Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31383 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 02/12/2019), n.31383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9989/2015 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA

109, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FONTANA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO RUSCONI;

– ricorrente –

contro

FINECOBANK BANCA FINECO S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA, 259,

presso lo studio dell’avvocato MARCO PASSALACQUA, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati MARCELLO GIUSTINIANI, ANTONELLA

NEGRI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2013 del TRIBUNALE di SIENA, depositata il

16/07/2013 r.g.n. 944/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.A. convenne in giudizio FinecoBank s.p.a. e chiese che si accertasse l’esistenza tra le parti di un rapporto di agenzia, alle condizioni indicate dal contratto sottoscritto il 31.1.2008, l’inadempimento della società, la risoluzione del contratto e la condanna della stessa al risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1337 e/o 2043 c.c..

2. La convenuta si costituì per resistere al ricorso opponendo che nessun contratto si era mai perfezionato tra le parti. Queste avevano sottoscritto una mera lettera di intenti, senza alcun obbligo per la Banca di conferire il mandato di agenzia, subordinato, questo, al possesso dei requisiti richiesti dalla vigente normativa in materia di intermediazione finanziaria oltre che morale e professionale propria dei promotori finanziari della banca stessa.

3. Il Tribunale di Siena rigettò la domanda. Ritenne, infatti, che la lettera sottoscritta dalle parti, pur contenendo un minuzioso assetto dei reciproci diritti ed obblighi soprattutto economici, tuttavia non indicava la data di inizio del rapporto di agenzia il cui contratto, anzi, avrebbe dovuto essere successivamente stipulato condizionatamente alla verifica dell’esistenza dei requisiti anche professionali e morali richiesti dalla società ai suoi promotori finanziari. In definitiva accertò che le parti si erano limitate a definire l’aspetto economico del futuro rapporto che si sarebbe dovuto perfezionare con il conferimento del mandato, subordinato all’esistenza di una serie di requisiti che, nella specie, si era accertato che non ricorrevano.

4. La Corte di appello di Firenze, con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., dichiarò poi inammissibile il gravame proposto dal C. ritenendo che non vi fossero ragionevoli probabilità di accoglimento dello stesso.

5. Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Siena propone ricorso C.A. ed articola cinque motivi ai quali resiste con controricorso FinecoBank s.p.a.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

6. Il ricorso non può essere accolto.

6.1. Va qui rammentato che nel caso in cui l’appello, come nella specie, sia stato dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado può essere proposto entro i limiti delle questioni già sollevate con l’atto di appello e di quelle riproposte ex art. 346 c.p.c., senza che possa assumere rilievo la diversa formulazione dei motivi, che trova giustificazione nella natura del ricorso per cassazione, quale mezzo di impugnazione a critica vincolata, proponibile esclusivamente per i vizi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1. La dichiarazione di inammissibilità dell’appello non comporta sostanziali modificazioni nel giudizio di legittimità, fatta eccezione per la necessità che l’impugnazione sia rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado e per l’esclusione della deducibilità del vizio di motivazione (cfr. Cass. 27/09/2018 n. 23320, Cass. 17/04/2014 n. 8942).

6.2. Ne consegue che il ricorrente ha l’onere di indicare i motivi di appello oltre che la motivazione dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c.. Si tratta di obbligo che, come è stato chiarito da questa Corte (cfr. Cass. 23/12/2016 n. 26936) non solo non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU, in quanto esso è imposto in modo chiaro e prevedibile (risultando da un indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato), ma neppure risulta eccessivo per il ricorrente ed anzi è funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte, essendo volto alla verifica in ordine alla mancata formazione di un giudicato interno. In sostanza si tratta di un ricorso ordinario, regolato dall’art. 366 c.p.c., quanto ai requisiti di contenuto forma, e deve contenere, in relazione al n. 3, di detta norma, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, da intendersi come fatti sostanziali e processuali relativi sia al giudizio di primo grado che a quello di appello. Pertanto la parte è tenuta ad esporre, oltre agli elementi che evidenzino la tempestività dell’appello e i motivi su cui esso era fondato, le domande e le eccezioni proposte innanzi al giudice di prime cure e non accolte, o rimaste assorbite, trovando applicazione, rispetto al giudizio per cassazione instaurato ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., le previsioni di cui agli artt. 329 e 346 c.p.c., nella misura in cui esse avevano inciso sull’oggetto della devoluzione al giudice di appello (cfr. Cass. 17/04/2014 n. 8942 cit. e 15/05/2014 n. 10722). 6.3. Orbene nel ricorso in esame si è del tutto trascurato di riportare il contenuto degli atti ricordati sicchè per tale assorbente aspetto l’esame del ricorso è precluso.

7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019

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