Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31394 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 05/12/2018, (ud. 17/01/2018, dep. 05/12/2018), n.31394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11992-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CASTELLANA & C. SPA, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato VINCENZO TARANTO (avviso postale ex art. 135);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/2011 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

CATANIA, depositata il 28/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/01/2018 dal Consigliere Dott. BERNAZZANI PAOLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), l’Agenzia delle Entrate di Catania, sulla scorta del p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza-Nucleo di P.T. della medesima città in data 6.5.2002, rettificava la dichiarazione relativa all’anno di imposta 2000 presentata dalla società Castellana & C. s.p.a., rideterminando il reddito imponibile ai fini Irpeg, il valore della produzione netta ai fini Irap ed accertando maggiori ricavi imponibili ai fini Iva; in particolare, per quel che qui rileva, L’Ufficio recuperava a tassazione maggiori ricavi, ricostruiti applicando al costo del venduto una maggiore percentuale di ricarico pari al 36,79%.

La società contribuente impugnava il predetto avviso avanti alla CTP di Catania, che accoglieva il ricorso sulla base del rilievo che la percentuale di ricarico era stata calcolata sulla base di un campione di merci ritenuto non significativo ed evidenziando che la ricorrente aveva provato la sua precaria situazione economico-finanziaria nel periodo di riferimento (la CTP accoglieva, altresì, le ulteriori censure formulate in merito all’ulteriore profilo dell’accertamento costituito dal recupero di costi per carburanti: tale profilo, peraltro, non risulta investito dall’odierno ricorso);

Contro tale decisione interponeva appello l’Ufficio, mentre la società contribuente formulava appello incidentale. La CTR della Sicilia con sentenza n. 154/34/11 pronunciata in data 4.10.2010 e depositata il 28.3.2011, rigettava nel merito il gravame proposto dell’A.d.E., dichiarando assorbiti gli ulteriori motivi di gravame prospettati.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi. Si è costituita mediante controricorso la società contribuente, la quale ha depositato, altresì, memoria ex art.380-bis c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, va esclusa l’inammissibilità del ricorso, invocata dalla difesa della società contribuente in ragione del fatto che l’Agenzia non avrebbe mai contestato, nel corso del giudizio di merito, i fatti ed i documenti prodotti dalla contribuente a sostegno della inattendibilità dell’accertamento, oltre alle risultanze valutative di una consulenza tecnica di parte avente il medesimo fine, “limitandosi ad affermare la correttezza del metodo induttivo adoperato in quanto sorretto dalle risultanze del p.v.c. della Guardia di Finanza”, onde dovrebbe ipotizzarsi la carenza di interesse a ricorrere in sede di legittimità.

Anche indipendentemente dal rilievo che la doglianza in esame avrebbe richiesto la trascrizione o il puntuale richiamo di tutti gli atti sulla cui base dovrebbe ritenersi integrata l’ipotesi di non contestazione che la controricorrente assume (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 22/05/2017, n. 12840), va osservato che l’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, nè la loro valenza probatoria, la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice (Cass. Sez. 3, 21/06/2016, n. 12748, Rv. 640254 – 01). Nello stesso senso, questa Corte ha precisato che l’onere di contestazione per la parte attiene alle circostanze di fatto e non anche alla loro componente valutativa, che è sottratta al principio di non contestazione, sicchè non sussiste alcun onere di contestazione con riferimento alla valutazione svolta da un consulente tecnico (con riferimento al c.t.u., cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 21/12/2017, n. 30744, Rv. 647006 – 01).

1.2 Ciò posto, dall’esposizione contenuta nel ricorso e nell’impugnata sentenza risulta, altresì, che l’Agenzia ricorrente, nell’affermare sin dalla costituzione in giudizio la correttezza del metodo di accertamento di tipo analitico-induttivo impiegato e la congruità degli esiti raggiunti, evidenziando la ricorrenza dei relativi presupposti, abbia contestato nel loro complesso le allegazioni di segno contrario addotte dall’odierna controricorrente.

1.3 Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità per indeterminatezza dei motivi proposti, i quali sarebbero stati formulati in modo insufficiente alla stregua dei criteri enucleati dalla giurisprudenza di legittimità ed, in particolare, senza l’indicazione dei capi di sentenza impugnati. Osserva, in proposito, il Collegio che il ricorso evidenzia adeguatamente e puntualmente i capi della decisione oggetto dei motivi, aventi i prescritti caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata.

1.4. Analoga valutazione di infondatezza va espressa, infine, in relazione all’eccezione afferente la novità delle questioni formanti oggetto del ricorso per cassazione, con particolare riguardo al richiamo alle risultanze del p.v.c. richiamate dall’Agenzia ed, in particolare, alla rilevanza, ai fini dell’estrapolazione del campione di merci utilizzato per l’accertamento, della documentazione informatica rinvenuta nel personal computer dell’amministratore della contribuente, dott. D..

Al riguardo, va rilevato che gli odierni motivi di ricorso concernono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti dell’accertamento analitico-induttivo concretamente operato, richiamando i dati più significativi indicati nel p.v.c., in quanto integranti, ad avviso dell’Agenzia ricorrente, elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti.

Si tratta di un thema decidendum del tutto collimante con quello oggetto del giudizio di merito, che verteva sempre sui predetti presupposti e contemplava sia il richiamo al p.v.c. nel suo complesso, quale presupposto essenziale dell’accertamento. In particolare, dall’esposizione contenuta nel ricorso e nell’impugnata sentenza risulta che l’Agenzia ricorrente, nell’affermare sin dalla costituzione in giudizio la correttezza del metodo di accertamento di tipo analitico-induttivo impiegato e la congruità degli esiti raggiunti, evidenziando la ricorrenza dei relativi presupposti, abbia determinato l’inclusione nel thema decidendum, nel suo complesso considerato, delle specifiche deduzioni oggetto del presente ricorso, le quali, dunque, non possono per nulla considerarsi eccentriche rispetto all’oggetto del contendere, in quanto dirette a puntualizzare le ragioni già poste a sostegno della correttezza metodologica dell’accertamento e della rappresentatività del compendio di beni assunti a campione. Ne consegue che le deduzioni in parola non possono affatto ricondursi nell’ambito delle questioni “nuove”, come tali inammissibili, ma rientrano fra i temi già sottesi al giudizio di merito.

2. Con il primo motivo l’Agenzia ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente, in tale prospettiva, sottopone a censura le argomentazioni della CTR, laddove la stessa ha ritenuto che: a) il campione di merce estrapolato dagli accertatori e posto alla base dell’accertamento non poteva essere considerato sufficientemente rappresentativo; b) la ricostruzione induttiva dell’entità dei ricavi era avvenuta utilizzando percentuali di ricarico che non rispettavano il criterio della media aritmetica ponderata, ma quello della media aritmetica semplice: criterio ritenuto non legittimo e, comunque, inaffidabile in presenza di merce di varia tipologia e con rilevanti differenze di valore; c) la crisi economico-finanziaria attraversata dalla società ricorrente nel periodo di riferimento, avvalorata dalla chiusura di diversi punti vendita, confermava ab extrinseco l’erroneità dell’accertamento.

2.1. Il motivo è infondato.

E’ opportuno osservare in via preliminare che, come più volte affermato da questa Corte, ” il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa”. (ex multis, cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 12/10/2017, n. 24054, Rv. 646811 – 01; Sez. 5, 30/12/2015, n. 26110, Rv. 638171 – 01).

E tale è proprio il caso di specie, nel quale le censure formulate dal ricorrente sono, piuttosto, riconducibili in via astratta al vizio di insufficiente motivazione.

2.2. Nella specie, invero, le violazioni dedotte dalla ricorrente muovono dalle premesse, in punto di diritto, che l’accertamento in contestazione è stato operato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), che consente di rideterminare il reddito d’impresa quando la incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione risulti sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi precise e concordanti, recependo i canoni generali di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. (analoghe disposizioni, ai fini Iva sono dettate dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2); che anche un solo fatto noto può rappresentare il dato di partenza del ragionamento inferenziale quando tutti gli aspetti di esso, in assenza di circostanze di valenza contraria, siano chiaramente ed univocamente concordanti in ordine al verificarsi del fatto ignoto; che, del resto, l’accertamento analitico-induttivo non richiede la previa dimostrazione della inattendibilità della contabilità, ben potendo l’Ufficio accertatore ricorrervi anche quando essa sia regolare dal punto di vista formale, ancorchè affetta, in virtù di una valutazione condotta sulla base delle predette presunzioni gravi, precise e concordanti, da incompletezze, inesattezze ed infedeltà.

Tale piattaforma ermeneutica, come palesato dallo svolgimento del motivo, risulta, peraltro, strettamente funzionale all’affermazione che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, nel caso concreto gli elementi di valutazione acquisiti agli atti integrerebbero pienamente gli elementi presuntivi che costituiscono il presupposto dell’accertamento analitico-induttivo, convalidandone, altresì, l’esito accertativo, avuto particolare riguardo al carattere adeguatamente rappresentativo del campione di merci utilizzato, in quanto estrapolato sulla base dei dati contenuti nei files memorizzati nel personal computer in uso all’amministratore della società ove non soltanto era presente l’inventario della merce giacente al 31.12.2001 ed un altrettanto dettagliato prospetto dei movimenti di magazzino a partire dal 1.1.2001, comprensivo dei prezzi di vendita degli articoli commercializzati, ma, con riferimento all’anno 2000, l’elaborazione dei dati di vendita di un campione di merce ceduta nello stesso anno, con indicazione della quantità, dei prezzi e del margine di contribuzione lorda, nonchè il riepilogo delle vendite complessive dei beni nell’anno di riferimento -, ed al fatto che la percentuale di ricarico sarebbe stata determinata, in ogni caso, secondo il criterio della media ponderata.

2.3. Risulta, pertanto, evidente che il vizio di violazione di legge dedotto non è riscontrabile, posto, da un lato, che la CTR non è affatto incorsa in un’erronea ricognizione del contenuto e dell’ambito applicativo della fattispecie astratta individuata dalle norme evocate, non avendo contestato che l’Ufficio avrebbe potuto effettuare la ricostruzione analitico-induttiva dei ricavi e del reddito D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), sulla base di elementi presuntivi dotati dei requisiti sopra illustrati, nè avendo affermato che, per procedere all’accertamento, sarebbe stato necessario dimostrare l’inattendibilità della contabilità; dall’altro, che le doglianze dell’Agenzia ricorrente si appuntano, in realtà, sull’erronea ricognizione da parte della sentenza impugnata della fattispecie concreta, come reso evidente dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, la cui censura nel giudizio di legittimità è possibile, come rilevato, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

3. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo l’Agenzia ricorrente, la motivazione adottata dalla CTR è carente laddove ha ritenuto che il campione di merci utilizzato non fosse rappresentativo sulla base di un criterio meramente quantitativo (1,60% delle merci totali commercializzate dalla società contribuente), senza tener conto dell’aspetto qualitativo (ossia della varietà della composizione del campione) e del fatto che il medesimo era stato determinato sulla base dei beni individuati dallo stesso amministratore della contribuente, ai fini di determinare l’andamento economico della gestione, come dimostrato dai files memorizzati sul p.c. di quest’ultimo, come sopra descritti; analogamente, secondo la ricorrente deve ritenersi apodittico il richiamo esclusivo al criterio della media ponderata per determinare la percentuale di ricarico, essendo invece essenziale che la determinazione della percentuale in parola avvenga sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti: attributi che i dati contenuti nei files citati possedevano; ciò senza trascurare, comunque, che nel corpo del ricorso (parallelamente a quanto dedotto in appello, come si evince dalla ricostruzione dello svolgimento del processo contenuta nella sentenza della CTR) viene ribadito che, nel caso di specie, la metodologia applicata era stata quella della media ponderata.

3.1. Il motivo è fondato.

Va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. (in questi termini, ex multis, Cass. sez. 5, 04/08/2017, n. 19547).

3.2. Così fissati i limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione, va osservato che, nella specie, la decisione della CTR non si sottrae alla dedotta censura. Essa si è limitata ad affermare, innanzitutto, la non rappresentatività del campione analizzato in modo sostanzialmente apodittico, limitandosi a richiamare ed a condividere il rilievo, formulato dal giudice di primo grado, in merito all’entità in termini percentuali del campione analizzato.

In tal modo, la CTR non si è minimamente confrontata con il tema, oltremodo ineludibile in quanto costituente punto decisivo della controversia, costituito dalla rilevanza e peculiare attendibilità ai fini probatori della documentazione extracontabile di tipo informatico acquisita nel corso dell’accertamento e certamente riferibile alla contribuente, in quanto desunta dal contenuto dei files memorizzati nel personal computer in uso all’amministratore e legale rappresentante della società stessa: essi, come osservato, oltre a riprodurre i tabulati meccanografici relativi all’inventario della merce giacente al 31.12.2001, con indicazione dei relativi dati quali-quantitativi, ed i dettagliati movimenti di magazzino a partire dal 1.1.2001, comprensivi dei prezzi di vendita degli articoli commercializzati, con specifico riferimento all’anno 2000 comprendevano l’elaborazione di dati di vendita di un campione di merce ceduta nello stesso anno, con indicazione di quantità, prezzi e margine di contribuzione lorda, nonchè un riepilogo delle vendite complessive dei beni oggetto di commercio nell’anno di riferimento con relativo margine di contribuzione. Il quadro ricostruttivo desumibile da tali dati era ritenuto particolarmente esauriente ed attendibile da parte degli accertatori e dell’Ufficio, sia in quanto essi trovavano significativi riscontri in quelli riportati nei documenti attivi e passivi ufficiali, sia in quanto dovevano servire alla contribuente per monitorare l’effettivo andamento commerciale dell’attività d’impresa.

In tale prospettiva, mette conto rilevare che, secondo l’orientamento di questa Corte, gli appunti personali, le annotazioni extracontabili e gli altri prospetti riconducibili all’imprenditore, anche se rinvenuti presso terzi, rappresentano un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e legittimano di per sè, a prescindere da ogni altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (cfr. Cass. Sez. 6 – 5, 11/07/2016, n. 14150, Rv. 640561-01; analogamente, in tema di accertamento IVA, Cass. Sez. 5, 08/09/2006, n. 19329, Rv. 593174-01).

Dunque, l’impiego di tali dati, selezionati dallo stesso amministratore in quanto – secondo l’Ufficio – evidentemente dotati di particolare significatività, aveva consentito l’estrapolazione di un campione di articoli, sulla base dei quali era stato effettuato il calcolo della percentuale di ricarico afferente ai singoli beni compresi nel campione, secondo un criterio che la CTR ancora una volta ha censurato in maniera non motivata, qualificandolo come frutto dell’applicazione di una media aritmetica semplice senza, tuttavia, dare conto in alcun modo del procedimento logico-ricostruttivo posto a base di tale conclusione, pur a fronte di una specifica doglianza sul punto da parte dell’Agenzia delle Entrate, la quale – come si evince dalla stessa sentenza impugnata – aveva contestato nel proprio atto di appello che era stato “rispettato il principio della media ponderata”.

3.3. La rilevanza di tale complesso di elementi, in quanto costituenti un compendio dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza potenzialmente idonei a sorreggere l’accertamento effettuato è stata, del resto, ben avvertita dalla stessa contribuente, la quale – come si evince dal contenuto del controricorso – ha depositato nel corso del giudizio una consulenza tecnica di parte rivolta a confutare analiticamente la rilevanza dimostrativa dei dati desumibili dai predetti files; circostanza che ulteriormente evidenzia come il profilo in esame sia stato oggetto del contraddittorio fra le parti e, cionondimeno, non abbia trovato alcuna considerazione valutativa nella decisione impugnata.

3.4. In definitiva, la CTR, nell’impugnata decisione, non risulta avere in alcun modo esaminato tali profili fattuali, costituenti punto decisivo della controversia, facendo riferimento unicamente agli argomenti, logicamente sottordinati ed in sè non dirimenti, in difetto dell’analisi critica delle altre risultanze superiormente evidenziate, costituiti dal riferimento alla mera entità in termini percentuali del campione di merci analizzato, oltre che alla chiusura di alcuni punti vendita della società.

Nella specie, pertanto, risulta configurabile il vizio di motivazione omessa o insufficiente, posto che dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerge l’obiettiva carenza di valutazione di elementi potenzialmente conducenti ad una diversa decisione.

4. Si impone, pertanto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, alla quale si demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Quanto alle eccezioni sollevate dalla società contribuente in grado di appello, non esaminate dal giudice di secondo grado in quanto ritenute assorbite e riproposte nel controricorso, secondo il consolidato orientamento di questa Corte le stesse – rispetto alle quali sarebbe stato inammissibile per carenza di interesse un eventuale ricorso incidentale, anche se condizionato, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione nel caso di cassazione della sentenza rimangono impregiudicate e possono essere dedotte davanti al giudice di rinvio. Ne consegue che, anche nella specie, l’accoglimento del ricorso comporta la possibilità di riproporre le questioni medesime nel giudizio ad quem. (cfr. Cass. Sez. 5, 15/01/2016, n. 574 Rv. 638333 – 01; Cass. Sez. 5, 22/09/2017, n. 22095, Rv. 645632 – 01)

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta il primo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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