Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31404 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 02/12/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 02/12/2019), n.31404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22675/2018 R.G. proposto da:

F.G., rappresentato e difeso da sè stesso, con

domicilio in San Bonifacio, Corso Venezia n. 112/D.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t.,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12.

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Verona, depositata in data

11.1.2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

4.7.2019 dal Consigliere Dott. Fortunato Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Verona ha respinto l’opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, proposta dall’avv. F., avverso il decreto con cui gli era stato liquidato il compenso per il patrocinio svolto in favore di V.P..

L’opponente aveva dedotto di aver svolto le attività stragiudiziali ed avviato il procedimento di mediazione, di aver inoltre instaurato un giudizio per il risarcimento del danno, conclusosi con conciliazione giudiziale dopo lo svolgimento di varie udienze.

Il compenso era stato liquidato in Euro 505,25, oltre accessori, in applicazione dei minimi tabellari, tenuto conto dell’importo riconosciuto in sede di conciliazione (Euro 6300,00).

Nel confermare il decreto di liquidazione, il tribunale ha osservato che non erano stati prodotti gli atti del giudizio e che non vi era alcun elemento per verificare l’incongruità dell’applicazione dei minimi, rilevando inoltre che non era stato chiesto il compenso per la mediazione.

La cassazione dell’ordinanza è chiesta dall’avv. F. sulla base di tre motivi di ricorso, illustrati con memoria.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che il tribunale non abbia pronunciato sul motivo di opposizione con cui era stata denunciata l’errata applicazione dei minimi tabellari.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2233 c.c., D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82 e D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, sostenendo che il tribunale avrebbe omesso di pronunciare sul motivo di opposizione volto a censurare il difetto assoluto di motivazione quanto alla quantificazione del compenso nei valori minimi.

Il terzo motivo denuncia la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 130, per aver il tribunale omesso di indicare i parametri utilizzati per la liquidazione, pervenendo ad una quantificazione inferiore ai minimi. I tre motivi, che possono essere esaminasti congiuntamente, sono infondati.

Le censure pur invocando la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, prospettano – in primo luogo – un’omissione di pronuncia sui motivi di opposizione, riconducibile all’errata applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Tuttavia, anche nel regime processuale risultante dalle modiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, la suddetta violazione non integra la mancata valutazione di un fatto oggettivo, principale o secondario, ma pertiene alla specifica domanda introdotta in giudizio, oggetto di esame da parte del giudice dell’opposizione e ciò anche considerando che detta opposizione non sostanzia un rimedio impugnatorio, ma apre una fase del giudizio a cognizione piena, conferendo al giudice il potere di riesaminare integralmente il provvedimento di liquidazione (Cass. 1470/2018; Cass. s.u. 8516/2012).

In ogni caso non è ravvisabile alcun difetto di motivazione nè un’omissione di pronuncia, avendo la sentenza dato atto – con statuizione non impugnata e con argomentazione che, per quanto sintetica, appare logica, non contraddittoria e pienamente intellegibile – che il ricorrente non aveva prodotto gli atti di causa, impedendo di procedere ad una diversa e maggiore quantificazione del compenso.

Non era quindi possibile emendare il decreto di liquidazione tanto più che neppure in ricorso risultano evidenziate circostanze decisive, già dedotte nel giudizio di opposizione, che avrebbero dovuto indurre il tribunale a riformare la prima pronuncia.

1.2. La decisione non è inoltre censurabile per essersi discostata dai valori medi: la disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82, che impone di liquidare l’onorario e le spese al difensore in modo che l’importo non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, va interpretata nel senso che la media dei valori tariffari funge da limite massimo, ma non nel senso che la liquidazione debba avvenire necessariamente secondo la media delle tariffe, potendo il compenso essere liquidato anche in misura inferiore alla media, purchè nel rispetto dei valori minimi (Cass. 26643/2011).

Il tribunale ha inoltre confermato il decreto che aveva liquidato i compensi per le sole attività documentate e quindi ha tenuto ferma la precedente liquidazione per fasi, mentre, riguardo all’istruttoria, il ricorso non indica dove e quando, nel giudizio di merito, avesse dedotto di aver svolto e provato eventuali attività istruttorie, posto che – come affermato dal giudice di merito – non erano stati acquisiti gli atti del processo, essendo irrilevante che, come asserito nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., nessuna contestazione sia stata sollevata in sede di legittimità dall’amministrazione resistente.

Quanto alle attività esitate nella conciliazione, è sufficiente osservare che il quantum complessivamente liquidato (Euro 505,25) ascende ad un importo non inferiore ai minimi tabellari in relazione alle fasi e alle attività che il giudice di merito ha ritenuto effettivamente espletate ed è quindi conforme ai criteri richiamati nel provvedimento impugnato, tenuto però conto della riduzione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130, applicata ai suddetti valori minimi sulla base della somma ottenuta dalla parte a titolo di risarcimento del danno (Euro 6300,00).

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare atto che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 800,00 per esborsi oltre alle spese prenotate a debito.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 2 dicembre 2019

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