Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31390 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 02/12/2019), n.31390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26655-2016 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 72,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 175, (DIREZIONE AFFARI LEGALI DI ROMA DI POSTE ITALIANE),

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO SEBASTIANO CAMPISI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO CAVUOTO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

P.L.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 475/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/05/ r.g.n. 503/2015.

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, revocato il decreto ingiuntivo n. 203/2013 emesso dal Tribunale di Prato su ricorso di Poste Italiane s.p.a., ha condannato P.L. a restituire alla detta società l’importo di Euro 50.916,82, oltre interessi legali dalla domanda;

1.1. che la pretesa azionata in via monitoria dalla società Poste Italiane traeva origine dal pagamento della somma lorda di Euro 100.837,39 effettuato in favore del P. in esecuzione di sentenza di primo grado la quale, accertata la illegittimità del termine apposto al contratto inter partes, aveva condannato la società al ripristino del rapporto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalle messa in mora; in secondo grado la statuizione risarcitoria era stata riformata avendo il giudice di appello, in applicazione del disposto di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, condannato Poste Italiane s.p.a. al pagamento di un’indennità commisurata a sei mensilità della retribuzione globale di fatto oltre che alle retribuzioni maturate dalla sentenza di primo grado alla data delle dimissioni rassegnate dal lavoratore;

1.2. che la Corte di merito, ritenuto provato sulla base della genericità di contestazione da parte del P., l’assunto di Poste Italiane circa l’avvenuto pagamento della somma lorda di Euro 100.837,39, ritenuta ammissibile la produzione documentale di seconde cure della società, ha condannato il lavoratore alla restituzione dell’importo risultante dalla differenza tra la complessiva somma erogata da Poste Italiane e quella, pari a sei mensilità di retribuzione a titolo di indennità risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex art. 32 e alle ulteriori retribuzioni spettanti nel periodo dalla data di conversione del rapporto alle dimissioni; ha, quindi, precisato che la restituzione andava limitata alle sole somme effettivamente percepite dal lavoratore, e, quindi, al netto delle ritenute fiscali;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P.L. sulla base di un unico articolato motivo; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e ricorso incidentale affidato anch’esso ad un unico motivo; P.L. ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale;

2.1. che parte ricorrente principale ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. Che preliminarmente deve essere disattesa la eccezione della parte controricorrente relativa alla omessa attestazione di conformità alla copia informatica della procura alle liti dell’originale analogico ex art. 22, comma 2 C.A.D., avendo il procuratore del P. effettuato la prescritta attestazione, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1 bis, e successive modifiche, della conformità della copia in formato analogico e cartaceo del ricorso e (quindi) della procura alle liti notificati in formato digitale a mezzo posta elettronica certificata mediante invio in data 17.11.2016; che, peraltro, l’eccezione sarebbe inammissibile anche alla luce di Cass. Sez. Un. 22438 del 2018 non avendo la società controricorrente disconosciuto la conformità della copia all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2;

2. che con l’unico motivo di ricorso principale, articolato in più profili, si deduce violazione dell’art. 2697 c.c., in connessione con gli artt. 115,416 e 437 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c. nonchè omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione fra le parti.

Che si assume la violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte di merito fondato la decisione sulla documentazione, costituita dai prospetti paga, prodotta da Poste Italiane, documentazione di esclusiva formazione e provenienza della società. Ci si duole, inoltre, che la Corte di merito si sia pronunziata su una questione (generica contestazione dei fatti allegati da controparte da parte del P.) non devoluta in seconde cure con l’atto di gravame della società e sulla quale, pertanto, la statuizione di primo grado era divenuta definitiva. Si contesta, altresì, l’affermazione della Corte di merito che aveva fondato l’acquisizione in seconde cure di nuovi documenti sulla natura di eccezione in senso lato della eccezione di pagamento; si osserva, infatti, che in relazione alla pretesa restitutoria avanzata dalla società la effettuazione del pagamento si configurava quale fatto costitutivo e non mera eccezione; in ogni caso, si critica la valutazione di genericità della contestazione riferita ai documenti prodotti da controparte alla luce delle difese spiegate dal P. nella memoria di costituzione in appello;

3. che con l’unico motivo di ricorso incidentale Poste Italiane s.p.a. censura la sentenza impugnata per avere riconosciuto in capo al datore di lavoro l’obbligo del pagamento degli oneri fiscali senza possibilità di recupero nei confronti del lavoratore, in violazione dell’art. 53 Cost. del D.P.R. n. 602 del 1973, del D.P.R.n. 917 del 1986, D.P.R. n. 147 del 2014, nonchè, senza possibilità di recupero, degli oneri previdenziali, in violazione della L. n. 218 del 1952, artt. 19 e 23; censura, inoltre, la decisione per avere calcolato la differenza da restituire sulla base del confronto tra importi non omogenei;

4. che il motivo di ricorso principale è da respingere. La sentenza impugnata ha affermato che il lavoratore, nel ricorso in opposizione, aveva solo genericamente contestato la produzione documentale di Poste Italiane s.p.a. relativa all’avvenuta erogazione delle somme in controversia, rappresentata dai prospetti paga e ulteriormente osservato che la modalità di articolazione delle difese sul punto non rispettava il disposto dell’art. 416 c.p.c., comma 3; dal tenore della memoria difensiva (rectius del ricorso in opposizione di P., convenuto sostanziale nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, n.d.r.) non era, infatti, desumibile se il P. avesse contestato di avere ricevuto gli importi, o di averli percepiti solo in parte o se avesse contestato il mero diritto di controparte alla restituzione delle somme; tale atteggiamento era stato riproposto in sede di gravame in quanto l’appellato non aveva chiarito se avesse o meno ricevuto, in tutto o in parte, il pagamento degli arretrati “fatto che, data la notevole entità del relativo importo, è presumibile sia stato verificato dal lavoratore”; la documentazione prodotta in seconde cure dalla società, produzione ammissibile in quanto intesa a supportare un’eccezione di pagamento che non è eccezione in senso stretto, era stata solo genericamente disconosciuta dal lavoratore il quale non aveva contestato di essere stato il titolare del libretto postale sul quale era documentato il versamento di Euro 60.941,71 nette da parte di Poste Italiane;

4.1. che dal percorso argomentativo del giudice di appello si evince che il nucleo fondante le ragioni della decisione è costituito dalla valutazione del comportamento processuale del P. il quale, in violazione degli oneri sullo stesso gravanti ai sensi dell’art. 416 c.p.c., comma 1, quale convenuto sostanziale (ex plurimis Cass. n. 8718 del 2000), non aveva preso specifica posizione sui fatti allegati da controparte e tale atteggiamento aveva sostanzialmente mantenuto anche in seconde cure; le ulteriori affermazioni del giudice di appello in punto di generica confutazione della documentazione prodotta in seconde cure da Poste Italiane, si risolvono in un’argomentazione aggiuntiva destinata ad avvalorare, in via meramente confermativa, le conclusioni già aliunde attinte dalla Corte di merito; in questo contesto privo di concreta incidenza risulta il rilievo dell’odierno ricorrente principale – rilievo corretto in diritto in merito al fatto che nel caso di specie non veniva in questione una eccezione di pagamento da parte di Poste Italiane (giustificativa, in quanto eccezione in senso lato, dell’ammissione di ulteriore documentazione in seconde cure) ma un fatto costitutivo della pretesa restitutoria azionata dalla società (Cass. 7501 del 2012);

4.2. che le ragioni sopraindicate, alla base della sentenza impugnata sono idonee, di per sè sole, a sorreggere la decisione in quanto coerenti con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale poichè l’onere di provare i fatti allegati si configura se e quando essi vengano contestati dalle parti nei cui confronti sono dedotti, la circostanza che un elemento costitutivo della domanda sia pacifico opera da limite alla rilevabilità d’ ufficio della sua mancanza. Nel rito del lavoro, come chiarito dal giudice di legittimità, il carattere pacifico di una circostanza può anche derivare dalla mancata contestazione del fatto costitutivo nella memoria difensiva in primo grado e in appello, in relazione all’onere, posto dall’art. 416 c.p.c., comma 3 e art. 436 c.p.c., comma 2, a carico, rispettivamente, del convenuto e dell’appellato, di “prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda” e di compiere una “dettagliata esposizione di tutte le sue difese.” (Cass. n. 535 del 2003, Cass. n. 1902/2002, Cass. n. 2415 del 1995, Cass. n. 535 del 2003);

4.3. che quanto sopra rilevato è concludente nell’escludere la dedotta violazione della regola di distribuzione dell’onere probatorio ed assorbe ogni censura che investe la ritenuta genericità di contestazione della produzione documentale della società;

4.4. che la ulteriore questione prospettata dal ricorrente principale sub specie di violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., argomentata sul rilievo che l’atto di gravame di Poste Italiane non investiva con specifico motivo la idoneità della contestazione della pretesa restitutoria da parte del lavoratore, risulta inammissibile per difetto di autosufficienza non avendo il ricorrente proceduto alla trascrizione, nelle parti di pertinenza, degli atti (sentenza di primo grado e ricorso in appello) onde consentire al giudice di legittimità la verifica di fondatezza della censura qui articolata sulla base del solo esame del ricorso per cassazione, come prescritto (Cass. n. 13046 del 2006, Cass. n. 4840 del 2006, Cass., n. 16360 del 2004, Cass. Sez. Un. 2602 del 2003, Cass. n. 4743 del 2001);

4.5. che analoghe considerazioni comportano la inammissibilità della doglianza intesa a criticare nel merito la valutazione di genericità, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., comma 3, della contestazione effettuata dal P. in ordine alla circostanza allegata da Poste Italiane relativa al pagamento effettuato, stante la inidoneità a riguardo della trascrizione solo parziale di alcuni brani del ricorso in opposizione, insufficienti a consentire la ricostruzione compiuta delle difese articolate dal lavoratore ed a dare contezza del se e con quali modalità vi era stata contestazione del pagamento allegato da Poste, in termini conformi alla prescrizione dell’art. 416 c.p.c., comma 3, come sostenuto dall’odierno ricorrente principale. Come chiarito dal giudice di legittimità il potere di interpretazione e qualificazione della domanda da parte del giudice di merito non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma richiede l’accertamento e la valutazione del contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (Cass. 13602 del 2019, Cass. n. 8225 del 2004, Cass. n. 10182 del 2007), vizio quest’ultimo formalmente denunziato dall’odierno ricorrente, senza tuttavia che dalla relativa illustrazione emerga la assoluta incongruità o illogicità sul punto della decisione di appello;

5. che il ricorso incidentale è infondato;

5.1. che la decisione, laddove riconosce il diritto alla ripetizione delle sole somme corrisposte e, quindi, al netto delle ritenute fiscali, è coerente con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore di lavoro ha diritto a ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può, pertanto, pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venir meno con effetto “ex tunc” dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione del D.P.R. n., n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo (Cass. n. 13530 del 2019, Cass. 8614 del 2019Cass. n. 19735 del 2018, Cass. n. 1464 del 2012).

5.2. che le questioni che prospettano l’errore di diritto della soluzione condivisa dalla Corte di merito con riferimento alla normativa fiscale risultano superate dai condivisibili approdi sul punto ai quali è pervenuta la giurisprudenza di legittimità. In particolare, è stato ritenuto che nella ipotesi – qui ricorrente – nella quale il datore di lavoro, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23 abbia operato la ritenuta d’acconto dell’imposta sui redditi delle persone fisiche su somme corrisposte al lavoratore, divenute, come nel caso di specie, non dovute per effetto della riforma della sentenza in forza delle quali le somme in questione erano state erogate, si configura un’ipotesi di inesistenza, totale o parziale, dell’obbligo fiscale venuto meno, secondo una fisiologica dinamica processuale, con effetto ex tunc (Cass. n. 990 del 2019, Cass. n. 19735 del 2018, Cass. n. 6072 del 2012, Cass. n. 8829 del 2007). In tal senso, del resto, Cass. n. 21699 del 2011 ha ben evidenziato che l’azione di restituzione e riduzione in pristino, che venga proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento si collega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza con riferimento a prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti, e quindi giuridicamente di un pagamento non dovuto;

5.3. che legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sono sia il soggetto che ha effettuato il versamento – cd. “sostituto di imposta” -, sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta – cd. “sostituito” – (cfr., tra le altre, Cass. n. 517 del 2019, Cass. n. 19735 /2018 cit., Cass. n. 16105 del 2015, Cass. n. 14911 del 2015, Cass.5653 del 2014);

5.4. che in ipotesi di concreta inutilizzabilità da parte di Poste Italiane del rimedio previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, per decorso del termine di presentazione dell’istanza di rimborso stabilito a pena di decadenza, di quarantotto mesi decorrente dal “versamento” delle somme non dovute, trova applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, avente carattere residuale e di chiusura del sistema, secondo il quale l’istanza di rimborso può essere presentata entro due anni dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (Cass. 12919 del 2019, Cass. n. 82 del 2014);

5.5. che quanto ora osservato rende ininfluenti, al fine dell’accoglimento della tesi della restituzione al lordo e non al netto delle ritenute fiscali, le argomentazioni formulate dalla società in tema di possibilità per il sostituito di recuperare le ritenute fiscali divenute non dovute attraverso il meccanismo della deducibilità D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 10, comma 1, lett. d) bis;

5.6. che la censura con la quale la società ha criticato la concreta determinazione della somma oggetto di restituzione da parte del P. assumendola frutto di calcolo fra importi non omogenei non è sorretta dalla esposizione dei fatti di causa e dalla trascrizione dei documenti di riferimento idonei a dimostrare, sulla base del solo esame del ricorso per cassazione, la fondatezza della doglianza articolata, per cui valgono le considerazioni già espresse nel paragrafo 4.4.;

6. che a tutto quanto sopra consegue il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale con compensazione delle spese di lite;

7. che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019

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