Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31419 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2018, (ud. 07/06/2018, dep. 05/12/2018), n.31419

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11733/2011 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

TARANTO SVILUPPO SOCIETA’ CONSORTILE s.p.a. in liquidazione in

persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa giusta delega in atti dalla Prof. Avv. Livia Salvini e

dell’avv. Gabriele Escalar del foro di Roma con domicilio eletto

presso i difensori in Roma, viale Mazzini n. 11;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia, sez. staccata di Taranto n. 61 depositata l’11/03/2010, non

notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

7/6/2018 dal Consigliere Dott. Succio Roberto.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure in accoglimento dell’appello della società contribuente annullava l’avviso di accertamento impugnato quanto alla rettifica dell’IVA a credito, confermando nel resto;

– con tal atto l’Erario disconosceva il credito IVA per Euro 7.852,00 per l’anno 2003 derivante dagli acquisti di beni e servizi sostenuti nell’attività di prestazione di servizi resi a operatori economici dalla società contribuente, intermediario nella erogazione di fondi europei;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione l’avvocatura dello Stato per conto dell’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi. La società contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a due motivi, che illustra con memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione Finanziaria censura la sentenza impugnata denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il secondo giudice avrebbe violato e falsamente applicato la disposizione in esame, ritenendo che essa debba applicarsi in senso letterale, come negazione del credito in detrazione o accertamento del minor credito spettante, senza tradursi ciò in una richiesta di pagamento di imposta; nel caso di specie la CTR avrebbe quindi in concreto omesso di considerare che la società ha utilizzato quel credito, riportandolo a nuovo nell’esercizio successivo;

– con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate ricorrente denuncia l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere la CTR ritenuto, senza dar conto in modo adeguato delle ragioni che l’hanno indotta a tal decisione, che l’Ufficio avrebbe dovuto negare il credito di cui si è detto calcolando l’imposta dovuta sulle operazioni passive, da un lato, e dall’altro avrebbe richiesto il pagamento dell’imposta corrispondente al credito non spettante;

– entrambi i ridetti motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili per difetto di autosufficienza;

– va premesso che, come questa Corte ha chiarito, in caso analogo, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14315 del 26/09/2003) in tema di IVA, l’esercizio esclusivo di operazioni esenti da parte di un imprenditore comporta la totale indetraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti, atteso che, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 3 (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla sostituzione operata dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 313, art. 2), la riduzione proporzionale della detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti (cosiddetto “pro – rata”) non è limitata all’ipotesi in cui l’impresa compia congiuntamente operazioni esenti e non esenti, ma è applicabile – in tal caso nella misura del 100 per cento – anche quando l’impresa compia esclusivamente operazioni esenti;

– pertanto, in tal situazione è del tutto fisiologico che l’impresa indichi un credito IVA nella propria dichiarazione, come derivante dalla liquidazione dell’imposta in forza del principio sopra enunciato, che la pone in concreto – quale soggetto economicamente inciso dal tributo, contribuente di fatto – nella situazione in cui si troverebbe un consumatore finale, che subisce l’addebito dell’imposta senza potere esercitare il diritto alla detrazione non ponendo in essere, in questo caso, operazioni attive;

– questa Corte ritiene di dovere in argomento confermare quanto già statuito (Cass. Sez. 5, sentenza n. 14315 del 26/09/2003) secondo la quale a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi “solo nel caso che la società contribuente avesse avuto concretamente un debito di imposta, per avere effettuato operazioni attive imponibili, debito che sarebbe stato ridotto o annullato dalla utilizzazione del credito d’imposta maturato nell’anno precedente”;

– nel caso concreto, premesso quanto sopra, va rilevato che in concreto l’Agenzia delle Entrate non trascrive nel ricorso per cassazione quegli elementi dell’avviso di accertamento (segnatamente la determinazione delle operazioni IVA attive assoggettate ad IVA, diverse e ulteriori rispetto alle operazioni esenti, come derivante dalla compilazione dei dati della dichiarazione e dalla eventuale rettifica dell’Ufficio) idonei ad escludere l’applicabilità del principio già affermato da questa Corte nella pronuncia già citata, che qui si condivide;

– infatti, per quanto a pag. 63 e seguenti del controricorso sia trascritto l’avviso di accertamento impugnato, tale elemento in primo luogo non emerge, e secondariamente l’Amministrazione Finanziaria non ha, neppure in questa sede, specificato quali siano tali operazioni diverse da quelle esenti, e in quale sede ne sia stata indicata, dedotta e provata l’esistenza;

– la sopra rileva inammissibilità comporta il rigetto del ricorso;

– la società contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale articolato su due motivi;

– con il primo motivo di ricorso incidentale, la società eccepisce la mancata rilevazione del giudicato interno formatosi sulla questione della disapplicazione delle sanzioni, con violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– con il secondo motivo di ricorso incidentale, la contribuente in via di subordine censura la mancata rilevazione del giudicato interno formatosi sulla sopra esposta questione relativa alla disapplicazione delle sanzioni, in violazione dell’art. 2909 c.c., dell’art 324 c.p.c. in relazione entrambi all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– i due motivi possono trattarsi congiuntamente, stante la loro connessione, e risultano complessivamente inammissibili per carenza di soccombenza, dal momento che le frasi spese dal secondo giudice in motivazione, in punto sanzioni, non trovano corrispondenza nel dispositivo;

– l’esito del giudizio comporta la compensazione delle spese;

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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