.

Il motivo, ancora, è inammissibile anche nella parte in cui, sebbene in maniera non del tutto esplicita, deduce la non corrispondenza tra l’attività processuale asseritamente compiuta nel corso della prima udienza del giudizio di appello (in cui, stante l’eccezione di improcedibilità del gravame sollevata da uno degli appellati, la Corte avrebbe concesso termine per dedurre sul punto agli appellanti) e la documentazione di questa attività contenuta nel relativo verbale (in cui era stato invece disposto rinvio per discussione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., con assegnazione alle parti del relativo termine per note).

E’ infatti evidente che l’eventuale falsità del verbale d’udienza, avente fede privilegiata, deve essere fatta valere mediante lo strumento impugnatorio della querela di falso e non mediante il ricorso per cassazione della sentenza emessa a conclusione del procedimento in cui quel verbale è stato formato.

Il motivo, infine, è invece infondato nella parte in cui ritiene violate le norme contenute negli artt. 350, 351 e 281 sexies c.p.c., sul rilievo che la disciplina contenuta nell’art. 352 c.p.c., a differenza di quella contenuta nel precedente art. 351, non consentirebbe al giudice di appello, in assenza della richiesta di parte, di disporre la discussione orale ai sensi dell’art. 281 sexies.

Tale rilievo è infatti inesatto in quanto non tiene conto che proprio l’art. 352 c.p.c., u.c., – introdotto dalla L. n. 183 del 2011, art. 27, efficace decorsi 30 giorni dalla data di entrata in vigore della medesima legge (pubblicata in GU n. 265/2001) e dunque pienamente applicabile, ratione temporis, nella presente fattispecie (e correttamente applicato dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata) – dispone che “quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’art. 281 sexies”.

2. Con il secondo motivo (“Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 3) in relazione agli artt. 163, 183 e 345 c.p.c., e art. 2697 c.c. – Nullità della sentenza o del procedimento per vizi della motivazione (art. 360, n. 4) – In particolare, errata valutazione delle prove ed errato rilievo di carenze istruttorie in presenza di fatti notori e/o pacifici non contestati”) i ricorrenti, riproponendo le censure già formulate dinanzi alla Corte di Appello, si dolgono dell’insufficiente liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, la quale sarebbe stata compiuta avuto esclusivo riguardo al dato negativo della mancanza del rapporto di convivenza tra loro e la vittima, senza tener conto nè della stretta relazione di parentela nè della loro età e di quella della vittima al momento del fatto dannoso.

La motivazione della Corte di merito, che ha confermato al riguardo la statuizione del tribunale, sarebbe incongrua in quanto avrebbe stigmatizzato la mancanza di specifiche indicazioni istruttorie in ordine all’intensità del vincolo affettivo nel caso concreto senza valorizzare le predette circostanze, da reputarsi pacifiche e incontroverse.

Questo motivo è inammissibile.

Per un verso infatti, esso, al pari del precedente, propone una censura della statuizione impugnata sotto il profilo del difetto di motivazione non ostante trovi applicazione ratione temporis la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Per altro verso, pur denunciando formalmente vizi di violazione di norme di diritto, contesta nella sostanza il giudizio espresso in ordine al quantum debeatur dalla Corte di Appello, la quale, tenendo conto di tutte le circostanze dedotte e provate nel caso concreto (ed in particolare di quelle richiamate dagli stessi ricorrenti ed attinenti alla considerazione dello specifico rapporto di parentela sussistente tra i congiunti e la vittima, nonchè alla valutazione dell’età dei primi e della seconda al momento del fatto) – e facendo corretta applicazione del principio di diritto ribadito da questa Corte, secondo cui la mancanza di convivenza non incide sulla sussistenza del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale allorchè il fatto illecito costituito dall’uccisione del congiunto colpisca soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, giacchè in queste ipotesi il danno medesimo è presunto (Cass. civ., Sez. 3, 14 giugno 2016, n. 12146, Rv. 640287; Cass. civ., Sez. 3, 16 marzo 2012, n. 4253, Rv. 621634) -, ha confermato la statuizione del tribunale che aveva liquidato il danno in parola in una misura comunque superiore al limite minimo previsto dalla tabella applicata.

Il motivo di ricorso, nell’invocare una liquidazione maggiore più vicina al limite massimo della suddetta tabella, tende dunque ad ottenere dalla Corte di legittimità una nuova valutazione delle risultanze istruttorie rispetto a quella (espressamente ritenuta “errata”) effettuata dal giudice di appello ed a suscitare, pertanto, inammissibilmente, un nuovo e diverso giudizio di merito.

3. Con il terzo (“Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360, n. 3) in relazione agli artt. 92 s. c.p.c. – Nullità della sentenza o del procedimento per vizi della motivazione (art. 360, n. 4) – In particolare, errata condanna alla refusione delle spese di lite”) e con il quarto motivo (“Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 3) in relazione agli artt. 345 e 352 c.p.c.. Nullità della sentenza o del procedimento per vizi della motivazione (art. 360, n. 4) – In particolare, inammissibile modifica delle conclusioni in grado di appello i ricorrenti si dolgono della condanna nelle spese contenuta nella sentenza di appello. Deducono che la Corte territoriale li avrebbe condannati a rimborsare le spese alle controparti senza tenere conto del fatto che una di queste ( K.F.) non aveva formulato istanza in tal senso, mentre l’altra (la Groupama s.p.a.) aveva sollevato un’inconferente e defatigatoria eccezione di improcedibilità dell’impugnazione che era stata pienamente rigettata.

Con particolare riguardo al rapporto processuale intercorso con K.F., deducono che essa nella comparsa di costituzione in appello aveva dichiarato di rimettersi a giustizia invocando la compensazione delle spese in caso di accoglimento dell’impugnazione e che solo successivamente aveva inammissibilmente modificato le conclusioni, chiedendo il rigetto del gravame con vittoria di spese.

Questi ultimi motivi, da esaminare congiuntamente in ragione della loro connessione, sono infondati.

La Corte territoriale ha infatti condannato gli appellanti al rimborso delle spese sostenute dagli appellati in applicazione del criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c.), correttamente escludendo che assumessero rilevanza, in contrario, tanto la circostanza che una delle parti vittoriose non avesse formulato istanza in tal senso quanto la circostanza che l’altra parte vittoriosa avesse sollevato un’eccezione pregiudiziale rivelatasi infondata.

Quest’ultima circostanza, infatti, non aveva determinato una situazione di soccombenza reciproca, attesa l’integrale reiezione del gravame (cfr. Cass. civ. Sez. 62, 2 settembre 2014, n. 18503, Rv. 632108; Cass. civ., Sez. 3, 5 aprile 2003, n. 5373, Rv. 561926), mentre la prima non precludeva l’emissione della condanna al pagamento delle spese, la quale non è subordinata all’istanza di parte ma segue legalmente il fatto obiettivo della soccombenza (Cass. civ., Sez. 6 – 2, 11 febbraio 2015, n. 2719, Rv. 634162, Cass. civ., Sez. 3, 29 settembre 2006, n. 21244, Rv. 593979).

Va inoltre evidenziato che il contegno processuale di K.F. (la quale dapprima si era rimessa a giustizia e successivamente aveva concluso per il rigetto dell’appello senza spendere argomentazioni), non è stato considerato dalla Corte territoriale in funzione dell’emissione della condanna degli appellanti al rimborso delle spese da lei anticipate, ma è stato valutato in favore degli appellanti medesimi, al fine di contenere la liquidazione dell’ammontare delle predette spese, avuto riguardo al modesto impegno difensivo della parte vittoriosa.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 – bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2017

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