Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31426 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 05/12/2018), n.31426

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MENGONI Enrico – Rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 18686/2012 proposto da

Company Bar s.a.s. di R.N. & C., e R.N.,

elettivamente domiciliati in Roma, via di Villa Massimo n. 33,

presso lo studio dell’Avv. Maurizio Benincasa, che li rappresenta e

difende – unitamente dall’Avv. Marco Pescarollo – come da nomina a

margine del ricorso;

– Ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– Controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 23 gennaio 2012, depositata il 17 aprile 2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 settembre 2018 dal consigliere Enrico Mengoni.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 17 aprile 2012, la Commissione tributaria regionale del Veneto accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e, per l’effetto, riformava la pronuncia emessa il 13 dicembre 2010 dalla Commissione tributaria provinciale di Treviso nei confronti della Company Bar s.a.s. di R.N. & C.; a giudizio del Collegio, la domanda di rimborso di credito IVA, presentata dalla contribuente, era stata correttamente rifiutata dall’Ufficio, non essendo stato utilizzato il modello (OMISSIS) nè rispettato il termine di decadenza biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.

Hanno proposto ricorso per cassazione la società e R.N. personalmente, a mezzo del proprio difensore, deducendo tre motivi. Ha proposto controricorso l’Agenzia delle Entrate, chiedendo il rigetto del gravame, risultando infondati i motivi.

I ricorrenti hanno presentato memoria, insistendo per la cassazione della sentenza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta fondato con riguardo al terzo motivo; doglianza con la quale, in particolare, si è contestata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, nonchè artt. 2969-2033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Ribadita la facoltà, in capo al contribuente, di scegliere tra la modalità di rimborso ordinaria (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30) e quella accelerata (stesso decreto, art. 38-bis), a giudizio dei ricorrenti errerebbe la sentenza laddove afferma che opererebbe il termine di decadenza biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, in uno con l’obbligo di impiegare il modello (OMISSIS). L’intervenuta cessazione dell’attività, infatti, imporrebbe la procedura di cui all’art. 30 citato, non anche quella – residuale e sussidiaria – di cui all’art. 21, ed eventuali errori dovrebbero esser corretti dall’Ufficio, in uno con il rimborso della somma indebitamente versata, salvo il limite temporale della prescrizione ordinaria decennale.

4. Al riguardo, ritiene opportuno la Corte, innanzitutto, richiamare i parametri normativi della materia, invero emersi come del tutto pacifici in ragione dell’originaria domanda proposta dalla contribuente; il riferimento, dunque, è al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 (Versamento di conguaglio e rimborso dell’eccedenza), nonchè all’art. 38-bis, stesso decreto (Esecuzione dei rimborsi), dai quali si ricavano caratteri, le forme ed i contenuti della dichiarazione proponenda.

In particolare, l’art. 38-bis citato stabilisce che i rimborsi previsti nell’art. 30 – ossia quelli dovuti per versamento di imposta in eccedenza – sono eseguiti, su richiesta fatta in sede di dichiarazione annuale, entro tre mesi dalla presentazione della dichiarazione e che sulle somme rimborsate si applicano gli interessi in ragione del 2 per cento annuo, con decorrenza dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, non computando il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni. Tanto richiamato, questa Sezione ha ripetutamente sostenuto che per la domanda di rimborso dell’eccedenza d’imposta è sufficiente la manifestazione di una volontà diretta all’ottenimento del rimborso mediante la compilazione nella dichiarazione annuale del quadro “(OMISSIS)”, anche se non accompagnata dalla presentazione del modello ministeriale “(OMISSIS)” (cfr. Cass. 9 ottobre 2015, n. 20255; Cass. 15 maggio 2015, n. 9941).

Ancora con indirizzo condiviso e qui da ribadire, questa Corte ha più volte affermato che, in tema di IVA, la domanda di rimborso relativa all’eccedenza di imposta risultata alla cessazione dell’attività di impresa è regolata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, comma 2, con la conseguenza che è esaustiva la manifestazione di una volontà diretta all’ottenimento del rimborso, ancorchè non accompagnata dalla presentazione del modello ministeriale “(OMISSIS)”, ed è soggetta al termine ordinario di prescrizione decennale, e non a quello di decadenza biennale, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 21, comma 2, applicabile solo in via sussidiaria e residuale (tra le altre, Sez. 5, n. 9941 del 15/5/2015, Rv. 635471).

10. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto, con assorbimento degli ulteriori motivi proposti, che attengono alla dedotta contraddittorietà dalla motivazione circa il termine di prescrizione del diritto al rimborso del credito IVA e obbligo di presentazione del modello VR in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ed ancora alla violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 2 e art. 38-bis.

Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata; decidendo nel merito, ed ancora in forza delle considerazioni tutte che precedono, deve dunque accogliersi il ricorso originariamente proposto, con vittoria di spese del giudizio di legittimità. Le spese concernenti il merito vanno compensate perchè l’orientamento di cui sopra si è consolidato successivamente alla proposizione del ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originariamente proposto. Compensa le spese del merito e condanna l’Agenzia delle Entrare al pagamento di quelle del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 1.800,00 per compensi, oltre 15% per spese forfettarie, IVA ed accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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