Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31386 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 05/12/2018), n.31386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GUIDO Federico – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20551-2017 proposto da:

M.G., M.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA A. CARONCINI 6, presso lo studio dell’avvocato CONTARDI GENNARO,

che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

D.M.C., B.A., B.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato FLORIMONTE MARIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2515/2017 del TRIBUNALE di SALERNO, depositata

il 23/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/09/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

RITENUTO

che con la sentenza di cui in epigrafe il Tribunale di Salerno rigettò l’appello proposto da M.G. e M.A. avverso la sentenza del Giudice di pace di Amalfi, che aveva condannato D.M.C. e Bu.Co., al quale ultimo erano succeduti B.C. e B.A.; che con la sentenza di primo grado i convenuti erano stati condannati al taglio dei rami di un albero di carrubo ubicato in prossimità del confine e che con l’appello gli impugnanti si erano doluti dell’omessa condanna della controparte all’estirpazione della pianta;

che avverso la statuizione d’appello ricorre M.G. esponendo tre censure;

che gli intimati resistono con controricorso;

considerato, in via di preliminarietà, che la questione procedurale attinente alla eventuale mancanza di attestazione di conformità della sentenza impugnata e della sua notifica, pervenute per via telematica al difensore del ricorrente, e che lo stesso s’impegna ad escludere in seno alla memoria illustrativa, non necessita di specifico scrutinio, in base al principio della “ragione più liquida” (S.U., n. 9936, 8/5/2014; ex multis, da ultimo, Sez. 5, n. 11458, 11/5/2018), stante la manifesta infondatezza del ricorso, siccome appresso verrà evidenziato;

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso non merita di essere accolto, sulla base di quanto segue:

con l’osmotico complesso censuratorio costituito dai primi due motivi viene allegata violazione e falsa applicazione degli artt. 195 e 196 c.p.c.., ante riforma L. 18 giugno 2009, n. 69, ex art. 116 c.p.c., nonchè “omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia”, per non avere il Giudice dell’appello vagliato le note critiche del CTP e richiamato il CTU a fornire approfondimento e chiarimenti e/o per non avere disposto rinnovo della consulenza, specie tenuto conto dell’accertamento tecnico preventivo successivamente espletato, ad altri fini;

con il terzo motivo viene denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 873,892,894 e 896 c.c., e dell’art. 116 c.p.c., e “omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo”;

per contro deve rilevarsi che:

a) costituisce principio di diritto fermo quello secondo il quale in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova CTU atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (da ultimo, Sez. 3, n. 22799, 29/9/2017, Rv. 645507), nel mentre costituisce apprezzamento di merito, non censurabile in questa sede, la condivisione da parte del giudice delle risultanze della CTU;

b) l’art. 360 c.p.c., n. 5, post riforma operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (pur dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi, che qui non ricorrono, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che qui non si rileva affatto avendo il Tribunale, a lungo e nel dettaglio, spiegato le ragioni per le quali non occorreva far luogo all’estirpazione dell’albero, prendendo in specifico esame anche le contrarie osservazioni del CTP;

b) diversamente, come accade qui, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299);

c) appare evidente che la evocazione della regola sul vaglio probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi la prospettata violazione o falsa applicazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affitto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Giudice d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talchè, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299, apparendo utile segnalare che la Corte locale ha espressamente valutato e condiviso la relazione del CTU e alle pagg. 6 e 7 escluso motivatamente la sussistenza di qualsivoglia danno, così superando una improprietà lessicale del consulente, che non trovava giustificazione di sorta negli accertamenti;

d) analogamente deve dirsi a riguardo delle norme del c.c. sopra richiamate: il ricorrente presuppone un accertamento fattuale, che, ove reale, avrebbe imposto l’invocata sussunzione; per contro, quel che risulta essere stato insindacabilmente accertato fa escludere l’errore di diritto prospettato (cfr. pag. 10 della sentenza);

considerato che spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore dei controricorrenti siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei resistenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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