Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3140 del 17/02/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 3140 Anno 2016
Presidente: DOGLIOTTI MASSIMO
Relatore: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 21581-2014 proposto da:
UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK SPA, società con
socio unico, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
BENEDETTO CAIROLI 6, presso lo studio dell’avvocato PIERO
GUIDO ALPA, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in
calce al ricorso;

– ricorrente contro
FALLIMENTO NUOVA ALBATROS SRL, in persona del Curatore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASAL DE’ PAZZI 148,
presso lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentato e
difeso dall’avvocato BENITO ORLANDI giusta procura in calce al
controricorso;

Data pubblicazione: 17/02/2016

controrkorrente –

avverso la sentenza n. 941/2013 della CORTE D’APPELLO di
L’AQUILA del 17/09/2013, depositata il 30/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/01/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

udito l’Avvocato Lucilla Iapichino (delega verbale) difensore della
ricorrente che si riporta agli scritti e chiede raccoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato Enrico Orlandi (delega Avvocato Benito Orlandi)
difensore del controricorrente che si riporta agli scritti.

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in
data 20 luglio 2015, la seguente proposta di
definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ.:
«Con sentenza in data 30 settembre 2013, la Corte
d’Appello de L’Aquila, ha accolto l’impugnazione
proposta dalla Curatela del Fallimento Nuova Albatros
srl contro la sentenza del Tribunale di Avezzano, con
la quale era stata respinta l’azione revocatoria
proposta per la dichiarazione di inefficacia, ai sensi
del’art. 67 LF, della cessione di un credito della
fallita in favore della Banca di Roma (e, per essa, ora
con la
Unicredit Credit Management Bank SpA),
conseguente condanna di quest’ultima al pagamento della
somma da restituire, oltre accessori e spese
processuali.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto
ricorso Unicredit Credit Management Bank SpA, con atto
notificato il 17 settembre 2014, sulla base di due
motivi, con cui denuncia violazione e falsa
applicazione di varie norme di legge sostanziale (artt.
67 LF e 2729 c.c.).
Il Fallimento resiste con controricorso.
Il ricorso appare manifestamente infondato, giacché:
1. Con riguardo alla violazione della legge
fallimentare, ed in particolare con riferimento alla
scientia decoctionis della Banca cessionaria, si
osserva che il ragionamento presuntivo svolto dalla
Corte territoriale non ha avuto ad oggetto, come
afferma la Banca nel suo ricorso, esclusivamente il
criterio astratto della mera conoscibilità del
Ric. 2014 n. 21581 sez. M1 – ud. 18-01-2016
-2-

ANTONIO GENOVESE;

Ric. 2014 n. 21581 sez. M1 – ud. 18-01-2016
-3-

bilancio sociale della società fallita. Infatti, il
distrettuale
ha
chiaramente
riportato
giudice
della
scientia
decoctionis
al
l’accertamento
riscontro:
• della anomalia del pagamento per cessione, alla
luce della giurisprudenza di questa Corte [Sez.
l, Sentenza n. 12736 del 2011, in base al quale
«La cessione di credito, che è negozio a causa
variabile da ricercarsi in concreto, attraverso
l’individuazione della reale finalità perseguita
dalle parti, si caratterizza come anomala
rispetto al pagamento effettuato in danaro o con
titoli di credito considerati equivalenti e,
pertanto, è soggetta all’azione revocatoria
fallimentare, a norma dell’art. 67, primo coma,
n. 2 legge fall. (applicabile nel testo “ratione
temporis” vigente), se compiuta in funzione
solutoria, cioè per estinguere un debito scaduto
ed esigibile.»];
• della presenza di una struttura societaria (in
forma di srl, sul piano economico-finanziario,
altamente volatile, anche in relazione al tipo
di attività svolta, in concreto priva di
garanzie immobiliari (e perciò anche di ipoteche
e procedure esecutive);
• della difesa svolta dalla Banca, con riferimento
al bilancio della società, laddove accettando il
contraddittorio aveva enfatizzato l’esistenza di
un utile di circa 6 milioni, a fronte dei quali
risaltava una debitoria di oltre 10 milioni ed
un indice di indebitamento pari a 229,64 nel
1998 e di 219,50 nel 1999.
2. Non è perciò vero che la sentenza ipostatizzi la
consapevolezza dello stato di decozione sulla base di
indici astratti e privi di collegamento con
l’attività bancaria, emergendo dai dati offerti dalla
sentenza le ragioni di un serio collegamento,
ricavabile dalla collaborazione con la società
fallita in relazione ai documenti contabili e
conoscitivi
dello
stato
di
salute
economica
dell’impresa;
deriva
che
le
censure
della
ricorrente
3. Ne
(riguardanti la prova della sci entia decoctionis)
mirano alla inammissibile ripetizione del giudizio di
merito (attraverso il riesame di fatti e documenti
oggetto di apprezzamento nella fase di merito), con
riferimento alle sentenze che (come quella oggetto
del presente giudizio), pubblicate oltre il termine
di trenta giorni successivo all’entrata in vigore
della legge n. 134 del 2012 (che ha convertito il DL
n. 83 del 2012), si infrangono sull’ interpretazione

Considerato che il Collegio condivide la proposta di
definizione contenuta nella relazione di cui sopra,
alla quale risultano essere state mosse osservazioni
Unicredit Credit
critiche della ricorrente (già
DoBank SpA)
che non
Management Bank SpA ed ora
consentono di rovesciarne l’esito;
all’affermazione
che
la
che,
infatti,
quanto
revocabilità del pagamento per cessione non comporta la
presunzione della scientia decoctionis da parte del
cessionario è tesi già confutata da questa Corte (Sez.
1, Sentenza n. 25284 del 2013)con l’affermazione del
principio di diritto secondo cui «In tema di azione
revocatoria fallimentare, la cessione del credito
(nella specie, per rimborso IVA) in funzione solutoria,
quando non sia prevista al momento del sorgere
dell’obbligazione, ovvero non sia attuata nell’ambito
della disciplina della cessione dei crediti di impresa,
di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52, integra
sempre gli estremi di un mezzo anormale di pagamento,
indipendentemente dalla certezza di esazione del
credito ceduto; ne consegue la presunzione della
conoscenza dello stato di insolvenza in capo al
cessionario, il quale può vincerla non con una prova
diretta dell’insussistenza di tale stato (che solo da
un punto di vista logico rappresenta un presupposto
dell’azione), ma con la dimostrazione di circostanze
Ric. 2014 n. 21581 sez. M1 – ud. 18-01-2016
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così chiarita dalle SU civili (nella Sentenza n. 8053
del 2014): la riformulazione dell ‘art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54
del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla
luce del canoni ermeneutici dettati dall’art. 12
delle preleggi, come riduzione al “minimo
costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione
solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante, in
quanto attinente all’esistenza della motivazione in
sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le
risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce
nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto
materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”,
nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione;
In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale
ai sensi degli artt. 380-bis e 375 n. 5 c.p.c..»

PQM

La Corte,
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida
in complessivi C 4.100,00, di cui C 100,00 per esborsi,
oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater,del d.P.R. n. 115
del 2002, inserito dall’art. l, comma 17, della legge
n. 228 del 2012, dichiara che sussistono i presupposti
per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della l a
sezione civile della Corte di cassazione, il 18 gennaio

idonee a fare ritenere ad una persona di ordinaria
prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava
in una situazione di normale esercizio dell’impresa.»;
che, certamente, l’elemento presuntivo costituito dalla
presenza di una debitoria, della società in bonis, di
oltre 10 milioni ed un indice di indebitamento pari a
229,64 nel 1998 e di 219,50 nel 1999, non vale di per
sé solo a dimostrare che la ricorrente fosse
consapevole dello stato d’insolvenza, ma esso,
unitamente al precedente dato, costituisce una ben più
solida base per la formazione del convincimento
presuntivo, onde il suo formarsi non integra un
giudizio arbitrario ma, al contrario, ragionevolmente
fondato, riservato agli apprezzamenti di merito del
giudice della controversia;
che, ad essi, si aggiunge il tratto della volatilità
delle società a ristretta base sociale e priva di
rilevati patrimonializzazioni, in grado di spiegare la
giustificata assenza in concreto di quegli altri indici
rivelatori del suo stato d’insolvenza (assenza di
azioni esecutive e protesti);
che, pertanto, il ricorso deve essere respinto, in
applicazione dei richiamati ed enunciati principi di
diritto;
che, alla reiezione del ricorso, consegue la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali
di questa fase, che si liquidano come da dispositivo, e
raddoppio del contributo unificato.

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