Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31394 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 02/12/2019), n.31394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15009/2015 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGLI

GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO ROMEI,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUIGI ANGIELLO

e MARCELLO ZIVERI;

– ricorrente principale –

contro

ALLIANZ BANK FINANCIAL ADVISORS S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

FEDERICA PATERNO’, FRANCO TOFFOLETTO e ALDO BOTTINI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

M.R.;

– ricorrente principale – controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1084/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/12/2014, R.G.N. 1132/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Monza respingeva il ricorso proposto da M.V. inteso ad ottenere l’accertamento dell’insussistenza della giusta causa di risoluzione del rapporto di agenzia, comunicata al predetto dall’Allianz Financial Advisor s.p.a. con missiva del 17.7.2009, e la condanna della stessa al pagamento degli importi dovuti a titolo di indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c., o, alternativamente, di quelli spettanti come previsti dall’AEC, a titolo di provvigioni maturate per tutti i contratti stipulati nel corso del rapporto fino al dicembre 2009, a titolo di ulteriori provvigioni e premi ed a titolo di risarcimento del danno patrimoniale ed alla salute;

2. la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 5.12.2014, respingeva l’appello principale proposto da M.R. e quello incidentale dell’Allianz con il quale la preponente si doleva del rigetto della propria domanda di condanna del M. alla restituzione dell’importo di Euro 123.775,37 a titolo di FIRR dalla stessa versato all’Enasarco e da tale ente liquidato in favore della controparte in virtù di clausole dell’AEC ritenute nulle per contrasto con la normativa Europea;

3. quanto al gravame incidentale, la Corte meneghina rilevava che la mancanza di dettagliata descrizione, da parte della preponente, dei fatti posti a base della propria determinazione al recesso non inficiasse la validità dell’atto risolutivo che era stato preceduto dalla comunicazione del provvedimento di “sospensione cautelare” dall’incarico di agenzia, disposta il 16.7.2009 e motivata con il coinvolgimento dell’agente, in qualità di indagato, in un procedimento penale per reati di rilevante gravità per i quali erano in corso indagini della Procura della Repubblica di Monza;

4. aggiungeva che: con motivazione analoga, era stato intimato lo scioglimento del rapporto di agenzia per fatto e colpa imputabili al M., costituiti dal mancato rispetto della normativa di riferimento del contratto e delle procedure della Banca; l’esistenza dell’indagine penale ed i fatti oggetto della stessa erano pacificamente noti al M., avendo quest’ultimo informato tempestivamente la preponente in ordine alla perquisizione locale disposta dalla Procura; questione analoga era stata decisa dalla Corte in relazione alla posizione del fratello dell’appellante, interessato da analoga vicenda, e la Corte richiamava giurisprudenza consolidata che riteneva non necessaria sin dall’inizio, ai fini della legittimità del recesso, il riferimento a fatti specifici, essendo sufficiente la relativa conoscenza anche aliunde da parte dell’agente;

5. quanto al merito del recesso, osservava che, in sede di perquisizione, erano stati rinvenuti, nella postazione presso l’ufficio di (OMISSIS) ove operava l’agente, moduli di sottoscrizione fondi sottoscritti in bianco ed ulteriore materiale comprovante il coinvolgimento del predetto con altri soggetti nelle condotte per le quali era stato instaurato nei suoi confronti anche procedimento penale per reati di riciclaggio e violazioni della normativa in tema di attività di intermediazione finanziaria: tali fatti erano stati correttamente reputati dalla società come violazioni degli obblighi gravanti sull’agente ed integranti violazione, in particolare, di clausole contrattuali specifiche e di obblighi relativi anche a trasmissione e gestione di assegni, obblighi disattesi dall’agente con condotta reputata contraria agli obblighi di correttezza e buona fede e lesione irreparabile del vincolo fiduciario posto a base del rapporto di agenzia, non potendo ritenersi rilevante la mancata adozione, da parte della CONSOB, di provvedimento sospensivo nei confronti del M. pure prospettato come doveroso;

5.1. non spettavano pertanto, secondo la Corte, tutte le indennità reclamate dall’agente, ivi compresi il premio di fedeltà e l’indennità di fidelizzazione, dei quali era escluso il pagamento in caso di risoluzione del rapporto per giusta causa imputabile all’agente;

6. ogni altro credito vantato dall’agente era sfornito di adeguate deduzioni ed allegazioni probatorie in ordine ai relativi presupposti e l’assenza di qualsiasi comportamento illecito ascrivibile alla società precludeva l’accoglimento delle domande proposte dall’agente a titolo risarcitorio;

8. quanto all’appello incidentale riguardante il rigetto della pretesa restitutoria avanzata dall’Allianz per un importo pari a Euro 123.775,37 dalla stessa versato a titolo di FIRR all’Enasarco, la Corte meneghina riteneva che, per costante giurisprudenza, la normativa contrattuale o codicistica applicabile doveva essere quella più favorevole all’agente con giudizio ex post e che nella specie la stessa doveva individuarsi in quella di cui all’AEC, che consentiva di percepire il FIRR nonostante l’accertata sussistenza della giusta causa di risoluzione del rapporto;

9. di tale decisione domanda la cassazione il M., affidando l’impugnazione a sei motivi, cui resiste, con controricorso, L’ALLIANZBank Financial Advisors s.p.a., che propone ricorso in via incidentale fondato su un unico motivo, cui ha opposto difese, con controricorso, il ricorrente principale;

10. il P.M. ha depositato requisitoria scritta;

11. entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

RICORSO PRINCIPALE:

1. con il primo motivo, il M. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 1751 c.c., comma 2, sostenendo che la comunicazione del 17 luglio 2009 di recesso in tronco era stata preceduta, il 16.7.2009, da raccomandata a mani di Allianz Bank a mezzo della quale il M. era stato sospeso cautelarmente con effetto immediato dal lavoro e che l’Allianz, benchè richiestane, non aveva comunicato i motivi, esplicitati solo nella memoria di costituzione in giudizio;

1.1. adduce che la motivazione della sentenza al riguardo si pone in violazione dell’art. 2119 c.c., avendo la lettera di comunicazione del recesso omesso ogni richiamo per relationem ad un preciso atto, contenendo solo il riferimento al coinvolgimento del M., in qualità di indagato, nelle indagini in corso presso la Procura della Repubblica di Monza, con rinvio, quanto mai generico e criptico, al materiale acquisito, ed aggiunge che l’applicazione analogica dei principi validi in tema di licenziamento all’agenzia comporti che l’atto di recesso non possa essere strutturalmente differente rispetto al licenziamento per giusta causa, con conseguente necessità di contestualità, immodificabilità e specificità dei motivi nell’atto di recesso del preponente nel contratto d’agenzia;

2. con il secondo motivo, il ricorrente principale lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1752 c.c., comma 2 e dell’art. 2119 c.c., contestando il riferimento fatto dalla Corte territoriale a documenti del procedimento penale a carico del M., che nulla proverebbero in sè, ma che sono stati valutati negativamente dalla Corte solo perchè collegati a tale procedimento, pure essendo pacifico che l’accertamento penale non è pregiudiziale rispetto a quello civile e che il fatto posto a fondamento del recesso non era il frutto della rilevanza di documenti acquisiti in sede penale, ritenuti neutri ai fini in questione;

2.1. ribadisce la significatività della mancata adozione nei confronti dell’agente di alcun provvedimento di sospensione cautelare da parte della CONSOB;

3. con il terzo motivo, ascrive alla decisione impugnata ancora violazione dei medesimi articoli codicistici, per avere la Corte territoriale errato nel rigettare le domande relative all’indennità sostitutiva del preavviso ed alle spettanze di fine rapporto, nonchè ad ulteriori voci, come il premio di fedeltà e di fidelizzazione, non riconosciuti dalla Corte di Milano;

4. violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., artt. 1748 e 1749 c.c., sono addebitate alla sentenza nel quarto motivo, osservandosi che la stessa ha erroneamente ritenuto sfornite di prove le richieste di provvigioni relative al periodo successivo al secondo semestre del 2009 ed alle polizze stipulate negli anni 2010, 2015 e 2018, posto che, con sentenza della Corte di Cassazione 14968/2011, pur ribadendosi la spettanza dell’onere probatorio all’agente, era stata confermata la possibilità di ricorso ad istituti processuali quali l’ordine di esibizione, che facilitavano l’assolvimento dell’onere suddetto, avendo peraltro l’agente depositato l’elenco dei propri clienti alla data del 16.7.2009, nel giudizio di primo grado, ed effettuato le corrispondenti allegazioni con riguardo ai contratti stipulati;

5. error in procedendo in relazione al rigetto delle domande di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale è dedotto con il quinto motivo del ricorso principale, assumendosi che la decisione della Corte territoriale venga meno in caso di accoglimento del primo e del secondo motivo, relativi all’insussistenza della giusta causa di recesso;

6. il sesto motivo si incentra sulla deduzione del vizio connesso alla mancata ammissione delle prove orali, quale violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4;

7. quanto al primo motivo, ai fini della legittimità del recesso nel rapporto di agenzia, il preponente non deve fare riferimento, fin dal momento della comunicazione del recesso, a fatti specifici, essendo sufficiente che di essi l’agente sia a conoscenza anche “aliunde” o che essi siano, in caso di controversia, dedotti e correlativamente accertati dal giudice (cfr: Cass. 25.3.2011 n. 7019, Cass. 25.9.2002 n. 13944, Cass. 3084/2000): il principio di diritto è, dunque, richiamato correttamente dalla sentenza qui impugnata ed il contenuto del provvedimento di sospensione cautelare è stato oggetto di valutazione da parte della Corte che ne ha ritenuto l’esaustitività ai fini considerati, quale atto sufficiente a dare contezza delle ragioni poste a fondamento del recesso del preponente;

8. il secondo motivo involge valutazioni di puro merito, in quanto con lo stesso non si contesta l’applicazione erronea delle norme di legge invocate, ma la valutazione degli elementi di fatto comprovanti la responsabilità del M. posti a base del recesso dalla società: non si contesta l’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, essendo la censura mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 7394 del 2010, 16698 del 2010, 8315 del 2013),

9. la questione sollevata con il terzo motivo è evidentemente assorbita dal rigetto del precedente motivo, essendo le indennità e le spettanze collegate alle voci indicate collegate a presupposti ritenuti insussistenti;

10. in ordine al quarto motivo, è sufficiente richiamare quanto ribadito più volte da questa Corte, secondo cui “fermo restando l’onere dell’agente di provare i fatti costitutivi della sua pretesa, ovvero gli affari da lui promossi, non è possibile dimenticare la funzione di strumento istruttorio residuale assegnata dall’ordinamento all’ordine di esibizione, che può pertanto essere utilizzato solo se la prova del fatto non è acquisibile in altro modo e se l’iniziativa non ha finalità meramente esplorative” (cfr. ex multis, Cass. 7 luglio 2011 n. 14968);

10.1. per non essere meramente esplorativa, la richiesta deve presupporre la puntuale individuazione preventiva degli affari e dei documenti stessi, o almeno la individuabilità di questi ultimi (Cass., 17 marzo 2010 n. 6439; vedasi anche, recentemente, Cass., 6 dicembre 2011, n. 26151; Cass., 19 settembre 2002, n. 13721): l’ordine ad una delle parti in causa di esibire un documento postula dunque che il documento stesso sia “necessario al processo”, o “concernente la controversia”;

10.2. tale requisito, coordinato con la natura dispositiva del procedimento civile e con i principi sull’onere della prova, porta a ritenere che la possibilità di impartire questo ordine sussista soltanto per atti che siano specificamente individuati od individuabili, e dei quali inoltre sia noto od almeno assertivamente indicato un contenuto preciso, riconducibile ad una concreta pretesa dell’istante, ciò che non ricorreva nel caso all’esame;

11. anche il quinto motivo va ritenuto assorbito, poichè, come afferma lo stesso ricorrente principale, soltanto nella insussistenza della giusta causa di recesso l’agente avrebbe diritto all’ulteriore risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1751 c.c., comma 4, unitamente all’indennità sostitutiva del preavviso ed a quella di cessazione del rapporto;

12. la formulazione del sesto motivo già di per sè presenta profili di inammissibilità e, comunque, le prove non sono state ammesse non perchè inammissibili o irrilevanti, come dedotto, ma perchè la prova della sussistenza della giusta causa, e della conseguente insussistenza del diritto di credito vantato dal ricorrente, è stata ritenuta in base alla documentazione prodotta in giudizio dalla Allianz Bank;

RICORSO INCIDENTALE:

13. è dedotta la nullità degli accordi economici collettivi ed è ribadito il diritto di Allianz Bank alla ripetizione dell’indebito pagamento dell’indennità di cessazione del rapporto al FIRR, assumendosi violazione e falsa applicazione degli artt. 1751,1418 e 1419 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3: secondo la società, le previsioni degli accordi economici collettivi per il settore commercio, che dispongono la corresponsione all’agente in ogni caso di risoluzione del rapporto dell’indennità di scioglimento del contratto, frutto degli accantonamenti del preponente presso l’Enasarco, sarebbero in contrasto sia con la Direttiva 86/653/CEE, artt. 17 e 19, sia con l’art. 1751 c.c.;

13.1. si chiede che venga disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 del Trattato dell’Unione Europea per l’interpretazione dell’art. 17 della Direttiva del Consiglio 18.12.1986, 86/653/CEE relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti per non rappresentare l’art. 1751 c.c., puntuale e completa attuaizone dell’art. 17 della Direttiva;

13.2. il rinvio pregiudiziale c.d. interpretativo, di cui si tratta – che consiste nell’adire la Corte se si nutrono dubbi sull’interpretazione di una disposizione Europea di rango primario o secondario – ha, di regola, carattere facoltativo, diversamente dal rinvio pregiudiziale c.d. di validità che è sempre obbligatorio;

13.3. la suddetta facoltatività è piena per i giudici nazionali avverso le cui decisioni possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno (quale nella fattispecie in esame la Corte d’appello) mentre è “relativa” per i giudici di ultima istanza, che, come chiarito dalla stessa consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia UE (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, causa C-283/81, 5 Cilfit), in presenza di una questione interpretativa del diritto della UE devono adempiere l’obbligo del rinvio, soltanto dopo aver constatato “alternativamente” che:

1) la suddetta questione esegetica è rilevante ai fini della decisione del caso concreto;

2) la disposizione di diritto UE di cui è causa non ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della CGUE;

3) la soluzione della questione non è ricavabile “da una costante giurisprudenza della Corte che, indipendentemente, dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di stretta identità fra le materie del contendere”;

4) la corretta applicazione del diritto Europeo non è tale da imporsi “con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”, con l’avvertenza che la configurabilità di tale ultima eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza (vedi Corte giust., 17 maggio de 2001, causa C340/99, TNT Traco, punto 35; 30 settembre 2003, causa C224/01, Kiibler, punto 118; 4 giugno 2002, causa C-99/00, Kenny Roland Lyckeskog);

13.4. pertanto, i giudici nazionali le cui decisioni sono impugnabili non sono neppure tenuti a motivare in modo esplicito la decisione di non accogliere la sollecitazione della parte ad effettuare il rinvio pregiudiziale interpretativo, tanto più che l’iniziativa di rimettere la questione pregiudiziale, pur potendo essere avanzata e richiesta da una delle parti del giudizio, spetta unicamente al giudice nazionale, essendo il procedimento estraneo a ogni iniziativa delle parti (Corte giust., 16 dicembre 2008, causa C210/06, Cartesio, punto 90; 21 luglio 2011, causa C-104/10, Kelly, punto 62; 18 luglio 2013, causa C-136/12, Consiglio nazionale dei geologi e Autorità garante della concorrenza e del mercato, punto 28) e non può costituire un mezzo di ricorso a disposizione delle parti di una controversia dinanzi al giudice nazionale (Corte giust., ord. 3 luglio 2014, causa C-19/14, Talasca, punto 22);

13.5. nella specie, secondo giurisprudenza consolidata, si applica la normativa in concreto più favorevole non ex ante (cfr., ex aliis, Cass. 14.1.2016, Cass. 1.8.2013 n. 18413) e la censura non tocca la ratio decidendi della pronunzia oggetto di impugnazione;

13.6. la Direttiva non ha, posto un limite inderogabile quanto ai presupposti dell’istituto dell’indennità di fine rapporto, come sostenuto dalla difesa della Società: la normativa Europea ha posto unicamente un limite di inderogabilità esclusivamente in senso peggiorativo per l’agente, lasciando iberi invece gli stati membri (e l’autonomia collettiva, in base a quanto stabilito dal i principi generali) di introdurre normative di favore (art. 19: “Le parti non possono derogare… agli artt. 17 e 18 a detrimento dell’agente commerciale”);

13.7. La Corte di Giustizia Europea, a differenza di quanto prospetta la ricorrente incidentale, ha sì affermato l’inderogabilità da parte degli accordi collettivi dei criteri fissati con direttiva per la liquidazione dell’indennità di cessazione del rapporto, “a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisca, in ogni caso, all’agente commerciale, un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione” delle disposizioni della direttiva medesima”;

13.8. il fatto che, come nel caso della previsione dell’AEC, le parti collettive abbiano ritenuto di garantire comunque un emolumento da corrispondere all’agente in caso di cessazione del rapporto, indipendentemente dalla ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 1751 c.c., rientra appieno nell’ambito di derogabilità in melius che la normativa Europea consente, alla luce di un accertamento ex post che permette di verificarne la vantaggiosità per l’agente;

14. infine, è inammissibile anche la questione di legittimità costituzionale sollevata per violazione degli artt. 76 e 117 Cost., dovendo la stessa risultare rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo (in senso conforme vedi, tra le altre: Cass. 18 febbraio 1999, n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. 29 ottobre 2003, n. 16245; Cass. 16 aprile 2.018, n. 9284; Cass. 24 febbraio 2014, n. 4406);

14.1. l’inammissibilità di tutti i motivi scrutinati rende la prospettata questione di legittimità costituzionale priva di rilevanza ai fini della decisione, che è, come noto, uno dei requisiti di delibazione, evidenziandosi l’inammissibilità delle questioni di legittimità che non motivino in modo sufficiente il contrasto con i parametri costituzionali (Corte Cost. 10 dicembre 1987, n. 485; Corte Cost. 22 novembre 2001, n. 373; Corte Cost. 24 giugno 2004, n. 187; Cass. 26 giugno 2019, n. 17143 e altre conformi);

15. in conclusione, deve pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità di entrambi i ricorsi;

16. le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, avuto riguardo alla reciproca soccombenza;

17. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e di quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibili entrambi i ricorsi. Compensa tra le parti le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019

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