Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31410 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2018, (ud. 07/11/2018, dep. 05/12/2018), n.31410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18428-2012 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALFRED MULSER giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA NORD SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA BETTOLO GIOVANNI 6, presso lo

studio dell’avvocato ULDERICO CAPOCASALE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DOMENICO LARATTA giusta delega a

margine;

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROV. DI BOLZANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 20/2012 della COMM. TRIBUTARIA 2^ GRADO di

BOLZANO, depositata il 30 aprile 2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07

novembre 2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERGIO DEL CORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato STIVALI per delega dell’Avvocato

MANZI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato MADDALO che si riporta al

controricorso e chiede l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.A. propone ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi, avverso la sentenza n. 20/1/12, depositata il 30 aprile 2012, con la quale la Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano ha respinto l’appello principale del contribuente, nonchè quello incidentale di Equitalia Trentino Alto Adige – Sudtirol s.p.a., e confermato la sentenza di primo grado, che aveva respinto il ricorso introduttivo avverso la cartella di pagamento di Euro 92.100,80 emessa a seguito di iscrizione a ruolo per il recupero dell’agevolazione sull’imposta di registro di cui alla L. n. 168 del 1982, art. 5, relativamente all’atto d’acquisto di metà indivisa di un fabbricato, sito nel centro storico del Comune di Castelrotto, che aveva scontato l’imposta in misura fissa, per piano di recupero, credito peraltro definitivamente accertato, con la sentenza n. 11/3/07, dalla medesima Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, mentre Equitalia Nord s.p.a. non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), non ricorrendo il caso di irreperibilità assoluta del destinatario, ma quello, diverso, di irreperibilità relativa, giacchè il giudice di appello ha ritenuto semplicemente irregolare la notifica della cartella di pagamento impugnata, benchè non effettuata dal messo notificatore con le modalità di cui all’art. 140 c.p.c.(deposito di copia, affissione di avviso di deposito, invio di raccomandata con avviso di ricevimento), come imposto dal fatto che il contribuente, sin dalla nascita, era anagraficamente residente a (OMISSIS), luogo del domicilio fiscale, stante la temporanea assenza dalla casa di abitazione al momento della notificazione.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c., giacchè il giudice di appello ha ritenuto valida la notifica della cartella di pagamento, nonostante il messo notificatore avesse omesso di affiggere sulla porta dell’abitazione del destinatario l’avviso di deposito del plico presso la casa comunale, e di inviare la raccomandata informativa.

Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., giacchè la sentenza impugnata ha omesso di motivare in ordine alla dedotta inesistenza della notifica in questione, stante il mancato invio della raccomandata informativa dell’avvenuto deposito nella casa comunale.

Col quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c., giacchè la sentenza ha ritenuto sanabili, trattandosi di mera irregolarità, i vizi del procedimento notificatorio, causa invece di inesistenza della notifica della cartella di pagamento, vizio non suscettibile di sanatoria.

Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, in ordine alle censure afferenti la dedotta inesistenza della notifica in questione.

Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di norme di diritto, giacchè la sentenza ha ritenuto esistente e valida la cartella di pagamento, nonostante i vizi della notificazione.

Le censure, scrutinabili congiuntamente, in quanto logicamente connesse, sono infondate e non meritano accoglimento.

Giova premettere che la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, nel sistema delineato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 c.p.c., quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perchè questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile (nell’irreperibilità relativa la impossibilità di consegna dell’atto è dovuta a mere difficoltà contingenti d’ordine materiale), mentre va effettuata secondo la disciplina di cui all’art. 60 cit., comma 1, lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perchè risulta trasferito in luogo sconosciuto, accertamento, questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel Comune dov’è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune (nell’irreperibilità assoluta il domicilio fiscale risulta oggettivamente inidoneo, per effetto della mancanza, nel Comune in cui deve essere eseguita la notificazione, dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del contribuente). Rispetto a tali principi, come ripetutamente osservato da questa Corte, “nulla ha innovato la sentenza della Corte Cost. 22 novembre 2012, n. 258, la quale nel dichiarare “in parte qua”, con pronuncia di natura “sostitutiva”, l’illegittimità costituzionale del terzo comma (corrispondente all’attualmente vigente comma 4) del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, ovvero la disposizione concernente il procedimento di notifica delle cartelle di pagamento, ha soltanto uniformato le modalità di svolgimento di detto procedimento a quelle già previste per la notificazione degli atti di accertamento, eliminando una diversità di disciplina che non appariva assistita da alcuna valida “ratio” giustificativa e non risultava in linea con il fondamentale principio posto dall’art. 3 Cost.” (Cass. 16696/2013, n. 5374/2015).

Ad avviso del ricorrente, nel caso di specie, vertendosi in una ipotesi di irreperibilità relativa, la modalità di notifica seguita dal messo notificatore, che ha applicato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), (il quale stabilisce che “La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguita secondo le norme stabilite dagli artt. 137 c.p.c. ss., con le seguenti modifiche: (…) e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 c.p.c., in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione”), non corrisponde al modello legale previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 4, secondo cui “Nei casi previsti dall’art. 140 del c.p.c., la notificazione della cartella di pagamento si effettua con le modalità stabilite dall’art. 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune”.

Va, tuttavia, ricordato il principio secondo cui l’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità, fatti salvi, quindi, “i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva omessa” (Cass. S.U. n. 14916 e n. 14917 del 2016, Cass. n. n. 21865/2016, n. 23968/2017).

Il vizio dedotto dal contribuente riguarda non la questione del mancato invio al destinatario dell’avviso di deposito mediante lettera raccomandata, incombente non previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. e), bensì quella – a monte – della legittimità dell’adozione, da parte del messo, del procedimento notificatorio previsto da detta norma, in luogo dell’integrale osservanza di quello di cui all’art. 140 c.p.c., questione la cui soluzione involge la valutazione, operata nella concreta fattispecie, della irreperibilità, assoluta o relativa, del destinatario della cartella di pagamento, avuto riguardo non solo alle risultanze anagrafiche di cui alla documentazione prodotta dal contribuente, ma anche alla valenza probatoria delle attestazioni del messo notificatore in relazione alle attività compiute.

Si tratta di profili che vanno ricondotti tutti nell’ambito della categoria della nullità dell’atto, vizio come tale sanabile, con efficacia ex tunc, per raggiungimento dello scopo, a seguito di tempestivo ricorso del contribuente, piuttosto che a quella della inesistenza giuridica, che non ammette alcuna possibilità di recupero dell’atto, non essendo evocabile l’art. 156 c.p.c., comma 3, in ossequio alla affermazione che “ciò che non esiste mai potrebbe raggiungere scopo alcuno” (Cass. n. 10671/2006).

E tali argomenti confortano appieno la conclusione cui è pervenuto il giudice di appello, atteso che la tempestività – profilo non contestato – dell’impugnazione della cartella di pagamento da parte del contribuente ha determinato la conseguente sanatoria della dedotta nullità della notificazione (v. anche Cass. n. 21865/2016, n. 384/2016, n. 14925/2011), regola applicabile anche alla cartella di pagamento, che non è atto processuale, ma atto della riscossione avente duplice natura di comunicazione dell’estratto di ruolo e di intimazione ad adempiere (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, comma 2), di contenuto corrispondente al titolo esecutivo e all’atto di precetto del processo di esecuzione disciplinati dal codice di rito (Cass. n. 384/2016, n. 4018/2007).

Non appare, pertanto, censurabile la sentenza della CTR nella parte in cui afferma che “la notificazione della cartella di pagamento non è nè inesistente nè nulla ed una sua irregolarità è comunque sanata dalla circostanza che il contribuente è venuto a conoscenza della cartella ed ha potuto difendersi dettagliatamente proponendo il ricorso ampiamente motivato alla Commissione tributaria di primo grado”, atteso che può ritenersi raggiunto lo scopo dell’atto, anche se il messo notificatore avesse eventualmente seguito, nell’ambito dello schema delineato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, “un modo di notificazione diverso da quello previsto”, omettendo le prescrizioni di cui all’art. 140 c.p.c., richieste in caso di destinatario solo temporaneamente irreperibile nel (noto) domicilio fiscale.

Con il settimo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’illegittimità della sentenza, perchè il giudice di appello non ha tenuto conto dell’obbligo di sottoscrizione degli atti giuridici, nonchè di quanto prescritto dalla L. n. 241 del 1990, art. 21. septies, ed ha superato il rilievo della assenza della firma in calce alla cartella di pagamento, sol perchè non sarebbe stata messa in discussione dal contribuente la provenienza dell’atto dall’ Agente della riscossione emittente.

Con l’ottavo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’illegittimità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., avendo il giudice di appello omesso di pronunciarsi in ordine all’obbligo dell’allora Equitalia Trentino Alto Adige – Sudtirol s.p.a. di dare attuazione alle direttive dell’Agenzia delle Entrate (Circolare 16/E del 2008), relativamente alle modalità di sottoscrizione degli atti impositivi.

Le suesposte censure, scrutinabili congiuntamente in quanto logicamente connesse, sono parimenti infondate e non meritano accoglimento.

Questa Corte ha chiarito che, “in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, quando non è in dubbio la riferibilità di questo all’Autorità da cui promana, giacchè l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge” (Cass. n. 21290/2018, n. 26053/2015, n. 13461 del 2012).

A norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, inoltre, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice (Cass. n. 25773/2014).

Nel caso di specie, come risulta evidenziato nella sentenza impugnata, non è posta in dubbio la riferibilità dell’atto alla Agente della riscossione da cui promana, nella specie, Equitalia Trentino Alto Adige – Sudtirol s.p.a., mentre è appena il caso di osservare una inammissibile sovrapposizione, da parte del ricorrente, della questione concernente la mancata sottoscrizione della cartella di pagamento, con quella della mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento, problematiche affatto diverse, atteso che il D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter (convertito dalla legge n. 31 del 2008), ha previsto la sanzione della nullità, in caso di omessa indicazione, soltanto in relazione alle cartelle di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, riferite ai ruoli consegnati a decorrere dal 1^ giugno 2008, norma ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 58 del 2009, profilo che, per quanto riportato nello stesso ricorso per cassazione, non risulta affatto dedotto nei gradi di merito in detti specifici termini, con riferimento al dato temporale innanzi ricordato.

Con il nono motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’illegittimità della sentenza impugnata, per violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3,L. n. 212 del 2000, art. 7, perchè il giudice di appello ha ritenuto insussistente l’obbligo di motivazione della cartella di pagamento, senza neppure chiarire se la stessa indica l’atto impositivo al quale la cartella impugnata fa riferimento.

Il motivo è inammissibile prima che infondato.

Giova, anzitutto, ricordare, in relazione al dedotto vizio motivazionale, che “in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo.” (Cass. n. 16147/2017, n. 9536/2013, n. 8312/2013), per cui la doglianza del contribuente, così come formulata, appare alquanto carente.

La sentenza impugnata, peraltro, è in linea con il principio, affermato da questa Corte, secondo cui “il difetto di motivazione della cartella esattoriale, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione senza indicarne i relativi estremi in modo esatto, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorchè la cartella sia stata impugnata dal contribuente, il quale abbia dimostrato, in tal modo, di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati” (Cass. n. 9778/2017, n. 18224/2018), e, nel caso di specie, il pregiudizio patito effettivamente dal ricorrente è enunciato genericamente, considerato che il giudice di prime cure aveva evidenziato come l’atto impugnato facesse riferimento “al nuovo ruolo emesso sub n. 215/09”, e che tanto bastava al riguardo.

Va, inoltre, ricordato che la cartella di pagamento poteva essere impugnata solo per vizi propri, essendo stato già definitivamente accertato il credito erariale verso il contribuente dalla Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, con la sentenza n. 11/3/07, per cui senz’altro agevole era la ricostruzione dell’operato dell’Ufficio, condizionato dall’esito del contenzioso riguardante sia gli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro ordinaria emessi nei confronti dei fratelli A. e S.N., acquirenti, ciascuno per la metà indivisa, del fabbricato sito nel Comune di Castelrotto, in forza di atto che aveva scontato l’imposta in misura fissa per il piano di recupero, sia le prime due cartelle esattoriali, le quali necessariamente limitavano anche la pretesa tributaria in riscossione, dovendo escludersi, peraltro, la posizione del coobbligato solidale.

Con il decimo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’illegittimità della sentenza impugnata, per violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, quest’ultimo recante di divieto della doppia imposizione, nonchè del principio di tipicità degli atti, perchè il giudice di appello ha ritenuto ammissibile la reiterata emissione della cartella di pagamento per il medesimo titolo, e con motivazione insufficiente e contraddittoria non ha adeguatamente spiegato per quali ragioni la cartella oggetto di impugnazione, la terza in ordine temporale, non dovesse rendere conoscibile la sorte delle cartelle precedenti, risultando sotto tale profilo priva di motivazione.

L’ultimo motivo è infondato e non merita accoglimento.

Come, infatti, ha affermato questa Corte, “il concessionario della riscossione può emettere una nuova cartella di pagamento, che sostituisca quella precedentemente notificata affetta da vizi che ne determinano la nullità, purchè non sia decorso il relativo termine di decadenza e non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato sul ricorso contro la prima cartella: in detta ipotesi, non è necessaria una motivazione dell’atto, in quanto avente il medesimo contenuto di quello precedente ed emanato allo scopo di reiterare la stessa pretesa impositiva.” (Cass. n. 8292/2018).

La cartella di pagamento notificata in precedenza rimane priva di effetto, e non sussiste un particolare obbligo di motivazione, posto che la successiva cartella esattoriale finisce per reiterare la medesima pretesa tributaria, ben nota alla parte privata.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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