Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31401 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2018, (ud. 26/03/2018, dep. 05/12/2018), n.31401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2197/2011 R.G. proposto da:

Caseificio F. di F.C. & C s.n.c., in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, come

da procura speciale in calce al presente ricorso, dall’Avv. Domenico

D’Arrigo, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Giuseppe Ramadori, in Roma, Via M. Prestinari, n. 13;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia n.

297/2009 depositata il 9-12-2009.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 marzo 2018

dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi;

udito I’ Avv. Domenico D’Arrigo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Sorrentino Federico, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate procedeva al recupero di maggiore Irpeg (Euro 74.666.000) e Ilor (Euro 32.692.000) relative all’anno 1995 nei confronti della società Caseificio F. di F. Carlino & C s.n.c., evidenziando che dai processi verbali di constatazione della Guardia di Finanza n. (OMISSIS) del 4-5-2000 e n. (OMISSIS) del 16-10-2000 era emerso che la società aveva annotato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, con deduzione di costi per Lire 76.249.000 e per Lire 125.548.000, che i costi quindi erano privi del requisito di certezza per la somma complessiva di Lire 201.799.000. In particolare si evidenziava che il contratto di soccida stipulato tra gli allevatori bresciani (soccidari), i quali avevano superato la quota-latte loro spettante, e la Via Lattea s.p.a. (soccidante), che aveva invece ancora una quota latte in eccedenza, era simulato, sicchè le fatture di acquisto del latte da parte della contribuente F. erano state emesse nei confronti di un soggetto (soccidante) che non aveva effettivamente posto in essere l’operazione commerciale, essendo il latte prodotto in realtà sempre dalla soccidaria (allevatori bresciani).

2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso.

3. La Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava la sentenza impugnata, rilevando che sussistevano presunzioni gravi, precisi e concordanti sulle quali era stato fondato l’accertamento, che la Via Lattea s.p.a. non aveva mai operato come latteria, ma si era limitata a fungere da “apparente soccidante” nei confronti dei diversi allevatori lombardi, così interponendosi nel conferimento del latte al caseificio F., che, infatti, le somme relative alla vendite alla F. erano state riversate per intero ai produttori agricoli (apparenti soccidari), fatta eccezione per una quota trattenuta a compenso delle quote latte dalla soccidante Via Lattea s.p.a., messe a disposizioni degli allevatori “con tale artificio”.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione la Società Caseificio F. s.n.c..

5. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “violazione dell’art. 2909 c.c.ex art. 360 n. 3 c.p.c.”, in quanto gli stessi fatti di cui al presente giudizio sono stati contestati anche alla Via Lattea s.p.a. ed i giudizi instaurati per le varie annualità si sono conclusi con le sentenze della Suprema Corte n. 20029/2010, 20030/2010, 20031/2010 e 20543/2010, tutte depositate il 22-9-2010, sussistendo il “giudicato riflesso”, in quanto non aveva partecipato al giudizio la società F.. In particolare nella sentenza 20029/2010, con riferimento all’Irpeg ed all’Ilor dell’anno 1995, come pure nella sentenza 20543/2010 emessa per lo stesso anno ai fini Iva, la Suprema Corte ha ritenuto che il contratto di soccida tra gli allevatori bresciani e la Via Lattea s.p.a. non era simulato e non erano “illeciti ai fini fiscali” e le fatture emesse dalla Via Lattea s.p.a. nei confronti dei propri clienti non sono relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.

1.1.Tale motivo è fondato, ma limitatamente alla posizione processuale della Via Lattea s.p.a., con esclusione della Olona s.s., che non ha partecipato ad alcuno dei giudizi di cui alle sentenza di legittimità indicate nel ricorso per Cassazione.

1.2. Con riferimento deduzione dell’efficacia “riflessa” della sentenza pronunciata tra la Via Lattea e l’Agenzia delle entrate, in altro giudizio, ai sensi dell’art. 2909 c.c., per la Suprema Corte l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non estende i suoi effetti, nè è vincolante, nei confronti dei terzi ma, quale affermazione obiettiva di verità, è idoneo a spiegare efficacia riflessa verso soggetti estranei al rapporto processuale semprechè il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile, in tale evenienza, che egli, salvo diversa ed espressa indicazione normativa, ne possa ricevere pregiudizio giuridico o possa avvalersene a fondamento della sua pretesa (Cass. Civ., sez. 5, 17 maggio 2017, n. 12252; Cass. Civ., sez. 5, 3 marzo 2017, n. 5403; in tema di diritti reale vedi Cass. Civ., sez.6, 8 ottobre 2013, n. 22908; Cass. Civ., 11 marzo 2005, n. 5381).

Nella specie, con la sentenza n. 20029 del 22-9-2010 della Suprema Corte, nella controversia tra l’Agenzia delle entrate e la Via Lattea s.p.a., in relazione all’anno 1995, si è ritenuto che il rapporto contrattuale di soccida tra la (apparente) soccidante (Via Lattea s.p.a.), che poteva beneficiare di quote latte in eccedenza, ed gli (apparenti) soccidari (allevatori bresciani), che invece avevano esaurito il proprio plafond di quote latte, non era in alcun simulato. La Commissione tributaria regionale aveva accertato l’inesistenza della simulazione e la Cassazione ha ritenuto inammissibili le censure avanzate dalla Agenzia delle entrate avverso tale pronuncia. In particolare, si legge in motivazione che “nel caso in esame, la parte erariale, ha opportunamente segnalato la deviazione dallo schema tradizionale della soccida, quale contratto associativo agrario…perchè il bestiame è solo formalmente apportato dal soccidante; mentre il contributo effettivo che questi conferisce nell’affare è la disponibilità della propria “quota” di produzione di latte”. Si aggiunge, poi, che “nulla viene specificamente dedotto nè documentato dall’Agenzia in ordine al vantaggio fiscale che sarebbe derivato alla società “accertata” dalla descritta manipolazione degli schemi contrattuali classici; mentre è pacifico tra le parti che la stessa sia stata adottata al fine economico/amministrativo di giustificare la diversa allocazione della produzione, onde evitare il prelievo comunitario (gravante sul produttore/soccidario, in caso di sforamento della sua quota). La parte erariale ha esclusivamente dedotto la scarsa economicità dell’operazione per il soccidante e l’inadeguata prova della inerenza dei costi verso il soccidario oggetto di deduzione, ma si tratta di elementi che trovano fondamento nelle pattuizioni contrattuali, la cui abusività ai fini fiscali non stata…specificamente dedotta nè asseverata in forza di altri elementi, nè corroborata dall’accertamento di vantaggi fiscali abusivi da parte degli allevatori soccidari”). Le medesime argomentazioni si rinvengono nella sentenza della Cassazione n. 20543 del 1 ottobre 2010, nella controversia sempre tra l’Agenzia delle entrate e la Via Lattea s.p.a., in relazione all’anno 1995, ma in tema di Iva, in quanto l’avviso di accertamento nei confronti della Via Lattea s.p.a. si fondava sul presupposto che tale società avesse simulato la conclusione di contratti di soccida con diversi allevatori per eludere le limitazioni imposte dalla normativa comunitaria in tema di quote latte, con conseguente evasione a causa delle differenti aliquote applicate.

Pertanto, una volta accertato con efficacia di giudicato che, per l’anno 1995, il contratto di soccida concluso tra la Via Lattea s.p.a. (soccidante) e gli allevatori bresciani (soccidari) non era simulato, i costi sostenuti dalla Società F. s.n.c. per l’acquisto del latte dalla Via Lattea s.p.a. devono essere ritenuti come certi ed effettivi e non relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, quindi legittimamente deducibili.

1.3. Diversamente, con riferimento alle fatture emesse dalla Olona s.s., ed ai corrispondenti costi sostenuti dalla F. s.n.c., non sussiste alcun giudicato, neppure riflesso, non avendo partecipato la Olona s.s. ai procedimenti da cui sono scaturite le sentenze della Cassazione richiamate nel ricorso della F. s.n.c.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto l’avviso di accertamento contestava alla F. s.n.c. di avere annotato fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti e dedotti i relativi costi per complessive Lire 201.799.000, di cui Lire 76.249.00 per fatture emesse dalla Olona s.s., oltre Lire 125.548.000 per fatture emesse dalla Via Lattea s.p.a.. Vi è violazione, quindi, dell’art. 2697 c.c. in quanto non “può imporsi alla contribuente un onere probatorio con riferimento ad un rapporto, contratto di soccida, stipulato tra terzi e dal quale la medesima non consegue alcun vantaggio o del quale nulla sa”. Nel momento di sintesi la ricorrente precisa che “La CTR ha violato e falsamente applicato le regole dell’onere probatorio, avendo ritenuto che la sola presunta deviazione dallo schema tradizionale della soccida operata dalla Via Lattea o dalla az. Agricola Olona ss con i produttori soccidari, in mancanza di altri elementi, integrasse la prova soggettiva delle successive operazioni di cessione del latte operate dalle soccidanti”.

2.1. Si premette che questo motivo di impugnazione, dopo l’accoglimento del primo motivo di censura relativo alla sussistenza del giudicato riflesso con riferimento esclusivo alle fatture emesse dalla Via Lattea s.p.a., riguarda, come pure tutti i successivi, solo la deducibilità dei costi relativi alle fatture emesse dalla Olona s.s.

2.2. Tale motivo è inammissibile.

Invero, la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quindi per la violazione di legge, ma in realtà ha delineato le censure esclusivamente sul vizio di motivazione, che avrebbe dovuto articolare ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Per la ricorrente, quindi, dalla sola presunta deviazione dallo schema tradizionale della soccida non poteva ricavarsi la prova della inesistenza soggettiva delle successive operazioni di cessione di latte effettuate dalle soccidanti.

Infatti, mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., configurabile soltanto nell’ipotesi in il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 c.p.c.) può essere fatta valere ai sensi del medesimo art. 360, n. 5 (Cass.Civ., 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. Civ., 4 aprile 2017, n. 8758, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito).

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “motivazione omessa su un fatto decisivo del giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto la Commissione tributaria regionale ha omesso di esaminare parte della documentazione prodotta, segnatamente il processo verbale di constatazione n. (OMISSIS) che attiene ai rapporti tra la F. e la Olona ss per Lire 76.249.000.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente censura la decisione della Commissione regionale per “motivazione insufficiente su un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 “, avendo omesso di esaminare il contenuto del processo verbale di constatazione relativo al rapporto tra la F. e la Olona ss. (pag. 24 “Ma la CTR così motivando incorre nel vizio di insufficiente motivazione avendo attribuito agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune, avendo omesso di indicare tutti gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento”).

4.1. Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.

Invero, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. Al fine della congruità della motivazione è sufficiente che da questa risulti che i vari elementi probatori acquisiti siano valutati nel loro complesso, anche senza una esplicita confutazione di altri elementi non menzionati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati (Cass. Civ., 9 febbraio 2004, n. 2399; Cass. Civ., 14 novembre 2013, n. 25608).

Per la Suprema Corte, infatti, al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Civ., 15 aprile 2011, n. 8767).

La sentenza della Commissione tributaria regionale, invece, pur nella sua sintesi, chiarisce in modo esauriente il percorso logico-argomentativo della decisione, evidenziando che il contratto di soccida era simulato e che erano i soccidari, che avevano ormai esaurito le proprie quote di produzione del latte, a fornire il latte alla soccidante, che aveva una eccedenza di quota latte, e che emetteva le fatture nei confronti delle società acquirenti, riversando poi per intero le somme ai soccidari, previa deduzione di un minimo prezzo quale corrispettivo per il contributo alla quota latte (“…dal verbale di constatazione…si apprende che la società Via Lattea s.p.a., sulle cui fatture si basa la contabilizzazione dei costi recuperati a tassazione, in realtà non ha mai operato come latteria, ma si è limitata a fungere da apparente soccidante nei confronti dei diversi allevatori lombardi, così interponendosi nel conferimento del latte al Caseificio F.; e tanto è dimostrato dal documentato riversamento ai produttori agricoli, da parte della simulata soccidante, della quasi totalità delle somme riscosse a saldo delle fatture di vendita, fatta eccezione per una quota trattenuta a compenso delle quote latte, messe a disposizione degli allevatori con tale artificio”).

5. Con il quinto motivo di impugnazione si deduce la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.ex art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il fatto noto, ossia la simulazione del contratto di soccida, idoneo in astratto a costituire la fonte del ragionamento presuntivo, non era un fatto pacifico fra le parti e non aveva i requisiti di certezza e di concretezza, nè era un fatto notorio.

6. Con il sesto motivo di impugnazione si deduce “Motivazione omessa su un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto era fatto decisivo della controversia “verificare se gli elementi addotti dall’Agenzia costituissero presunzioni gravi, precise e concordanti dell’inesistenza soggettiva delle fatture contestate”, non avendo esaminato la Commissione regionale le operazioni intercorse con la Olona ss (cfr. pagina 37 del ricorso).

7. Con il settimo motivo di impugnazione la ricorrente censura la sentenza della Commissione regionale per “Motivazione insufficiente su un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto era fatto decisivo della controversia “verificare se gli elementi addotti dall’Agenzia costituissero presunzioni gravi, precise e concordanti dell’inesistenza soggettiva delle fatture contestate”, non avendo esaminato la Commissione regionale le operazioni intercorse con la Olona ss (cfr. pagina 45 del ricorso).

7.1. Tali motivi, che per ragioni di connessione vanno esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

Invero, la ricorrente neppure indica una specifica censura in ordine ai tre caratteri che devono contraddistinguere le presunzioni (gravità, precisione e concordanza).

Per la Suprema Corte, infatti, in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua dello stesso art. 360, n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. Civ., 4 agosto 2017, n. 19485; Cass. Civ., 17457/2007; Cass. Civ., 17535/2008).

La decisione può essere censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c., solo se altra deve essere la soluzione applicata al caso concreto: a) in riferimento al requisito della gravità, tutte le volte che essa manchi, perchè difetta la c.d. inferenza probabilistica; b)con riguardo a quello della precisione, tutte le volte in cui la presunzione presenti inferenze probabilistiche plurime e non la sola assunta dal giudice di merito; c)rispetto alla concordanza, quando vi siano elementi probatori dissonanti rispetto alla presunzione.

Il motivo di impugnazione, infatti, nella specie, non si sofferma sui requisiti specifici della gravità, precisione e concordanza, ma mira ad una diversa ricostruzione dei fatti, tentando di dimostrare che il contratto di soccida intercorso tra la Olona ss e la F. non era simulato, nonostante la precisa descrizione dei fatti riportata nella motivazione della sentenza della Commissione tributaria regionale.

7.2. Tra l’altro, anche nel merito i motivi sono infondati, in quanto la Suprema Corte, muovendo dai medesimi elementi di fatto, proprio con riferimento ai contratti di soccida relativi ai produttori di latte (soccidari) che avevano superato la quota di produzione del latte, ha ritenuto simulati tali rapporti negoziali, dichiarando che le fatture emesse dai soccidanti ai terzi erano relative ad operazioni soggettivamente inesistenti (Cass. Civ., 19 luglio 2017, n. 17839; Cass. Civ., 11 dicembre 2013, n. 27720; Cass. Civ., 18 febbraio 2015, n. 3197). Nel caso scrutinato dalla pronuncia di legittimità da ultimo citata, infatti, si legge che “L’Amministrazione finanziaria deduce…che i produttori effettivi del latte ceduto alla Cooperativa fatturavano a proprio nome le cessioni fino al raggiungimento del rispettivo limite, dopodichè, divenuti eccedentari..facevano fatturare le vendite ad aziende che non avevano superato la propria quota, le quali stipulavano contratti di soccida fittizi, facendo risultare che il proprio bestiame veniva allevato presso le ditte soccidarie effettive fornitrici del latte alla Cooperativa bresciana. Quest’ultima pagava, quindi, il corrispettivo del latte agli emittenti le fatture (apparenti soccidanti), dopodichè gli importi venivano “girati” agli effettivi produttori (apparenti soccidari), dedotto un compenso attribuito alle ditte soccidanti, per la cessione temporanea di quote latte da loro operata”.

8. Con l’ottavo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 4, vecchio TUIR e ex art. 360 c.p.c., n. 3”, non avendo la sentenza della Commissione regionale riconosciuto i costi sostenuti dalla F. s.n.c., risultanti dai processi verbali di constatazione. Infatti, in caso di costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti è ammessa la deduzione del costo sostenuto se il contribuente ne dimostra l’effettiva sussistenza, l’ammontare e l’inerenza. Nella specie, i costi si evincono facilmente dai documenti prodotti (pagamenti eseguiti, indicazione del trasportatore, quantità di litri di latte consegnati).

9. Con il nono motivo si deduce “motivazione omessa su un fatto decisivo del giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto era fatto decisivo della controversia verificare se la contribuente avesse effettivamente sostenuto i costi, ritenuti oggettivamente inesistenti, per l’acquisto del latte.

10. I motivi ottavo e nono, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

La Commissione regionale si è limitata ad affermare, con riferimento alla non deducibilità dei costi, che “l’accertamento non si fonda sulla rilevazione di ricavi non dichiarati…, bensì sull’esclusione di costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti”.

Invero, per la Suprema Corte, in tema di imposte sui redditi, l’abrogazione, da parte del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5 e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 6 – il quale escludeva la deducibilità delle spese ed altri componenti negativi in caso di omessa od irregolare registrazione – ha comportato un ampliamento del regime di prova dei costi da parte del contribuente (che può essere fornita anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purchè costituenti elementi certi e precisi, come prescritto dall’art. 75 cit., comma 4), con la conseguenza che, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, anche i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti possono essere dedotti, purchè il contribuente ne dimostri l’effettiva sussistenza, l’ammontare e l’inerenza (Cass. Civ., 22 gennaio 2010, n. 1147).

Va, però, evidenziato che, ai fini della determinazione del reddito di impresa, i costi documentati in fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non possono essere dedotti dal committente/cessionario (così come va negato il diritto alla detrazione dell’imposta IVA effettivamente versata) ove non ricorra la prova dell’assenza dei presupposti dell’illecito penale, integrando invero tale operazione, tradizionalmente, il reato di falso documentale, rilevante sia come concorso nell’emissione di fattura falsa, sia come utilizzazione a fini d evasione; infatti, la derivazione dei costi da un’attività integrante illecito penale – espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa – comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi (Cass. Civ., 11 novembre 2011, n. 23626; Cass.Civ., 14 dicembre 2012, n. 23074; Cass. Civ., 30 ottobre 2003, n. 24426). 11.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che dovrà attenersi al principio di diritto di cui al paragrafo 10, e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di impugnazione con riferimento ai costi sostenuti dalla ricorrente con la Via Lattea s.p.a.; accoglie i motivi ottavo e nono; dichiara inammissibili i motivi secondo, terzo, quarto; rigetta i motivi quinto, sesto e settimo. Cassa, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria della Lombardia che si atterrà al principio di diritto suindicato e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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