Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31392 del 30/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2019, (ud. 03/10/2019, dep. 02/12/2019), n.31392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Guido – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17111/2018 proposto da:

DE VIZIA TRANSFER S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CORNELIO NEPOTE 16,

presso lo studio dell’avvocato ROSARIA INTERNULLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato PAOLO CIARIMBOLI;

– ricorrente –

contro

D.S.M., S.F., T.A.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIUSEPPE PICOZZI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2450/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/04/2018, R.G.N. 3497/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO RAIMONDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2011/17 il Tribunale di Nola, in funzione di giudice del lavoro, rigettava l’opposizione proposta dalla società De Vizia Transfer p.a. avverso l’ordinanza, emessa dallo stesso Tribunale ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 49, ordinanza che – in accoglimento dell’impugnativa presentata da D.S.M., S.F. e T.A. – aveva annullato i licenziamenti loro intimati nel quadro di una procedura di licenziamento collettivo, ordinato la loro reintegra nel posto di lavoro e condannato la società al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto pari a dodici mensilità e dei contributi previdenziali ed assistenziali, con condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle spese di lite.

2. Contro la detta sentenza la società De Vizia Transfer proponeva reclamo dinanzi alla Corte di appello di Napoli, la quale, con sentenza pubblicata il 13.4.2018, rigettava l’impugnazione.

3. Per quanto qui interessa, la Corte di appello riteneva inammissibile perchè tardiva e comunque infondata la doglianza della reclamante relativa alla allegata incompatibilità del giudice – persona fisica – della fase sommaria ai sensi della L. n. 92 del 2012, nel susseguente giudizio di opposizione, come era avvenuto nel giudizio di primo grado, e rigettava le censure della società De Vizia Transfer relative all’applicazione della L. n. 223 del 1991, confermando le conclusioni del giudice di prime cure secondo cui i licenziamenti erano illegittimi per violazione delle regole legali sui criteri di scelta nel quadro dei licenziamenti collettivi. Osservava in particolare la Corte di appello che l’azienda, dopo aver promosso il licenziamento collettivo di tutti i sedici operai che componevano l’unità produttiva in tesi divenuta superflua, aveva in un primo momento rinunciato a licenziare due lavoratori e aveva poi revocato il licenziamento ad altri quattro, per cui vi era stata una selezione dei lavoratori da licenziare in assenza di alcun criterio.

4. Avverso quest’ultima sentenza la società De Vizia Transfer propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. D.S.M., S.F. e T.A. resistono con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione (disapplicazione e omessa pronuncia) degli artt. 348 bis, 348 ter e 436 bis c.p.c., introdotti dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, presumibilmente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando il mancato esame preliminare da parte del giudice di appello in vista della possibile declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione in caso di mancanza per quest’ultima di “una ragionevole probabilità di essere accolta”.

3. Con il secondo motivo De Vizia Transfer si duole della violazione dell’art. 111 Cost., comma 2, per inosservanza dell’onere del giudice di merito di svolgere l’attività istruttoria esclusa nella fase sommaria. Sarebbe stato negletto il principio secondo il quale la possibilità per il medesimo giudice persona fisica di decidere sia la fase sommaria sia la fase dell’opposizione nel rito di cui alla L. n. 92 del 2012, sarebbe imprescindibilmente condizionata dallo svolgimento di un’adeguata attività istruttoria.

4. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, si presume ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la sentenza impugnata esaminato le ragioni, che erano state esposte in sede di gravame, per cui la ricorrente, per sua ammissione, non aveva indicato i criteri di scelta del personale da licenziare e non aveva “attinto” i nuovi assunti dalle cosiddette “liste di mobilità”. La Corte di appello avrebbe trascurato di considerare che la ricorrente, non dovendo selezionare il personale da licenziare, ma recedere da tutti i rapporti lavorativi, per sopraggiunta cessazione dell’attività dell’unità produttiva interessata, nè potendo ricollocare i lavoratori licenziandi essendo impossibile la riutilizzazione delle loro mansioni in altri settori dell’azienda (“irriciclabilità”) non era tenuta a ricorrere all’utilizzo di alcun criterio, legale o convenzionale. Sarebbero poi ingiustificate le critiche circa la violazione del cosiddetto diritto di precedenza dei lavoratori in mobilità per non avere l’azienda riconvocato le organizzazioni sindacali al momento della “ripresa” dei quattro operai ai quali era stato revocato il licenziamento.

5. Con il quarto motivo la società ricorrente denuncia un vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata, che avrebbe del tutto evitato di esaminare due motivi di ricorso, relativi l’uno al carattere discriminatorio (per antisindacalità) del licenziamento e l’altro alla rilevanza del nulla osta sindacale ai sensi dell’art. 14 accordo interconfederale del 18.4.1966, ritenuti insussistenti dal giudice della fase sommaria e dell’opposizione ed espressamente rievocati in sede di appello.

6. Il primo motivo, con il quale la società ricorrente lamenta il mancato esame preliminare da parte del giudice di appello in vista della possibile declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione in caso di mancanza per quest’ultima di “una ragionevole probabilità di essere accolta”, è inammissibile per una evidente carenza d’interesse, trattandosi della impugnazione della stessa società oggi ricorrente e allora reclamante.

7. In ordine al secondo motivo, va ricordato che la Corte di appello aveva rigettato la doglianza relativa all’identità della persona fisica del giudice in primo grado nella fase sommaria ed in quella di opposizione in base a due diversi ordini di considerazioni, ciascuno idoneo a sorreggere la sentenza sul punto: da una parte l’inammissibilità per il divieto dello jus novorum in appello e, dall’altra, l’infondatezza della questione sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione, espressesi a più riprese nel senso della compatibilità con la Costituzione della norma della L. n. 92 del 2012, che non prevede l’assegnazione del procedimento in fase di esecuzione a un giudicante diverso da quello della fase sommaria. Di queste due autonome ragioni del decidere viene impugnata solo la seconda. Di qui l’inammissibilità anche di questo motivo.

8. La doglianza è comunque infondata. In sostanza la ricorrente lamenta la mancata ammissione anche da parte della Corte di appello dei mezzi istruttori il cui espletamento essa aveva richiesto. Sul punto la Corte di appello si è pronunciata osservando che la prova testimoniale richiesta dalla società sia nella fase sommaria sia in quella dell’opposizione non avrebbe potuto far luce sul punto decisivo, giacchè la ricorrente aveva chiesto di provare le qualifiche e le mansioni dei dipendenti riassunti e di quelli non licenziati, il che avrebbe potuto avere rilievo se la società avesse, già nelle comunicazioni di cui alla L. n. 223 del 1991, individuato con precisione i criteri di scelta adottati e le modalità di applicazione degli stessi. Per rimettere in discussione questa valutazione la ricorrente avrebbe dovuto impugnare questa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 5, nuova versione, o al limite alla stregua del comma 4 sostenendone l’inesistenza o l’apparenza, ma non lo ha fatto (Cass., SU. n. 8053 del 2014). Non è poi condivisibile la lettura da parte ricorrente della giurisprudenza costituzionale nel senso che l’unicità della persona fisica del giudice nelle due fasi rispettivamente sommaria e di opposizione del c.d. rito “Fornero” sarebbe costituzionalmente compatibile esclusivamente quando vi sia un”‘approfondita istruttoria” nell’una o nell’altra fase. Le necessità istruttorie sono sempre valutate dal giudice, nell’una e nell’altra fase, naturalmente sotto il controllo del giudice di appello e, eventualmente, di questa Corte, nei limiti delle impugnazioni proposte. Imporre una “approfondita istruttoria” anche quando il giudice non ne valuti la necessità costituirebbe evidentemente una forzatura, che certamente entrerebbe in tensione, a tacer d’altro, con il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dello stesso art. 111 Cost., qui invocato dalla ricorrente.

9. Il terzo motivo è del pari infondato.

10. Con questa doglianza la società ricorrente censura in particolare la sentenza impugnata per aver dedotto l’illegittimità dei licenziamenti dalla mancata indicazione da parte della datrice di lavoro dei criteri di scelta del personale da licenziare e per non aver “attinto” i nuovi assunti dalle cosiddette “liste di mobilità”. Sotto il primo profilo si fa valere che non c’era necessità dei criteri, giacchè tutti i lavoratori dell’unità produttiva interessata dovevano essere licenziati. Sotto il secondo profilo si fa valere che quattro dei lavoratori originariamente licenziati sarebbero stati “ripresi” – in realtà i relativi licenziamenti erano stati revocati e i lavoratori interessati non avevano mai lasciato l’azienda – a procedura oramai conclusa, per cui non se ne doveva tener conto. Sarebbero poi ingiustificate le critiche circa la violazione del cosiddetto diritto di precedenza dei lavoratori in mobilità per non avere l’azienda riconvocato le organizzazioni sindacali ai momento della “ripresa” dei quattro operai ai quali era stato revocato il licenziamento.

11. In realtà nessun errore di diritto è riscontrabile nel ragionamento della sentenza impugnata, che ha accertato in fatto come non corrispondesse al vero la limitazione della scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti al reparto da sopprimere, osservando in primo luogo come già all’inizio l’impresa avesse rinunciato a licenziare due dei lavoratori del gruppo interessato, per cui in luogo di sedici erano stati licenziati quattordici operai, e che per altri quattro era stata poi disposta la revoca del licenziamento senza la riconvocazione delle organizzazioni sindacali, per cui l’operazione si era risolta nel licenziamento di dieci dipendenti in violazione di quanto risultante dall’esame congiunto con le organizzazioni sindacali e in difetto dei criteri di scelta.

12. Secondo la ricorrente la L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, sarebbe stato violato perchè della revoca del licenziamento dei quattro lavoratori non si dovrebbe tener conto in quanto essa sarebbe avvenuta dopo la conclusione della procedura, mentre nulla si dice a proposito dei due lavoratori per i quali l’impresa aveva rinunciato al licenziamento.

13. Correttamente la Corte di appello, valutando complessivamente la situazione di fatto accertata in giudizio (tra l’altro, come si è notato, i quattro lavoratori in questione, come i due per i quali l’azienda aveva rinunciato al licenziamento, non avevano mai lasciato l’azienda) ha constatato che vi era stata una selezione dei lavoratori da licenziare al di fuori dell’applicazione di qualunque criterio, convenzionale o legale, concludendo ineccepibilmente per l’illegittimità dei recessi. Relativamente all’accertamento di fatto di cui si è detto non vengono sollevate censure relative alla motivazione della sentenza della Corte territoriale.

14. Condivisibilmente i controricorrenti osservano che oggettivamente l’azienda a distanza di un mese dalla conclusione della procedura di licenziamento collettivo era in grado di ricollocare quattro lavoratori presso altre unità produttive, per cui, essendo mutata la situazione tecnica organizzativa-produttiva aziendale, avrebbe dovuto richiedere un nuovo esame congiunto con le organizzazioni sindacali al fine di giungere a una riduzione delle unità in esubero, ciò che avrebbe comportato necessariamente la fissazione dei criteri di scelta per individuare i restanti lavoratori da licenziare.

15. il quarto motivo è inammissibile. A tacer il fatto che la ricorrente lamenta il mancato esame non di domande proprie, ma di domande di controparte, per cui vi è mancanza di interesse all’impugnazione, non viene neanche indicato il luogo degli atti processuali nel quale le questioni sulle quali la Corte di appello non si sarebbe pronunciata sarebbero state formulate, in violazione del principio dell’autosufficienza del ricorso in cassazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

16. Segue alle svolte considerazioni il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

17. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione a favore dell’avv. Giuseppe Picozzi, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019

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