Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31407 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 02/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 02/12/2019), n.31407

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31667/2018 R.G. proposto da:

I.M.T., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Pitaro,

con domicilio eletto in Roma, alla Via Ezio n. 24, presso l’avv. De

Filippo Scandurra.

– ricorrente –

contro

M.R.P., rappresentata e difesa dall’avv. Angelo

Corrado Terranova, con domicilio eletto in Roma, Via Monte Parioli

n. 49 presso l’avv. Elisabetta Vurro.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 650/2018,

depositata in data 31.3.2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

10.10.2019 dal Consigliere Dott. Fortunato Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.M.T. ha evocato in giudizio I.A. e I.V., deducendo di aver posseduto da oltre vent’anni l’appezzamento di terreno, con annesso fabbricato rurale, sito in contrada (OMISSIS), censito in catasto al foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS). Ha chiesto di dichiarare l’intervenuto acquisto del bene per usucapione ventennale.

Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’attuale resistente e proposta da quest’ultimo domanda di accertamento della piena proprietà dell’immobile in virtù della vendita del 2 giugno 1997, interrotto, inoltre, il giudizio a causa della morte di I.V., all’esito il tribunale ha disposto l’estromissione di I.A. e ha respinto la domanda di usucapione introdotta in via principale, sostenendo che l’attrice aveva posseduto il bene in virtù di un atto di concessione del proprietario, senza che fosse dimostrato il compimento di atti di interversione del possesso.

La sentenza è stata confermata in secondo grado.

A parere del Giudice distrettuale, il tribunale aveva correttamente stabilito che l’appellante si era limitata a esercitare una mera detenzione dell’immobile, ritenendo credibili, in merito, le dichiarazioni del teste Im.Al., nonostante i rapporti di coniugio con la precedente proprietaria I.A., rilevando inoltre che l’immobile controverso non ricadeva nella comunione legale.

La cassazione di questa sentenza è chiesta da I.M.T. sulla base di due motivi di ricorso.

M.R.P. ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 246 c.p.c. e art. 179 c.c., lett. f), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza illegittimamente ritenuto utilizzabili le deposizioni di Im.Al., coniuge di I.A., benchè questi fosse portatore di un proprio interesse alla lite.

Difatti i proventi della vendita del bene della moglie, a sua volta unica erede della comproprietaria I.V., erano confluiti nel patrimonio comune dei coniugi e l’esito sfavorevole della lite, comportando la restituzione del prezzo, avrebbe inciso sulla consistenza del patrimonio familiare in virtù di una specifica clausola contrattuale contenuta nella vendita del 2 giugno 1997.

I.A., in quanto titolare di un interesse personale al giudizio, era legittimato di intervenire in via adesiva nel giudizio e non poteva essere escusso come teste.

Il motivo è inammissibile.

La sentenza, oltre ad escludere la stessa sussistenza delle ragioni di incapacità del teste, ha rilevato che la relativa eccezione non era stata reiterata dopo l’assunzione della prova e non si era tradotta in un motivo di gravame, ritenendo la questione – sia pure per implicito – preclusa.

Tale statuizione esprime una ratio decidendi assolutamente preliminare – oltre che autonoma – rispetto alla sussistenza di un interesse qualificato del teste all’esito del giudizio e ad un motivo di incapacità a deporre- che era onere della ricorrente specificamente censurare già in secondo grado, per cui, in mancanza, il motivo deve dichiararsi inammissibile.

2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1141 e 1144 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo che la ricorrente aveva iniziato a possedere in modo pieno ed esclusivo l’immobile fin dagli anni ‘60, prima della data (1988-1989) in cui, secondo quanto dichiarato dal teste, le sarebbe stato concesso in godimento, per cui la tolleranza o comunque l’instaurazione del rapporto di detenzione non poteva incidere su un possesso già costituito, dovendo tenersi conto – ai fini dell’usucapione – del momento di inizio dell’esercizio del potere di fatto.

Il motivo è infondato per la decisiva considerazione che la Corte distrettuale ha escluso, con accertamento pertinente al merito, che sin dall’inizio la ricorrente avesse esercitato un possesso pieno, avendo osservato che le deposizioni dei testi non consentivano affatto di ritenere provato che fin dagli anni 60 il bene fosse stato posseduto o che il possesso fosse continuato per tutto il tempo necessario per l’usucapione in modo pieno ed esclusivo.

Ha inoltre osservato – con accertamento non oggetto di censura che la concessione in godimento valeva come interruzione del possesso o come rinuncia ad avvalersi dell’intervenuta usucapione. E’ comunque rimessa al giudice di merito l’indagine volta a stabilire, alla stregua delle prove acquisite al processo, se determinate attività siano idonee a concretare situazioni tutelabili in sede possessoria, o non lo siano, per essere dovute alla mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi o siano fondate su un titolo di natura personale (Cass. 50/1979; Cass. 2119/1973; Cass. 880/1972).

Tale accertamento non è censurabile per violazione di legge se non che per contestare le affermazioni in diritto che palesino un errore di sussunzione della fattispecie concreta in quella regolata dalla norma asseritamente violata, mentre, nello specifico, il ricorrente ha inteso in realtà confutare l’esito della valutazione delle prove compiuta dal giudice distrettuale, che è profilo scrutinabile solo per vizi di motivazione.

La violazione di legge postula – difatti – un errore di individuazione della norma applicabile o di riconduzione del caso concreto all’ipotesi contemplata dalla norma e non è invocabile per far emergere l’eventuale errata ricognizione della fattispecie concreta mediante l’apprezzamento delle risultanze di causa (Cass. 22912/2012; Cass. 18782/2005; Cass. 15499/2004; Cass. Cass. 11936/2003).

Il ricorso è in definitiva inammissibile, comportando l’aggravio delle spese processuali secondo soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificati, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2500,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificati, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 2 dicembre 2019

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