Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31387 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 02/12/2019), n.31387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14156/2014 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II n. 18 (STUDIO LEGALE LESSONA), presso lo studio

dell’avvocato MAURO MONTINI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) DI PISTOIA, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DELLE MILIZIE n. 2, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

CIOCIOLA, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO STOLZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1424/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 29/01/2014 R.G.N. 230/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Firenze ha accolto l’impugnazione principale proposta dall’Azienda Unità Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Pistoia avverso le sentenze n. 168/2010 e n. 29/2011 con le quali il Tribunale di Pistoia, in parziale accoglimento del ricorso del dirigente medico C.C., aveva, con la pronuncia non definitiva, dichiarato il diritto del ricorrente a percepire l’indennità di direzione di struttura complessa e la correlata indennità di esclusività medica e, con la sentenza definitiva pronunciata all’esito della disposta consulenza tecnica d’ufficio, condannato la AUSL al pagamento della somma di Euro 43.148,48 ed alla regolarizzazione previdenziale, da effettuarsi anche in relazione all’assegno ad personam corrisposto dall’Azienda, il cui ammontare, coincidente con quello dell’indennità di direzione di struttura complessa, andava portato in detrazione dalle somme a tale titolo rivendicate;

2. la Corte territoriale ha premesso che il C. a decorrere dal 7 novembre 2003 era stato nominato responsabile dell’unità operativa “Formazione” e successivamente aveva rivestito in aggiunta, prima ad interim e poi in via definitiva, la funzione di responsabile dell’unità operativa “Educazione e promozione salute”, conservata anche quando, nel gennaio 2009, la prima delle due unità era stata riclassificata e trasformata in ufficio formazione;

3. ha precisato che le strutture funzionali erano state istituite dall’Azienda ai sensi della L.R. Toscana n. 22 del 2000, art. 54, che aveva consentito la costituzione di strutture di “staff della direzione aziendale” e di “staff della direzione sanitaria”, in relazione alle quali il regolamento aziendale aveva poi previsto che, in considerazione della natura fiduciaria dell’incarico, i responsabili dovessero essere individuati fra i dirigenti dell’azienda, a prescindere dal ruolo professionale di appartenenza e dalle procedure previste dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15;

4. il giudice d’appello ha escluso che il C. potesse rivendicare l’intero trattamento retributivo previsto per i dirigenti medici di struttura complessa perchè, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, le parti collettive avevano riservato detto trattamento ai dirigenti preposti a strutture connotate dalla specifica funzione medica, non ravvisabile nella fattispecie in quanto alle unità operative di staff erano riservati compiti di natura organizzativa, ed in considerazione di ciò il regolamento aziendale aveva previsto che si potesse prescindere dalla procedura concorsuale e l’incarico, di natura squisitamente fiduciaria, potesse essere attribuito anche a dirigenti del ruolo amministrativo;

5. ad avviso della Corte fiorentina le peculiarità della struttura e dell’incarico giustificavano la diversità di trattamento economico e privavano di fondamento tutte le domande proposte dal C., il quale aveva fatto leva unicamente sulla natura complessa della struttura diretta;

6. infine il giudice d’appello ha rigettato l’appello incidentale del dirigente medico, riguardante la “diversa qualificazione del trattamento ad personam goduto nel periodo di riferimento”, ed ha ritenuto inammissibile la domanda relativa alla sua quiescibilità, perchè formulata contro il datore di lavoro e non contro l’ente previdenziale;

7. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.C. sulla base di otto motivi, ai quali l’Azienda Unità Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Pistoia ha replicato con tempestivo controricorso;

8. entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e/o falsa applicazione art. 2697 c.c. e del principio di non contestazione; violazione artt. 1175,1375 e 2103 c.c.; violazione e/o falsa applicazione D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52; violazione e/o falsa applicazione artt. 414,416,420,433 e 434 c.p.c.”;

1.1. premesso che le unità operative dirette costituivano pacificamente strutture complesse, il ricorrente assume che, in ossequio al principio di equivalenza delle mansioni sancito dall’art. 2103 c.c. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, la Corte territoriale avrebbe dovuto presumere la riconducibilità dell’incarico alla sfera professionale ed alla specializzazione del dirigente medico e, comunque, valorizzare la tardività delle deduzioni dell’appellante relative alla natura delle prestazioni rese dalla struttura, posto che nel giudizio di primo grado le contestazioni al riguardo erano state assolutamente generiche e prive della necessaria specificità;

1.2. aggiunge che ha errato il giudice d’appello nell’affermare che le strutture non svolgevano “attività medica in senso proprio”, perchè dalla documentazione prodotta emergeva che il dirigente medico aveva curato progetti di carattere sanitario, era stato autore di pubblicazioni scientifiche riguardanti i temi della prevenzione, dell’uso appropriato dei farmaci, dei rapporti fra salute ed ambiente;

1.3. deduce che in relazione al contenuto delle mansioni svolte erano stati articolati capitoli di prova testimoniale e le relative circostanze non erano state contestate dall’Azienda, che si era opposta all’ammissione ritenendo che le stesse fossero irrilevanti;

2. la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, addebita alla sentenza impugnata l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, perchè in assenza di motivazione la Corte territoriale ha ritenuto il carattere non medico delle mansioni svolte, smentito dalle risultanze dell’istruttoria;

3. con la terza critica il ricorrente torna a denunciare la violazione delle norme processuali già richiamate nel primo motivo e sostiene che il giudice di merito avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale richiesta in primo grado, riguardante le attività svolte dal personale assegnato alle strutture dirette dal C.;

4. il quarto motivo addebita alla sentenza impugnata la violazione di plurime disposizioni di legge (D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 19 e 45, D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 15 e segg., L.R. Toscana n. 22 del 2000, art. 54 e L.R. Toscana n. 40 del 2005, art. 63) e di contratto (artt. 35, 39, 40 e 42 c.c.n.l. 8/6/2000 per la dirigenza medica del S.S.N.; artt. 26 e 27 del CCNL 10.2.2004; art. 33 del CCNL 3.11.2005) perchè le parti collettive hanno valorizzato nella differenziazione del trattamento retributivo la sola natura della struttura diretta dal dirigente e pertanto la ASL avrebbe dovuto riconoscere le indennità previste in favore dei dirigenti preposti alla direzione di una struttura complessa, nessuna esclusa;

4.1. il ricorrente aggiunge che la fiduciarietà caratterizza tutti gli incarichi dirigenziali e quindi sulla stessa non si poteva fare leva per differenziare l’incarico attribuito al C. da quello degli altri titolari di struttura complessa;

4.2. rileva, inoltre, che l’Azienda si era attenuta al regolamento aziendale, conforme alla disciplina dettata dal legislatore nazionale e regionale, sicchè nessun rilievo poteva essere attribuito al mancato rispetto della procedura prevista dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 ter, comma 2;

4.3. il C. invoca il principio generale della parità di trattamento e fa leva sulla riserva alla contrattazione collettiva del regime retributivo dei dipendenti pubblici per sostenere che il trattamento economico deve essere necessariamente identico per tutti i medici titolari di una struttura complessa, senza che assuma rilievo la circostanza che nella specie l’incarico in discussione potesse essere attribuito anche ad un dirigente del ruolo amministrativo;

4.4. evidenzia che l’Azienda, nell’attribuire al dirigente medico un assegno ad personam, di ammontare pari all’indennità di struttura complessa, ed altre indennità tipiche della dirigenza medica (indennità di specificità medica, indennità di esclusività), aveva finito per stabilire unilateralmente un trattamento economico del tutto avulso da quello previsto dalla contrattazione collettiva;

4.5. sottolinea al riguardo che la Corte territoriale, quanto alla indennità di esclusività, non aveva compreso che la stessa era stata corrisposta al C., sebbene in misura inferiore a quella prevista per i dirigenti titolari di incarico di direzione di struttura complessa;

4.6. sulla base degli argomenti sintetizzati nei punti che precedono il ricorrente domanda la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, precisando che al giudice del rinvio andranno devolute anche le questioni, riproposte con l’appello incidentale, relative alla spettanza degli emolumenti erroneamente non riconosciuti dal Tribunale;

5. con il quinto motivo, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 3, C.C. si duole della violazione del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 13, comma 1 e della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 9 e rileva che ha errato la Corte territoriale nell’escludere il difetto di legittimazione passiva dell’AUSL n. (OMISSIS) di Pistoia in relazione alla domanda tendente ad ottenere l’accertamento della “piena quiescibilità nella cd. Fascia A del cd. assegno ad personam di Euro 9432,00 annui, a carattere fisso e continuativo”:

5.1. richiama giurisprudenza di questa Corte per affermare che la domanda proposta nel corso del rapporto di lavoro e diretta all’accertamento della computabilità di un emolumento nella base contributiva attiene agli obblighi nascenti dal rapporto di impiego e va tenuta distinta da quella, proposta dal dipendente già in quiescenza, diretta ad ottenere il conteggio di detta indennità nella pensione o nella base pensionistica ai fini della quantificazione del relativo trattamento;

5.2. correttamente, pertanto, la domanda stessa era stata proposta nei confronti del datore di lavoro in quanto attinente alla corretta determinazione della base contributiva;

6. con la sesta censura il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e deduce che la Corte d’appello di Firenze non poteva rilevare d’ufficio il difetto di legittimazione passiva dell’Azienda resistente, da quest’ultima non eccepito;

7. con il settimo motivo il C., lamentando la violazione di disposizioni di legge (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 13,L. n. 335 del 1995, art. 2,D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24,D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, comma 2 e art. 15 ter) e di contratto (artt. 35 e 39 c.c.n.l. 8/6/2000; art. 33 del c.c.n.l. 3/11/2005), sostiene che l’assegno personale doveva essere qualificato vera e propria retribuzione di posizione in quanto corrisposto in ragione dell’incarico dirigenziale conferito e diretto a remunerare le funzioni attribuite ai sensi della normativa legale e contrattuale richiamata nella rubrica;

7.1. nel contratto individuale l’Azienda aveva precisato che detto assegno andava a gravare sul fondo di cui all’art. 50 del CCNL 8.6.2000, circostanza questa che confermava la natura della componente stipendiale;

8. infine con l’ottava censura si insiste nella denuncia di violazione del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 13, comma 1 e L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 9 e nell’accertamento del carattere retributivo dell’assegno personale qualificabile retribuzione di posizione e, come tale, da includere nella quota A del trattamento di quiescenza;

9. i primi tre motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono inammissibili perchè, pur denunciando nella rubrica la violazione di norme di legge ed il vizio motivazionale, in realtà censurano l’accertamento di fatto compiuto dal giudice d’appello sulla natura dell’attività espletata dalla struttura diretta dal C. e sollecitano un diverso giudizio di merito, non consentito alla Corte di legittimità;

9.1. l’addebito formulato con il secondo motivo esula con evidenza dai limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo solo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia;

9.2. nell’interpretare la disposizione in parola le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie ” (Cass. S.U. n. 8053/2014);

9.3. il motivo di ricorso non è formulato nel rispetto delle condizioni sopra indicate ed inoltre, poichè addebita alla Corte di Appello di Firenze di avere “ritenuto pacifico un fatto (il carattere non medico delle mansioni svolte dal C. nel periodo di causa per effetto degli incarichi a lui assegnati) che tale non era stante le risultanze dell’istruttoria”, non è all’evidenza riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, posto che lo stesso ricorrente riconosce che il fatto, a suo dire decisivo, è stato in realtà esaminato e valutato dal giudice del merito;

9.4. le censure che denunciano errores in procedendo non rispettano gli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, perchè non riproducono, almeno nelle parti rilevanti, gli atti processuali (ricorso di primo grado, memoria difensiva), in relazione ai quali manca, altresì, ogni indicazione in merito all’allocazione nei fascicoli di parte o d’ufficio;

9.5. la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012);

9.6. la parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010);

9.7. con specifico riferimento alla violazione del principio della non contestazione è stato affermato, e deve essere qui ribadito, che ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il ricorrente è tenuto a precisare nel ricorso “in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica” (Cass. n. 24062/2017);

9.8. quanto, poi, alla mancata ammissione della prova testimoniale da tempo questa Corte ha evidenziato che la stessa si risolve in un vizio della motivazione solo qualora “la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento” (Cass. n. 11457/2007 e negli stessi termini Cass. n. 5654/2017 e Cass. n. 16214/2019); 9.9. il richiamato orientamento va oggi parzialmente rivisitato alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che rende ammissibile la censura nel giudizio di legittimità solo qualora dalla mancata ammissione sia derivato, quale conseguenza, l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini di causa, non ravvisabile nella fattispecie, per le ragioni già indicate al punto 9.3.;

9.10. in via conclusiva sussistono plurimi profili di inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso, sicchè è alla luce dell’accertamento compiuto dalla Corte territoriale sulla natura della struttura diretta dal C. e sulle modalità di conferimento dell’incarico che va valutata la fondatezza della quarta censura;

10. è opportuno premettere all’esame del motivo che pacificamente il ricorrente è stato chiamato a dirigere una struttura che, sulla base del regolamento aziendale, poteva essere affidata, a prescindere dalle procedure previste dal D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 15 e 15 ter, nel testo applicabile ratione temporis, a dirigenti dell’Azienda indipendentemente dal ruolo di appartenenza;

10.1. il regolamento aziendale, con disposizione invocata da entrambe le parti, prevedeva, inoltre, che i medici assegnati alle unità operative di staff, diverse da quelle presso le quali erano incardinati in ragione del ruolo professionale, avrebbero continuato a maturare l’anzianità di servizio nel ruolo e nella disciplina di appartenenza;

10.2. si è, quindi, in presenza di una fattispecie del tutto peculiare, perchè il modello organizzativo delineato dal regolamento aziendale, nel prevedere una struttura “ibrida”, affidabile a qualsiasi dirigente dell’Azienda, a prescindere dal ruolo di appartenenza e dalle procedure previste dalla legge per l’accesso all’incarico di dirigente di struttura complessa, si discosta dalle previsioni legali e contrattuali delle quali si darà conto nei punti che seguono;

10.3. la disciplina della dirigenza del servizio sanitario nazionale è dettata, oltre che dal D.Lgs. n. 165 del 2001 e dalla contrattazione collettiva, dal D.Lgs. n. 502 del 1992, che, all’art. 15, nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis (antecedente alle modifiche apportate dal D.L. n. 158 del 2012), al comma 1 prevede che la dirigenza sanitaria “è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, ed in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali” ed aggiunge che “in sede di contrattazione collettiva nazionale sono previsti, in conformità ai principi e alle disposizioni del presente decreto, criteri generali per la graduazione delle funzioni dirigenziali nonchè per l’assegnazione, valutazione e verifica degli incarichi dirigenziali e per l’attribuzione del relativo trattamento economico accessorio correlato alle funzioni attribuite ed alle connesse responsabilità del risultato”;

10.4. il comma 6, nel disciplinare le attribuzioni del dirigente di struttura complessa, stabilisce che allo stesso sono assegnate “oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione della struttura, da attuarsi, nell’ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa, e l’adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l’appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata”;

10.5. il successivo comma 7, stabilisce che “alla dirigenza sanitaria si accede mediante concorso pubblico per titoli ed esami disciplinato ai sensi del D.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483…..gli incarichi di direzione di struttura complessa sono attribuiti a coloro che siano in possesso dei requisiti di cui al D.P.R. 10 dicembre 1997, n. 484 e secondo le modalità dallo stesso stabilite, salvo quanto disposto dall’art. 15 ter, comma 2” che, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal già richiamato D.L. n. 158 del 2012, prevedeva che l’incarico dovesse essere attribuito dal direttore generale “previo avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, sulla base di una rosa di candidati idonei selezionata da una apposita commissione”;

10.6. il D.P.R. n. 483 del 1997, al quale il D.Lgs. n. 502 del 1992, rinvia, detta una disciplina differenziata delle modalità di accesso a seconda del ruolo di appartenenza (medici, odontoiatri, farmacisti, veterinari, biologi, chimici, fisici, psicologi, avvocati, ingegneri, architetti, geologi, analisti, dirigenti amministrativi) ed il D.P.R. n. 484 del 1997, stabilisce all’art. 4, che per i dirigenti dell’area sanitaria (medici, odontoiatri, farmacisti, veterinari, biologi, chimici, fisici, psicologi) gli incarichi di secondo livello dirigenziale, ora corrispondenti a quelli di direzione di struttura complessa, “possono essere conferiti esclusivamente nelle discipline stabilite con decreto del Ministro della sanità, sentito il Consiglio superiore di sanità e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome”;

10.7. dal complesso delle disposizioni sopra richiamate, pertanto, emerge che il legislatore, pur nell’unicità del ruolo, ha voluto valorizzare le specificità professionali di ciascun profilo, e non a caso ha tenuto a precisare che la graduazione degli incarichi deve essere effettuata tenendo conto delle “funzioni attribuite e delle connesse responsabilità” e che l’incarico di direzione di struttura complessa comporta l’attribuzione di funzioni direttive e organizzative che si aggiungono a “quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali”;

10.8. il legislatore, inoltre, pur rinviando all’atto aziendale ed all’atto di indirizzo e coordinamento di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 quater, comma 3, l’individuazione delle strutture e del numero degli incarichi conferibili, ha tenuto a precisare, da un lato, che la direzione di strutture complesse deve essere conferita nel rispetto dei principi, già richiamati, di cui al D.P.R. n. 484 del 1997, dall’altro che il contratto individuale, nel definire oggetto, obiettivi e durata dell’incarico, deve attenersi ai “parametri indicati dal contratto collettivo nazionale per ciascun incarico” (art. 15 ter, comma 1), perchè alla contrattazione collettiva dell’art. 15, comma 1, attribuisce il potere di stabilire, in conformità ai principi e alle disposizioni del D.Lgs., sia i criteri generali per la graduazione e l’assegnazione delle funzioni dirigenziali, sia il trattamento economico fondamentale ed accessorio correlato alle funzioni stesse (art. 15, comma 1);

11. in questo contesto normativo si è dunque inserita a pieno titolo la contrattazione, con la quale, innanzitutto, si è valorizzata la specificità dei profili professionali, attraverso la istituzione di aree distinte della dirigenza del servizio sanitario, suddivisa in dirigenza medica e veterinaria, da un lato, e dirigenza sanitaria, professionale, tecnica, amministrativa, dall’altro;

11.1. è significativo al riguardo osservare che nelle premesse del CCNL 5.12.1996 le parti collettive avvertirono che la disciplina degli istituti contrattuali aveva tenuto conto “della peculiarità del Servizio Sanitario Nazionale, ove la dirigenza è costituita per la maggior parte da dirigenti dell’area medica e veterinaria i quali sono chiamati a svolgere, oltre ai compiti assistenziali di prevenzione, cura, riabilitazione e tutela della salute pubblica, anche le attività gestionali proprie della dirigenza”;

11.2. con il CCNL 8.6.2000 si è evidenziato che “l’assunzione dei dirigenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha come presupposto l’espletamento delle procedure concorsuali e selettive previste dai DD. PP.RR. 483 e 484 del 1997” (art. 13) ed il rinvio alle disposizioni regolamentari è stato ribadito dall’art. 29 del contratto, che disciplina l’affidamento e la revoca degli incarichi di direzione di struttura complessa, stabilendo che detti incarichi “sono conferiti con le procedure previste dal D.P.R. n. 484 del 1997, nel limite del numero stabilito dall’atto aziendale…” e che “le aziende formulano, in via preventiva, i criteri per il conferimento, la conferma e la revoca degli incarichi di cui al comma 1. Detti criteri, prima della definitiva determinazione sono oggetto di concertazione con le rappresentanze sindacali di cui all’art. 10, comma 2”;

11.3. quanto alla valutazione del dirigente il CCNL, in linea con le previsioni del D.Lgs. n. 502 del 1992 (art. 15, commi 5 e 6) ed in ragione delle peculiarità proprie della dirigenza del Servizio Sanitario Nazionale, prevede l’intervento, oltre che del nucleo di valutazione, del collegio tecnico, chiamato a valutare le “attività professionali svolte dal dirigente”, e la verifica condiziona il conferimento ed il rinnovo dell’incarico, che, pertanto, dipendono non solo dalle capacità gestionali del dirigente, verificate dal nucleo di valutazione, ma anche dalle specifiche competenze professionali;

11.4. dal complesso delle disposizioni sopra richiamate emerge, quindi, che le parti collettive nel determinare il trattamento economico, fondamentale ed accessorio, spettante al dirigente medico hanno apprezzato non solo, come sostiene il ricorrente, la maggiore o minore complessità della struttura, ma anche la specifica competenza professionale che la direzione della struttura stessa richiede, competenza che condiziona sia il conferimento dell’incarico, da effettuarsi, lo si ripete, nel rispetto dei requisiti richiesti dal D.P.R. n. 484 del 1997, sia il rinnovo dello stesso;

11.5. non a caso il medesimo CCNL 8.6.2000 all’art. 18, nello stabilire quale debba essere la retribuzione del dirigente chiamato a dirigere la struttura semplice o complessa in attesa dell’espletamento delle necessarie procedure concorsuali o selettive, esclude che il preposto possa pretendere il trattamento economico fondamentale ed accessorio connesso alla maggiore complessità della struttura, trattamento che può essere rivendicato solo a condizione che l’incarico venga conferito nel rispetto delle procedure previste dalla legge e dal contratto, previa verifica delle competenze gestionali e professionali richieste per l’espletamento della funzione dirigenziale (sull’interpretazione dell’art. 18 si rinvia, fra le più recenti, a Cass. nn. 21565, 28151, 28243, 30912 del 2018 e a Cass. n. 7863/2019);

12. è, pertanto, da escludere che il trattamento economico previsto dai CCNL per i dirigenti medici di struttura complessa possa essere rivendicato dal ricorrente il quale, pacificamente, al di fuori delle procedure concorsuali e selettive disciplinate dagli stessi CCNL, è stato preposto ad una struttura che, seppure definita complessa dall’atto aziendale, non risponde ai requisiti richiesti dalle disposizioni regolamentari e collettive, che alle prime rinviano, tanto da poter essere indifferentemente diretta da dirigenti dell’area medica, sanitaria, tecnica ed amministrativa;

12.1. non è in discussione in questa sede la legittimità degli atti organizzativi adottati dall’Azienda Sanitaria (atti che per espressa indicazione normativa non sono espressione di potere autoritativo ma appartengono alla sfera del diritto privato – D.Lgs. n. 502 del 1992, comma 1) ma, poichè si discute del trattamento retributivo spettante al dirigente, va comunque rammentato che il datore di lavoro pubblico non può attribuire inquadramenti e compensi che non siano previsti dalla contrattazione collettiva, neppure se di miglior favore (cfr. Cass. S.U. n. 21744/2009 e fra le più recenti Cass. n. 3826/2016, Cass. 16088/2016 e Cass. n. 25018/2017), sicchè destituita di fondamento è la pretesa del ricorrente di essere equiparato, quanto al trattamento fondamentale ed accessorio, ai dirigenti medici di struttura complessa, pur a fronte di una palese divergenza dell’incarico rispetto al modello organizzativo pensato dal legislatore nazionale e presupposto dalle parti collettive;

12.2. non vale invocare la normativa regionale che, nel prevedere la creazione di strutture di staff della direzione aziendale, nulla stabilisce in merito alla qualificazione delle strutture stesse ed alle modalità di conferimento dell’incarico, di modo che non risultano derogate le disposizioni della legge statale, le quali devono orientare nell’interpretazione della legislazione regionale, perchè la disciplina degli incarichi della dirigenza sanitaria costituisce principio fondamentale nella materia della tutela della salute (Corte Cost. n. 124/2015) e, quindi, l’eventuale contrasto della normativa regionale con quella statale esporrebbe la prima alla censura di incostituzionalità;

12.3. nè alle conclusioni invocate dal ricorrente conduce la disposizione del regolamento aziendale, citata da entrambe le parti, secondo cui “i medici assegnati a vario titolo ad U.O. di Staff diverse da quelle in cui sono incardinati per ruolo professionale continuano a maturare l’anzianità di servizio nel ruolo professionale e nella disciplina di appartenenza” perchè, al contrario, la disposizione finisce per confermare l’inapplicabilità degli istituti contrattuali previsti per la dirigenza medica, lì dove valorizza l’incarico di staff ai soli fini dell’anzianità di servizio nel ruolo di appartenenza;

12.4. la sentenza impugnata, pur nella sua sinteticità, correttamente ha escluso che il C. potesse pretendere l’intero trattamento retributivo previsto per i dirigenti medici di struttura complessa, sicchè il Collegio può limitarsi ad integrarne la motivazione nei termini sopra indicati;

13. restano da valutare i motivi di ricorso formulati avverso il capo della sentenza d’appello con il quale è stata respinta anche la domanda volta ad ottenere la riqualificazione dell’assegno ad personam, che a detta del ricorrente costituirebbe a tutti gli effetti una componente della retribuzione di posizione, e la conseguente condanna dell’Azienda “al pagamento dei contributi previdenziali in misura corrispondente a quella della retribuzione di posizione”;

13.1 indubbiamente ha errato la Corte territoriale nel dichiarare l’inammissibilità della domanda, in quanto formulata nei confronti del datore di lavoro anzichè dell’ente previdenziale, perchè in tal modo la stessa si è posta in contrasto con il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui “occorre distinguere tra domanda proposta nel corso del rapporto di lavoro e diretta all’accertamento della computabilità dell’emolumento nella base contributiva – che attiene agli obblighi, pur con connotazione previdenziale, nascenti dal rapporto d’impiego e alla base di calcolo dei contributi sulla retribuzione che l’Amministrazione è tenuta a versare – e domanda proposta dal dipendente già in quiescenza… che attiene al rapporto previdenziale e riguarda l’ammontare della pensione erogata o da erogare” (Cass. S.U. n. 6326/2012 che richiama Cass. S.U. n. 12337/2010);

13.2. la fondatezza della quinta censura, peraltro, non può comportare la cassazione della sentenza perchè il dispositivo di rigetto della domanda è comunque conforme a diritto il che legittima questa Corte ad esercitare il potere di correzione della motivazione previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 4;

13.3. va detto, infatti, che le considerazioni esposte nei punti che precedono inducono anche ad escludere che i maggiori importi corrisposti a titolo di assegno personale al C., corrispondenti nell’ammontare all’indennità prevista dall’art. 40 del CCNL 8.6.2000, possano essere ritenuti a tutti gli effetti parte integrante della retribuzione di posizione perchè, una volta negato il diritto del dirigente a percepire il trattamento retributivo previsto dal CCNL per i dirigenti medici di struttura complessa, l’assegno ad personam, a prescindere dalla valutazione sulla legittimità dell’erogazione che non è qui in discussione, viene ad essere giustificato solo dalla pattuizione individuale, che ne costituisce il titolo, il che impedisce di qualificare diversamente l’erogazione, non spettante in base alla disciplina contrattuale del trattamento economico fondamentale ed accessorio della dirigenza medica;

13.4. alle considerazioni che precedono, già assorbenti, si deve poi aggiungere che il ricorrente invoca la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 13, secondo la quale la quota di pensione di cui alla lettera a) è “corrispondente all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993”, ma non fornisce alcuna indicazione sulla propria posizione contributiva a detta data (la Asl di Pistoia asserisce invece che il rapporto tra le parti sarebbe sorto solo il 25.6.1994);

13.5. questa Corte ha già affermato che è inammissibile, per difetto d’interesse, il motivo di impugnazione con cui si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, priva di qualsivoglia influenza in relazione alle domande proposte, e che sia diretta, quindi, all’emanazione di una pronuncia senza rilievo pratico (Cass. n. 20689/2016) e da ciò ha tratto la conseguenza che, anche in caso di denuncia di un errore di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in ossequio al principio della necessaria completezza e specificità del ricorso e dei motivi di impugnazione, la parte è tenuta a descrivere in maniera adeguata la situazione di fatto sulla quale è destinata ad incidere la pronuncia richiesta (Cass. n. 14279/2017; Cass. n. 11731/2011) perchè il giudice di legittimità deve essere posto in grado di apprezzare l’utilità concreta derivabile al ricorrente dall’eventuale accoglimento del gravame (Cass. n. 13373/2008 e Cass. n. 15353/2010);

14. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

15. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019

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