Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31382 del 05/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 05/12/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 05/12/2018), n.31382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23411 – 2017 R.G. proposto da:

D.F.A. – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Nocera

William ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via della Frezza,

n. 59, presso lo studio dell’avvocato Giancarlo Carnielli;

– ricorrente –

contro

M.A. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, in

Battipaglia, alla via Trieste, n. 23, presso lo studio dell’avvocato

Giovine Enrico e dell’avvocato Giovine Laura che congiuntamente e

disgiuntamente lo rappresentano e difendono in virtù di procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Salerno n. 372/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 settembre 2018 dal consigliere dott. Abete Luigi.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto notificato in data 23.11.2000 D.F.A., proprietario per acquisto fattone con atto notarile del 13.11.1972 di una striscia di terreno nel centro urbano di (OMISSIS), in catasto al (OMISSIS), citava a comparire innanzi al tribunale di Salerno, sezione distaccata di (OMISSIS), M.A., proprietario di un terreno limitrofo.

Esponeva che talune opere in muratura ed una cancellata in ferro realizzate dal convenuto nel corso dell’anno precedente insistevano sul terreno di proprietà di egli attore e comunque non erano collocate a distanza legale; che in ogni caso era stata costituita una servitù, sia pedonale che carrabile, a carico del proprio fondo.

Chiedeva che fosse dichiarato unico ed esclusivo proprietario della striscia di terreno, che fosse dichiarata l’inesistenza di qualsivoglia diritto di servitù sulla stessa porzione di terreno, che il convenuto fosse condannato alla eliminazione dei manufatti ed al risarcimento dei danni.

Si costituiva M.A..

Instava per il rigetto dell’avversa domanda.

Espletata c.t.u., con sentenza n. 276/2009 l’adito tribunale dichiarava la striscia di terreno di proprietà dell’attore, rigettava la domanda di condanna del convenuto all’eliminazione degli eseguiti manufatti, accoglieva la domanda di condanna del convenuto al risarcimento dei danni, compensava le spese di lite fino a concorrenza di 1/2 e condannava il convenuto al pagamento della residua metà e delle spese di consulenza tecnica.

Proponeva appello M.A..

Resisteva D.F.A.; esperiva appello incidentale.

Con sentenza n. 372/2017 la corte d’appello di Salerno accoglieva il gravame principale ed, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava le domande tutte spiegate in prime cure da D.F.A., rigettava l’appello incidentale e condannava l’appellato alle spese del doppio grado – con distrazione – e di c.t.u..

Esplicitava la corte che l’officiato consulente aveva accertato, per un verso, che le nuove opere erano state realizzate da M.A. all’interno del suolo di sua proprietà; per altro verso, che la striscia di terreno di proprietà di D.F.A., segnatamente la particella n. (OMISSIS) (già particella n. (OMISSIS)), parte integrante di preesistente complesso stradale, era gravata da vincolo di destinazione a strada comune e con il vincolo derivante, appunto, dalla servitù di passaggio D.F.A. aveva con atto notarile del 13.11.1972 provveduto ad acquistarla; per altro verso ancora, che la creazione di un’apertura in direzione della strada era da reputar legittima in considerazione, da un canto, dell’interclusione del fondo del M., in considerazione, dall’altro, del vincolo gravante sulla particella n. (OMISSIS).

Esplicitava al contempo che in difetto di illegittima occupazione del suolo altrui non vi era margine per il risarcimento di qualsivoglia danno.

Esplicitava infine che a seguito dell’alienazione della striscia di terreno di cui al rogito del 13.11.1972 il residuo fondo di proprietà di M.A. era rimasto intercluso, sicchè costui aveva “diritto di ottenere coattivamente il passaggio senza corrispondere alcuna indennità” (così sentenza d’appello, pag. 6).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.F.A.; ne ha chiesto sulla scorta di motivo articolato in quattro punti la cassazione con ogni susseguente statuizione.

M.A. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese da distrarsi in favore dell’avvocato Giovine Laura.

Il controricorrente ha depositato memoria.

Con motivo articolato in quattro punti il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1058 e 1061 c.c. nonchè dell’art. 112 c.p.c..; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi.

Deduce che “nè dalla c.t.u. nè dall’atto di vendita (…) del 13.11.72 risulta alcun vincolo di destinazione a strada comune della suddetta striscia di terreno” (così ricorso, pag. 6).

Deduce altresì che la corte di merito non ha esaminato correttamente l’atto di vendita del 13.11.1972, “nel quale non è indicata alcuna servitù di passaggio costituita a favore del M. e nè tantomeno a favore dei condomini del civico (OMISSIS)” (così ricorso, pag. 7).

Deduce inoltre che la corte territoriale ha – in motivazione – affermato che il fondo di proprietà di M.A., a seguito dell’alienazione della striscia di terreno, è rimasto intercluso; che nondimeno siffatta affermazione è viziata da ultrapetizione; che invero controparte si è limitata a resistere alle avverse domande e non ha formulato domanda riconvenzionale volta ad ottenere la costituzione di servitù coattiva di passaggio.

I quattro punti in cui il ricorso si articola, possono essere disaminati contestualmente. I medesimi punti comunque sono tutti destituiti di fondamento.

Si rappresenta previamente che il ricorrente non ha prestato il debito ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per cassazione, quale positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Invero, e della relazione di consulenza tecnica d’ufficio e del rogito per notar Mottola del 13.11.1972 si è limitato a trascriverne singoli stralci, talora e per giunta parafrasandoli semplicemente (cfr. Cass. 28.9.2016, n. 19048, secondo cui il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile; cfr. Cass. 20.1.2006, n. 1113).

Cosicchè l’incongrua trasposizione degli esiti documentali – probatori preclude a questa Corte il compiuto riscontro, il compiuto vaglio dei suoi assunti.

Si badi che l’inottemperanza al canone dell’ “autosufficienza” rileva viepiù se si tiene conto che il controricorrente ha, dal canto suo, posto in risalto che nel rogito per notar Mottola “si dava atto (…) che una parte di detto suolo doveva intendersi comune perchè destinato a strada” (così controricorso, pag. 2) ed altresì che, “a seguito di attività compiuta dal consulente, venivano acquisiti atti presso il Comune di (OMISSIS) dai quali risultava (…) che la zona, corrispondente a quella da D.F. indicata come di sua proprietà, ormai doveva ritenersi strada aperta al pubblico” (così controricorso, pag. 2).

Si rappresenta in ogni caso che le censure che l’articolato motivo veicola, danno corpo, in primo luogo, ad una “quaestio ermeneutica”.

E si traducono, in secondo luogo, nella sostanziale disapprovazione del giudizio “di fatto” cui la corte di Salerno ha atteso (“il Comune non ha mai dato disposizione per attivare la procedura per l’acquisizione dell’area oggetto di contesa”: così ricorso, pag. 6; “la Corte di Appello di Salerno travisa sul punto anche l’elaborato peritale”: così ricorso, pag. 7). In parte qua agitur di conseguenza l’articolato mezzo di impugnazione si qualifica esclusivamente in relazione alla previsione del novello art. 360 cp.c., comma 1, n. 5, (è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia: cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Su tale scorta si rappresenta ulteriormente quanto segue.

In relazione al primo profilo esplicano valenza, ovviamente, gli insegnamenti di questo Giudice del diritto.

Ossia l’insegnamento secondo cui l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Ossia l’insegnamento secondo cui nè la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; d’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131).

In questo quadro I’ “interpretazione” patrocinata dalla corte di merito è in toto inappuntabile, giacchè non si prospetta in spregio ad alcun criterio ermeneutico legale e risulta sorretta da motivazione esaustiva e coerente (la corte distrettuale ha affermato univocamente che “sulla striscia di terreno (era stato) costituito il vincolo di destinazione a strada comune, e, dunque, accettata, all’atto dell’acquisto, comprensiva della detta servitù di passaggio”: così sentenza d’appello, pag. 5).

In questo quadro inoltre gli assunti del ricorrente si risolvono tout court nella critica dell’interpretazione operata dal secondo giudice.

In relazione al secondo profilo viene in rilievo, ovviamente, la pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In quest’ottica si rappresenta quanto segue.

Da un canto è da escludere certamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” (“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione) destinate ad acquisire significato alla luce della pronuncia a sezioni unite dianzi menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte territoriale ha ancorato il suo dictum.

Dall’altro la corte salernitana ha sicuramente disaminato i fatti storici involti e sottesi alle iniziali domande dell’attore e dalle parti discussi, a carattere decisivo, connotanti la res litigiosa.

D’altronde il ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“il C.t.u. (…) non ha mai riferito che il fondo del M. fosse intercluso e nè questo risulta dalle risultanze istruttorie”: così ricorso, pag. 8).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

D’altra parte è vero che questa Corte spiega che l’assoggettamento di una strada privata a servitù di uso pubblico, in relazione all’interesse della collettività di goderne quale collegamento tra due vie pubbliche, non comporta la facoltà dei proprietari frontisti di aprirvi accessi diretti dai loro fondi, implicando ciò un’utilizzazione di essa più intensa e diversa, non riconducibile al contenuto della stessa (cfr. Cass. 25.9.2013, n. 21953; Cass. 15.4.2004, n. 7156).

Nondimeno al riguardo non prescindersi dai rilievi che seguono.

In primo luogo il passaggio motivazionale a tenor del quale “la creazione dell’apertura verso la strada, è legittima”, non risulta censurato in forma specifica, puntuale ed “autosufficiente” (cfr. Cass. 25.9.2009, n. 20652, secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta la necessità dell’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e dell’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione).

Segnatamente l’unica prospettazione della quadruplice articolazione in cui si snoda l’esperito mezzo, che al surriferito passaggio motivazionale ha una certa qual attinenza, ovvero la prospettazione secondo cui la corte di merito ha travisato la relazione di c.t.u., nella parte in cui l’ausiliario ha riferito che “la realizzazione del cancello (…) ha di fatto imposto, sulla strada oggetto di causa, una servitù di passaggio” (così ricorso, pag. 7), risulta parimenti ancorata all’affermazione – non “autosufficiente” – per cui “nell’atto di vendita (…) del 13.11.72 (…) non è indicata alcuna servitù (perchè non si è mai costituita) (…)” (così ricorso, pag. 7).

In secondo luogo la chiusura del fondo realizzata dal proprietario mediante la apposizione di un cancello costituisce atto di esercizio della facoltà a lui espressamente riconosciuta dall’art. 841 c.c. (cfr. Cass. 13.5.1982, n. 3003).

In terzo luogo l’azione negatoria di cui all’art. 949 c.c., sia nel comma 1 che nel comma 2 (salva l’ultima parte, circa il ristoro dei danni, la cui azione resta disciplinata dall’art 2043 cod. civ.), ha come essenziale, indispensabile, presupposto la sussistenza di altrui pretese di diritto sul bene dell’attore e non può essere utilizzata allorchè, anche in presenza di turbative o molestie, esse non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa (cfr. Cass. 15.12.1975, n. 4124; Cass. 22.6.2011, n. 13710).

Tant’è che questa Corte di legittimità ha reputato che un’opera astrattamente idonea a consentire il passaggio da un fondo ad un altro, come l’esistenza di un cancello, non può essere posta a fondamento di una servitù di passaggio per usucapione, se tale passaggio non venga concretamente esercitato (cfr. Cass. 22.6.2011, n. 13710).

In questi termini correttamente, per un verso, la corte territoriale non ha recepito la prospettazione del consulente, allorquando l’ausiliario ha assunto, sic et simpliciter, che “la realizzazione del cancello (…) ha di fatto imposto, sulla strada oggetto di causa, una servitù di passaggio” (così ricorso, pag. 7). Condivisibilmente, per altro verso, il controricorrente adduce che “è da escludersi che chi appone un cancello su un bene che gli si appartiene in modo esclusivo crei una servitù di passaggio su un fondo altrui. Sulla base della sola logica il cancello limita e non agevola il transito” (così memoria del controricorrente, pag. 1). Recisamente, per altro verso ancora, deve disconoscersi che il mero fatto dell’apposizione da parte di M.A. di un cancello “all’inizio di uno spiazzo di sua proprietà esclusiva” (così controricorso, pag. 5), ancorchè i direzione della striscia di terreno di D.F.A. vincolata a strada comune, sostanzi una pretesa di diritto sulla medesima striscia di terreno.

Da ultimo, con precipuo riguardo all’asserita violazione dell’art. 112 c.p.c., si rappresenta quanto segue.

Propriamente, ed al di là del riferimento all’interclusione operato in sede di affermazione della legittimità dell’apertura creata in direzione della strada – apertura legittima in quanto non concretante, siccome anticipato, una pretesa di diritto – il riferimento all’interclusione è stato dalla corte distrettuale altresì effettuato allo specifico scopo di disconoscere, giusta la previsione dell’art. 1054 c.c., l’obbligo del controricorrente alla corresponsione di qualsivoglia indennità.

Or dunque, se è vero che il convenuto in negatoria servitutis, nel caso in cui intende ottenere la costituzione della servitù ex adverso “negata”, deve necessariamente proporre domanda riconvenzionale (cfr. Cass. 5.2.1985, n.809; Cass. 16.3.1976, n. 966), tuttavia nel caso di specie certo non risulta che M.A. abbia domandato (in via riconvenzionale) la costituzione di servitù di passaggio a favore del suo fondo e però neppure risulta che la corte di Salerno abbia costituito servitù di passaggio in favore del fondo del M..

La denuncia di ultrapetizione, correlata alla omessa formulazione da parte dell’iniziale convenuto di domanda riconvenzionale volta alla costituzione di servitù, è perciò del tutto fuor di luogo.

In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare all’avvocato Giovine Laura, difensore del controricorrente, che ha dichiarato di aver anticipato le spese e di non aver riscosso gli onorari, le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è datato 9.10.2017.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto inoltre della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente, D.F.A., a rimborsare all’avvocato Giovine Laura, difensore anticipatario del controricorrente, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, D.F.A., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2018

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