Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31424 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 05/12/2018), n.31424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27680-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici domicilia in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

MINGUZZI AUTO s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Vincenzi Antonio

come da procura speciale a margine del controricorso ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dall’avvocato Brancadoro

Gianluca in Roma, via Borgognona 4;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 69/12/2010 della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia-Romagna, depositata il 29 settembre 2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 settembre 2018 dal Consigliere Grasso Gianluca.

Fatto

RITENUTO

che la Minguzzi Auto s.r.l. impugnava un avviso d’accertamento, fondato su un’indagine fiscale eseguita dalla Polstrada di Bologna e dagli Uffici delle Dogane di Ravenna e Forlì, con il quale la contribuente era stata ritenuta compartecipe di una truffa “carosello” nella commercializzazione di autovetture importate dalla Germania e la dichiarazione ai fini Iva relativa all’anno 2002 era stata rettificata, richiedendo il pagamento dell’importo di Euro 808.656,00, a titolo di maggiore imposta, per avere la parte contribuente portato in detrazione detto importo attraverso l’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti;

che la Commissione tributaria provinciale di Ravenna accoglieva il ricorso;

che la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate ritenendo che la società non fosse a conoscenza dell’irregolarità delle operazioni contestate;

che l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

che resiste la contribuente con controricorso;

che in prossimità dell’udienza la controricorrente ha depositato una memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 633 del 1972, art. 19, comma 1, art. 54, comma 2, degli artt. 2697,2727,2728 e 2729 c.c., nonchè dei principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria. Secondo l’Amministrazione finanziaria, la pronuncia impugnata sarebbe erronea allorquando ha attribuito rilevanza alla ritenuta effettività dell’operazione intercorsa con la società cedente, evidenziando la circostanza che le fatture d’acquisto sarebbero state regolarmente registrate. Sotto tale profilo la pronuncia sarebbe erronea, sussistendo nel caso di specie un’operazione soggettivamente inesistente, riguardante un acquisto realmente effettuato ma da soggetti diversi da quelli che figurano nella documentazione contabile. L’inesistenza c.d. soggettiva, secondo l’Amministrazione, non viene meno quando l’oggetto della fatturazione sia una operazione effettivamente compiuta. Si contesta, inoltre, l’erroneità del rilievo della ritenuta mancanza di un beneficio che la società avrebbe conseguito dall’operazione. Al riguardo, secondo giurisprudenza comunitaria, qualora risulti acclarato, alla luce degli elementi oggettivi, che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode, lo si deve considerare partecipante indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni. Non rileva, infatti, la necessaria conoscenza dell’esistenza della frode, bensì la sua mera possibile conoscenza;

che con il terzo motivo ci si duole della motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dalla possibilità che la Minguzzi Auto s.r.l. conoscesse o potesse anche solo conoscere l’esistenza di un carosello fraudolento cui avrebbero partecipato le società da cui affermava di rifornirsi (Multicar s.r.l., Rupi s.r.l. e Lucars di G.G.). La sentenza della CTR sarebbe apoditticamente e insufficientemente motivata sul punto in contestazione, in quanto l’iter logico giuridico sulla base del quale si è ritenuto di ravvisare la mancanza della conoscenza del suddetto meccanismo sarebbe deficitario di ogni valutazione dei fatti specifici allegati dall’Amministrazione;

che il primo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente correlati, sono fondati;

che, preliminarmente, devono essere respinte le eccezioni di inammissibilità formulate dalla controricorrente in relazione al terzo motivo di ricorso riguardante il vizio di motivazione. Parte ricorrente ha infatti circostanziato le carenze motivazionali della pronuncia impugnata in relazione al fatto controverso e decisivo costituito dall’estraneità della società alla frode carosello (pagine da 44 a 58 del ricorso introduttivo), evidenziando le parti della motivazione ritenute insufficienti e apodittiche con riferimento all’assenza dei requisiti previsti dalla normativa vigente in materia di Iva allo scopo di escludere il diritto alla detrazione dell’imposta;

che puntuale, al riguardo, è stata la deduzione in ricorso di circostanze specifiche, emerse dal processo verbale di contestazione, che avrebbero dovuto indurre il giudice del gravame a fornire un’adeguata motivazione in ordine alla mera possibilità di conoscenza della frode realizzata dalla società da cui la contribuente affermava di rifornirsi (si considerino, tra le altre: l’impossibilità, per la Minguzzi Auto s.r.l., di fornire traccia dei passaggi che hanno condotto all’importazione, e dunque alla verifica della provenienza delle auto; il fatto che per l’anno 2002 la Multicar s.r.l. non ha effettuato acquisti intracomunitari mentre nella documentazione contenuta nelle pratiche di vendita e di immatricolazione delle auto sono stati rinvenuti alcuni fax relativi a conferma di fornitura inviati dalla Minguzzi alla Multicar in cui le auto vengono dettagliate; i tempi entro cui si svolgono le transazioni dal cedente europeo alla Minguzzi auto S.r.l. sono estremamente ristretti, essendo le date di emissione delle fatture comunitarie di acquisto delle auto in molti casi antecedenti di soli pochi giorni, se non addirittura coincidenti, alle cessioni nei confronti della Minguzzi Auto s.r.l.; la circostanza, ammessa dal rappresentante della società Minguzzi in sede di contraddittorio, di aver preso contatti con la Multicar s.r.l. per il tramite di un soggetto del quale non sono risultati all’anagrafe tributaria i reali rapporti con la Multicar s.r.l., dalla quale risultano acquistate autovetture per un ammontare di Euro 1.803.009,17, oltre Iva al 20%; la circostanza che l’altro fornitore della Minguzzi, la società Ru.pi. s.r.l., figurasse quale “prima cartiera filtro” all’interno di una frode carosello posta in essere dalle Società Roma Company s.r.l. e Ru.Pi. s.r.l., in cui ricopriva un ruolo determinante S.M. quale cogestore di fatto delle cartiere Ru.Pi. s.r.l.; l’esistenza di discrepanze tra i dati reperiti dalla Dogana di Forlì nel corso della verifica effettuata nei confronti della Ru.Pi. s.r.l., relativi alle auto vendute alla Minguzzi Auto S.r.l, da cui emergeva la mancata corrispondenza fra le fatture delle diverse società e della Minguzzi; la presenza di lettere di vettura internazionale che recano, sulla firma, il timbro della Minguzzi con conseguente movimentazione delle auto direttamente dal paese europeo di provenienza all’acquirente Minguzzi Auto s.r.l. che le riceve transitando solo cartolarmente attraverso le due società cartiere);

che non sussiste alcun profilo di inammissibilità rispetto alle deduzioni formulate nell’atto di appello, dirette a dimostrare la legittimità del recupero dell’Iva indebitamente detratta da ditte interposte che non hanno versato l’Iva e non hanno ottemperato agli obblighi fiscali;

che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema d’Iva, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base a elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (Cass. 18 maggio 2018, n. 12258; Cass. 9 settembre 2016, n. 17818; Cass. 5 dicembre 2014, n. 25778);

che ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

che, nel caso concreto, la pronuncia impugnata dà per accertata, sulla base della documentazione in atti, la frode compiuta dalle società cedenti, incentrandosi la motivazione sulla regolarità delle fatture d’acquisto, regolarmente registrate e sulla mancata dimostrazione di un diretto coinvolgimento del contribuente nella frode fiscale;

che, invero, la mera regolarità della documentazione contabile e l’effettivo pagamento delle fatture non costituiscono elementi dimostrativi idonei in ordine alla buona fede del contribuente, essendo del tutto compatibili con la possibilità che le fatture fossero relative ad operazioni soggettivamente inesistenti;

che in tema di Iva, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, indicando gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass. 15 maggio 2018, n. 11873; Cass. 5 dicembre 2017, n. 29002; Cass. 14 gennaio 2015, n. 428);

che l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza e alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

che, contrariamente a quanto sostenuto nella pronuncia impugnata, non è necessaria la prova del diretto coinvolgimento o della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

che, nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale, senza un’adeguata motivazione che consenta di comprendere l’iter logico posto alla base della pronuncia, ha escluso che la Minguzzi Auto s.r.l. fosse a conoscenza della fatturazione sottocosto delle autovetture acquistate, soffermandosi da un lato sulla regolarità delle scritture – circostanza non sufficiente a dimostrare la buona fede del contribuente – dall’altro sulla mancata dimostrazione di un diretto coinvolgimento nella frode fiscale, fatto che l’Amministrazione non è tenuta a dimostrare, essendo sufficiente l’esigibilità della conoscenza, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza e alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta. L’Amministrazione aveva invero specificamente evidenziato gli elementi e la documentazione da cui emergeva la sussistenza della frode – così come posto precedentemente in evidenza – circostanze che non sono state esaminate dalla pronuncia impugnata, che è incorsa nel vizio di motivazione denunciato;

che avendo l’Amministrazione finanziaria fornito idonei elementi probatori della natura di “cartiera” delle società collocate a monte della cessione – sulla base delle specifiche circostanze dedotte e riportate in ricorso – spettava alla società contribuente, che con tali società aveva intrattenuto rapporti commerciali, fornire la prova di aver svolto tali trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente;

che, a seguito dell’accoglimento del primo e del terzo motivo, resta assorbito il secondo motivo con cui si prospetta la violazione e falsa applicazione, da parte del giudice del gravame, dell’art. 654 c.p.p. e della L. n. 516 del 1982, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla qualificazione giuridica del decreto penale di archiviazione ex art. 408 c.p.p. e la presunta efficacia dello stesso, in qualità di giudicato, all’interno di un procedimento tributario collegato;

che, pertanto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale competente, anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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