Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31393 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 02/12/2019), n.31393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Guido – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20199/2018 proposto da:

DUSTY S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 294, presso lo studio

dell’avvocato PAOLA BARTOLINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

SILVESTRO VITALE;

– ricorrente –

contro

M.G., C.G., CA.FI.,

CO.SE., G.F., S.S., SP.RA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato ELENA MORO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 387/2018 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 26/04/2018, R. G. N. 13/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO RAIMONDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato SILVESTRO VITALE;

udito l’Avvocato ELENA MORO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza emessa in data 7.12.2017 dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto era rigettata l’opposizione proposta dalla società Dusty s.r.l., secondo il rito previsto dalla L. n. 92 del 2012, avverso l’ordinanza del giudice monocratico datata 8.5.2014 ed era così confermata la nullità del licenziamento collettivo intimato a M.G., Sp.Ra., C.G., Co.Se., Ca.Fi., S.S. e G.F. con lettera dell’8.5.2013, la condanna della società datrice di lavoro al pagamento, in favore di ciascun lavoratore, di un’indennità risarcitoria commisurata a 11 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e alla corresponsione dell’indennità sostitutiva della reintegra nel posto di lavoro, pari a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto, in ragione dell’opzione medio tempore formulata dai lavoratori, oltre al pagamento delle spese processuali.

2. Contro la predetta sentenza la Dusty s.r.l. proponeva reclamo alla Corte di appello di Messina. Nel rigettare il reclamo con sentenza pubblicata il 26.4.2018, la Corte messinese respingeva la tesi secondo la quale non sarebbe possibile la verifica giudiziale della legittimità del criterio identificativo degli esuberi, che in questo caso era stato individuato dalla società con riferimento esclusivamente ai lavoratori – tutti – impiegati nell’unità produttiva da sopprimere, a causa del venir meno del rapporto di appalto con una diversa società, ATO ME2, quando manchino obiezioni sollevate dalle organizzazioni sindacali, in sede di esame congiunto, alla scelta di tale criterio e, in concreto, riteneva l’inadeguatezza della motivazione addotta dalla datrice di lavoro. La Corte territoriale considerava poi inconferente il richiamo della Dusty s.r.l. all’art. 6 del c.c.n.l. del settore Igiene Ambientale – FISE – Servizi ambientali e territoriali – FEDERAMBIENTE, giacchè la norma collettiva invocata non riguardava i licenziamenti collettivi, ma la diversa ipotesi inerente la sorte dei lavoratori addetti a un determinato cantiere nell’ipotesi di cambio appalto.

3. Contro la predetta sentenza della Corte di appello di Messina la società Dusty s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. I lavoratori hanno resistito con controricorso e hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si deve osservare, quanto alla tempestività del controricorso, che una prima notifica al difensore di parte ricorrente non andava a buon fine per ragioni non imputabili ai controricorrenti. In effetti il legale di parte ricorrente eleggeva domicilio in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. Paola Bartolini, mentre in realtà quest’ultima professionista si era trasferita dall’indirizzo di (OMISSIS) a quello di (OMISSIS), sempre in (OMISSIS), fin dal 23.10.2013. La notifica del controricorso, quindi, non andava a buon fine per irreperibilità del destinatario. La busta veniva restituita al mittente in data 24.8.2018. Il difensore dei controricorrenti, Avv. Elena Moro, si attivava e, assunte le necessarie informazioni, completava il processo notificatorio consegnando l’atto all’Unep di Messina in data 28.8.2018. La tempestiva attivazione dei controricorrenti consente loro di beneficiare, come riconosciuto in udienza dal legale della ricorrente, della rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2 (v. Cass. n. 20700 del 2018, e Cass., S.U., n. 14594 del 2016). Il controricorso si deve perciò ritenere tempestivo.

2. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

3. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, cioè della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere l’inadeguatezza della motivazione offerta dalla parte datoriale per giustificare la limitazione della platea dei lavoratori interessati dalla procedura di licenziamento collettivo all’unità produttiva da sopprimere, giacchè la comunicazione di apertura della procedura conteneva un’argomentata motivazione delle ragioni organizzative e giuridiche che imponevano l’adozione di quel criterio di scelta. Inoltre la sentenza impugnata avrebbe erroneamente misconosciuto la rilevanza giuridica dell’assenza di opposizione al criterio adottato dalla società da parte delle organizzazioni sindacali in sede di esame congiunto.

4. Nessun errore di diritto è ravvisabile nella sentenza impugnata nell’applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1.

5. La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, le esigenze di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5, comma 1, riferite al complesso aziendale, possono bensì costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purchè il datore indichi nella comunicazione della L. n. 223 citata, ex art. 4, comma 3, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Ne consegue che, qualora, nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell’obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali (ex multis, Cass. n. 22878 del 2018 (ord.); n. 4678 del 2015).

6. Sul punto la sentenza impugnata, dopo aver escluso la pertinenza del richiamo da parte della società oggi ricorrente all’art. 6 del CCNL del settore Igiene Ambientale – FASE – Servizi ambientali e territoriali – FEDERAMBIENTE, giacchè la richiamata disposizione collettiva riguardava l’ipotesi, ben diversa da quella litigiosa, della sorte dei dipendenti di un determinato cantiere, nell’ipotesi di cambio appalto, riteneva la assoluta genericità della giustificazione offerta dalla società nella comunicazione di avvio della procedura per la restrizione della platea degli esuberi, giustificazione consistente in “ragioni attinenti l’ordinaria organizzazione del lavoro”, “esclusivamente in relazione al venir meno dell’unità produttiva cui i licenziati appartenevano.

7. Il giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità deve comunque verificare, con valutazione di merito a lui devoluta e non censurabile nel giudizio di legittimità se non nei limiti di quanto consentito dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, o per violazione del “minimo costituzionale” della motivazione (Cass. S.U. n. 8053 del 2014), l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura.

8. In realtà la censura non individua alcuna violazione di diritto rimproverabile alla sentenza impugnata, ma tende inammissibilmente ad una diversa ricostruzione fattuale della vicenda, affermando l’adeguatezza della detta comunicazione.

9. Per quanto riguarda poi il rilievo da riconoscere alla mancanza di opposizione da parte sindacale nel corso dell’esame congiunto, la giurisprudenza di questa Corte è ferma oramai da tempo nel ritenere, con orientamento che si condivide, che il vizio consistente nella mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, invalida la procedura e determina l’efficacia dei licenziamenti, e non è sanato dalla successiva stipulazione di accordo sindacale di riduzione del personale (Cass. n. 15479 del 2007). Ancora di recente si è affermato che l’accordo di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 5, non costituisce una sanatoria dei vizi della procedura, restando per il giudice l’obbligo della verifica in sede di merito circa l’effettiva completezza della comunicazione (Cass. n. 7837 del 2018).

10. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme della contrattazione collettiva nazionale, in particolare dell’art. 6 del c.c.n.l. del settore Igiene Ambientale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ciò in primo luogo perchè la sentenza impugnata avrebbe errato nello stabilire la gerarchia tra la norma collettiva invocata e la L. n. 223 del 1991, art. 5 e nel ritenere quindi la prevalenza di quest’ultima sul c.c.n.l., giacchè la norma di legge citata, prima di dettare i criteri legali per le graduatorie, rinvia prioritariamente alla contrattazione collettiva. In secondo luogo l’interpretazione sistematica della citata contrattazione collettiva avrebbe dovuto condurre ad affermare che le parti sociali, nei comparti quali quello litigioso, soggetti a un periodico e costante avvicendamento della gestione dei servizi appaltati, avrebbero predisposto regole tassative per la tutela occupazionale del personale stabilmente addetto al relativo appalto, in guisa tale da incardinare il lavoratore oggettivamente al servizio a prescindere dal soggetto imprenditoriale che lo gestisca nel tempo.

11. A proposito dell’art. 6 del CCNL del settore Igiene Ambientale – FISE – Servizi ambientali e territoriali – FEDERAMBIENTE, si è detto che la Corte territoriale ha escluso la rilevanza di questa disposizione collettiva, perchè essa riguarda l’ipotesi, diversa da quella qui in esame, della sorte dei dipendenti di un determinato cantiere, nell’ipotesi di cambio appalto. In particolare la sentenza impugnata osserva che questa disposizione è finalizzata a garantire l’assunzione ex novo del personale della precedente gestione da parte della nuova ditta appaltatrice, con il mantenimento di determinate garanzie a favore dei lavoratori addetti al medesimo appalto, per cui si tratta di una disposizione volta a garantire la conservazione dei posti di lavoro occupati presso la precedente gestione e, dunque, dei livelli occupazionali, e non diretta a incardinare i lavoratori in un determinato territorio.

12. Questa lettura della disposizione collettiva in esame offerta dalla Corte territoriale non viene efficacemente criticata dalla società ricorrente, che si limita ad opporre a quella della sentenza impugnata una diversa interpretazione della stessa disposizione, invocando ragioni sistematiche, non compiutamente esplicitate, e di opportunità, ma senza confrontarsi con la motivazione della Corte messinese, basata sulla funzione della stessa disposizione, estranea alla fattispecie della ristrutturazione aziendale.

13. Relativamente alla questione della gerarchia tra la norma collettiva invocata e la L. n. 223 del 1991, art. 5, la doglianza è inammissibile perchè volta a censurare una diversa ragione del decidere della sentenza impugnata, a sorreggere la quale sul punto è sufficiente la statuizione relativa all’inconferenza della disposizione collettiva in discorso.

14. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso è quindi complessivamente da rigettare.

15. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

16. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019

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