Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31406 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2018, (ud. 26/03/2018, dep. 05/12/2018), n.31406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 27976-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio

dell’Avvocato ALBERTO MAMMOLA, che lo rappresenta e difende giusta

procura speciale estesa in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 574/1/2010 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 29.9.2010, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26.3.2018 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale FEDERICO

SORRENTINO che ha concluso per il rigetto e, in subordine, per la

dichiarazione d’inammissibilità del ricorso principale, nonchè per

il rigetto del ricorso incidentale;

uditi per la ricorrente l’Avvocato dello Stato FABRIZIO URBANI NERI e

per la controricorrente l’Avvocato ALBERTO MAMMOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 29.9.2010 la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l’appello avverso la sentenza n. 19/23/2009 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva respinto il ricorso, proposto dal contribuente indicato in epigrafe, avverso l’avviso di accertamento IRPEF 2001, con cui l’Ufficio aveva rideterminato il suo reddito di partecipazione sulla base di altro accertamento, divenuto definitivo, emesso a carico della (OMISSIS) S.r.L. (successivamente dichiarata fallita), della quale il contribuente era socio al 30%.

Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato a cinque motivi.

Con il primo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 41, “vecchio” TUIRn. 917 del 1986, artt. 41 e 42, applicabili ratione temporis (oggi “nuovo” TUIR, artt. 44 e 45), nonchè dell’art. 2697 c.c.” per avere la CTR ritenuto non provata la pretesa impositiva “benchè la stessa si fondasse sulla legittima presunzione di distribuzione degli utili non dichiarati, definitivamente accertati in capo alla società, nei confronti del socio della stessa nella misura del 30%”.

Con il secondo motivo ha denunciato “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1913, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” laddove la CTR aveva ritenuto illegittimo l’accertamento nei confronti della società e da ciò aveva fatto conseguire l’illegittimità dell’accertamento del maggior reddito personale a carico del socio.

Con il terzo motivo ha denunciato “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” laddove la CTR aveva ritenuto che l’accertamento nei confronti della società fosse basato su presupposti di fatto assolutamente contrari a quanto constatato nel PVC, “quali in particolare l’omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie per l’anno 2001 e la mancanza di prove documentali fiscalmente valide dei costi”.

Con il quarto motivo ha denunciato ” violazione e falsa applicazione del D.P.R. d) n. 600 del 1973, artt. 39,40, nonchè del “vecchio” TUIRn. 917 del 1986, artt. 41 e 42, applicabili ratione temporis e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), laddove la CTR aveva affermato l’illegittimità dell’avviso di accertamento “anche per vizi propri”, ritenendo non imputabile al socio il maggiore reddito “in assenza di accertamento di maggiori ricavi non contabilizzati e/o di costi relativi a prestazioni inesistenti”.

Con il quinto motivo ha denunciato “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” laddove la CTR aveva affermato che a carico della società il maggior reddito era stato accertato per effetto del disconoscimento di costi.

Il contribuente si è costituito con controricorso, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso principale ed ha proposto ricorso incidentale, lamentando “violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, (Statuto dei Contribuenti) ed D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, – art. 360 c.p.c., n. 3 e contraddittorietà della motivazione in relazione ad un punto decisivo e controverso – art. 360 c.p.c., n. 5” laddove la CTR aveva respinto l’eccezione del contribuente circa il difetto di motivazione dell’atto impugnato per non aver egli potuto esercitare il proprio diritto di difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Preliminarmente va esaminato il ricorso incidentale, con il quale il contribuente ha lamentato il mancato rilievo, da parte della CTR, del difetto di motivazione dell’atto impugnato, non avendo l’Ufficio assolto all’onere di allegare il p.v.c. relativo alla società accertata, richiamato nell’avviso di accertamento nei confronti di quest’ultima, da cui è scaturito anche l’accertamento nei confronti del ricorrente.

1.2. La censura in esame è infondata, ancorchè per ragioni parzialmente diverse da quella indicate dalla CTR (secondo cui risultava necessaria l’allegazione del p.v.c. della G.d.F. in quanto notificato al solo Curatore della società e non riprodotto nei suoi contenuti essenziali nell’avviso di accertamento notificato alla società ed al socio), la cui motivazione sul punto va corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.; l’atto impositivo nei confronti della società, divenuto definitivo in quanto non impugnato, era, infatti, nella sfera di conoscenza del contribuente, che ha potuto quindi esercitare il proprio diritto di difesa – come peraltro correttamente evidenziato anche dalla CTR – atteso che il p.v.c. era stato notificato al Curatore della società (nelle more oggetto di dichiarazione di fallimento) e che il ricorrente, in quanto parte della sua compagine societaria, aveva la possibilità di consultare la relativa documentazione e di prendere visione anche del p.v.c. alla base dell’accertamento presupposto ed in esso richiamato

1.3. Viene al riguardo in rilievo l’insegnamento, espresso dalla Corte regolatrice, in base al quale l’onere dell’Ufficio di porre in grado il contribuente, attraverso la motivazione dell’atto impositivo, di conoscere le ragioni della pretesa tributaria può essere assolto per relationem mediante il riferimento a elementi offerti da altri documenti in possesso o comunque conosciuti o agevolmente conoscibili dal contribuente (cfr. Cass. n. 28060/2017, 12394/2002), come il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, consegnato, nella specie, al Curatore della società di capitali a ristretta base sociale, della quale il contribuente era socio.

1.4. Sul punto si osserva, infatti, che sussiste, per i soggetti interessati alla consultazione degli atti inseriti nel fascicolo fallimentare, il diritto di consultare il fascicolo in questione previa presentazione di una specifica istanza, formulata in modo da consentire l’identificazione dell’istante e degli atti che si intendono visionare, e sottoposta a preventiva verifica da parte del Giudice delegato (cfr. con riguardo alle disposizioni della L. Fall. vigenti ratione temporis Cass. nn. 12890/1998, 9617/1993), al che consegue che il ricorrente aveva il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione non solo dell’accertamento presupposto, ma anche dei suoi documenti giustificativi.

2.1. A seguire, è fondato il primo motivo del ricorso principale, con cui si denuncia violazione di legge (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3 e art. 2697 c.c.), dovendosi considerare operativa la presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati in capo ai soci.

2.2. Va data continuità al consolidato orientamento di questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, secondo cui, nel caso di società di capitali a ristretta base sociale, come nella specie, perchè possa operare la presunzione di distribuzione al socio degli utili extracontabili occorre, fra l’altro, che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi (cfr. Cass. n. 20870/2010; Cass. n. 9519 del 2009; v. anche Cass. n. 18640 del 2008 e Cass. 10438/2011; Cass. n. 9711/2015, Cass. n.9341/2015; Cass. n. 8763/2015).

2.3. Ciò non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza dei maggiori redditi della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, la quale implica, normalmente, un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, nonchè un elevato grado, da parte loro, di compartecipazione e di conoscenza degli affari sociali; resta salva la facoltà del socio di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società o da essa reinvestiti (cfr. ex multis Cass. nn. 24572/2014, 18032/2013, 5076/2011, 6780/2003, 18640/2008).

2.4. Nella specie, incontestato che l’accertamento a carico della società era divenuto definitivo per mancata impugnazione, la C.T.R., ritenendo insussistente detta presunzione e postulando la possibilità per il socio di “contestare nel merito anche l’accertamento emesso a carico della società pur se definitivo”, sancendo altresì l’illegittimità dell’accertamento a carico della società, non si è evidentemente conformata a tali principi, i quali al contrario sono chiari nel senso che a fondare l’accertamento può essere da sola sufficiente anche la detta presunzione, salvo prova contraria a carico del contribuente, che nella specie non risulta neppure offerta.

3. Restano assorbiti il secondo ed il terzo motivo, presupponendo entrambi, come dedotto dalla stessa ricorrente, che, nella specie, fosse “ammissibile per il socio proporre ragioni di doglianza avverso l’avviso di accertamento nei confronti della società”.

4.1. Il quarto ed il quinto motivo devono ritenersi parimenti assorbiti in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, atteso che hanno ad oggetto censure circa le affermazioni della CTR in merito alla ritenuta inapplicabilità dell’imputazione al socio del maggior reddito in assenza di accertamento, nei confronti della società, di maggiori ricavi non contabilizzati e/o di costi relativi a prestazioni inesistenti.

4.2. Non era invero consentito alla CTR, con riguardo alla rettifica del reddito del socio, procedere ad esaminare l’atto impositivo nei confronti della società per contestare “l’assenza di un accertamento di maggiori ricavi non contabilizzati e/o di costi relativi a prestazioni inesistenti” nonostante l’accertamento di “un maggior reddito alla società per effetto del disconoscimento…(di)… costi”, trattandosi non di “vizi propri” dell’atto nei confronti del socio, ma di censure parimenti rivolte verso l’atto nei confronti della società, già divenuto incontestabile.

5. Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso principale va accolto con riferimento al primo motivo del ricorso, assorbiti i restanti motivi, e il ricorso incidentale deve essere rigettato; la sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, perchè si conformi ai superiori principi e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti i restanti motivi e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, il 26 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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