Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31381 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/12/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 02/12/2019), n.31381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23425/2014 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA BUCCELLATO, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUCA MARCHI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 193/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/04/2014 r.g.n. 435/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza in data 13 febbraio – 15 aprile 2014 nr. 193 la Corte d’Appello di Firenze confermava, con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da P.P., dipendente del MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, inquadrata nella categoria C2 del CCNL di comparto con profilo di “direttore amministrativo” (poi terza area – fascia economica F3) per l’accertamento del proprio diritto all’inquadramento nella categoria C3 con profilo di “direttore di cancelleria” (poi direttore amministrativo-terza area) in applicazione del D.L. 29 dicembre 2003, n. 356, art. 1.

Confermava, altresì, il rigetto della domanda subordinata di risarcimento del danno da perdita della chanche di progressione professionale ed economica conseguente al colpevole inadempimento della amministrazione nella definizione negoziale della posizione del personale appartenente alle ex carriere direttive.

La Corte territoriale, pur aderendo alle deduzioni dell’appellante in ordine alla incongruenza della motivazione della sentenza di primo grado rispetto alla domanda azionata, ne confermava il dispositivo.

Osservava che il D.L. n. 356 del 2003, art. 1, sul quale la parte fondava la propria pretesa, non era noma costitutiva di diritti ma meramente programmatica, in quanto rimetteva alla contrattazione collettiva il compito di definire la posizione del personale delle ex-carriere direttive senza fornire alcuna indicazione sulle modalità di tale definizione.

In assenza della disposizione negoziale attuativa non poteva sorgere alcun diritto soggettivo dei dipendenti all’inquadramento, diritto che neppure si poteva fondare sull’atto di indirizzo della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 luglio 2006 – che si limitava a sollecitare l’ARAN alla contrattazione – ovvero sul verbale di incontro delle parti collettive del 2009, in cui esse avevano verificato la mancanza di risorse disponibili per far corso a qualunque riqualificazione.

Neppure la domanda subordinata era fondata, perchè l’amministrazione, come dimostrato dall’atto di indirizzo, si era attivata per pervenire alla definizione negoziale.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso P.P., articolato in tre motivi, cui ha opposto difese il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

La parte ricorrente ha denunciato con il primo motivo omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia con riferimento all’art. 161 c.p.c.. Erronea valutazione e travisamento delle circostanze di fatto ed omessa motivazione. Violazione del principio del doppio grado di giudizio.

Ha esposto di avere dedotto con il primo motivo di appello il vizio della sentenza di primo grado in quanto non conferente all’oggetto del contendere. Il percorso motivazionale del Tribunale riguardava, infatti, la diversa vicenda del mancato completamento delle procedure selettive previste da norme di legge e di contratto collettivo dell’anno 2000 ai fini della progressione verticale del personale; era in questione, invece, l’inquadramento dei dipendenti nella categoria C3 ai sensi del D.L. n. 356 del 2003, art. 1, norma riservata al personale in servizio nella ex ottava qualifica funzionale alla data del 31.12.1990.

Tanto premesso, la parte ricorrente ha censurato la sentenza del giudice dell’appello in quanto, pur accertando il vizio della sentenza del Tribunale, ne aveva confermato il dispositivo con argomentazioni del tutto nuove, violando il principio del doppio grado di giudizio.

Il motivo è infondato.

Ogni vizio di nullità della sentenza di primo grado si traduce in una ragione di appello – per il principio dell’assorbimento delle nullità in mezzi di gravame (art. 162 c.p.c., comma 1) – dal cui accoglimento può derivare la rimessione della causa al primo giudice nei soli casi previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c. (tra i quali non rientra la fattispecie in questa sede dedotta).

In tutte le altre ipotesi il giudice dell’appello, ove ritenga fondato il motivo di gravame, deve trattenere la causa e deciderla nel merito, come nella fattispecie di causa correttamente avvenuto.

– con il secondo motivo la parte ricorrente ha censurato la sentenza per violazione ed erronea applicazione del D.L. 29 dicembre 2003, n. 356, art. 1, convertito in L. 27 febbraio 2004, n. 48, con riferimento all’accordo sindacale del 26 marzo 2009 nonchè dell’atto di indirizzo del 27 luglio 2006. Omessa e carente motivazione.

Il motivo coglie la statuizione sulla natura programmatica del D.L. n. 356 del 2003, art. 1.

La parte ricorrente ha assunto che la norma avrebbe natura precettiva e costitutiva di un diritto soggettivo dei lavoratori all’inquadramento superiore, come confermato dall’atto di indirizzo della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 27.7.2006, che impartiva all’ARAN direttive puntuali e rideterminava anche il profilo finanziario. Il verbale sindacale del 26 marzo 2009 non contraddiceva tale assunto, in quanto le parti si erano limitate ad accertare l’esistenza di un ostacolo di natura finanziaria, derivante dalla esiguità delle risorse disponibili.

Il motivo è infondato.

Il D.L. n. 356 del 2003, art. 1, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2004, n. 48, dispone:

“E’ abrogato della L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 78. Mediante accordi definiti tra l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sarà definita la posizione del personale del comparto Ministeri appartenente alle ex carriere direttive, già in servizio alla data del 31 dicembre 1990 nella ex VIII qualifica funzionale…”.

Sulla questione di causa si è formato un consolidato orientamento di questa Corte a partire da Cass. sez. lav. 3 luglio 2014 n. 15213 (cui

hanno dato seguito Cass. n. 3615/2018; n. 4536/2018; n. 16699/2018) nel senso che la norma non attribuisce ai dipendenti del Ministero della Giustizia il diritto a vedersi attribuire la qualifica superiore.

In particolare si è osservato che “nessun diritto alla superiore qualifica invocata può essere riconosciuto per effetto del ridetto D.L. n. 356 del 2003, art. 1, comma 1, convertito con modificazioni nella L. n. 48 del 2004, il cui inequivoco dato letterale rimanda, senza previsione di precise cadenze temporali, a successivi accordi da definirsi tra l’ARAN e le OO.SS. maggiormente rappresentative al fine della definizione della posizione del personale interessato. La legge non stabilisce quindi direttamente che, nella presenza di determinati requisiti, debba senz’altro essere riconosciuto il diritto alla qualifica superiore, il che rende inconferente il richiamo al precedente di questa Corte n. 2246/1995 (peraltro neppure seguito dalla successiva elaborazione giurisprudenziale: cfr. ex plurimis, Cass., nn. 275/1999; 5953/1999), basato sulla possibilità del riconoscimento della qualifica di quadro alla stregua dei requisiti desumibili da specifiche indicazioni poste dalla legge”.

E’ stato anche precisato che non è suscettibile di modificare i termini della questione l’atto di indirizzo della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2006, richiamato dalla parte ricorrente giacchè allo stesso può al più essere riconosciuta una valenza genericamente sollecitatoria.

Analogamente si è ritenuto inconferente il richiamo al verbale del 26 marzo 2009, atteso che esso, per quanto indicato dalla stessa parte ricorrente, non costituisce l’accordo al quale il D.L. n. 356 del 2003, art. 1, aveva delegato la definizione della posizione del personale interessato (Cass. n. 4536/2016).

A tali arresti il Collegio intende dare continuità; la diversa esegesi prospettata dalla odierna parte ricorrente contrasta con il tenore letterale della disposizione ed anche con la ratio dell’intervento normativo, chiaramente finalizzato a sollecitare l’intervento delle parti collettive senza, però, limitarle quanto al contenuto della disciplina contrattuale da adottare.

– con il terzo motivo la parte ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c.. Omessa valutazione delle circostanze di fatto ed insufficiente motivazione.

Il motivo afferisce al rigetto della domanda subordinata di risarcimento del danno da perdita delle chanches di progressione professionale.

La parte ricorrente ha assunto che la pretesa risarcitoria traeva titolo non solo dai ritardi della contrattazione collettiva ma, soprattutto, dal comportamento dell’amministrazione, che aveva disperso le risorse affidatele dalla norma primaria del 2003 e dall’atto di indirizzo del 2006.

Ha dedotto che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che l’amministrazione si fosse resa parte diligente con l’atto di indirizzo del 2006, adottato ben tre anni dopo la entrata in vigore della disposizione di legge; inoltre nel successivo triennio trascorso fino al 2009 erano state esaurite le risorse finanziarie previste dal D.L. n. 356 del 2003 e ciò aveva determinato la impossibilità di attuare la norma. Nessun incontro era stato effettuato dopo il 2009.

L’amministrazione aveva dunque violato i principi di buona fede e correttezza nei rapporti contrattuali; in caso di comportamento diligente il finanziamento sarebbe stato probabilmente disponibile.

Il motivo è infondato.

Alla fattispecie di causa sono riferibili i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 05/07/2011, n. 14656 in riferimento alla mancata istituzione da parte della contrattazione collettiva dell’area della vice dirigenza, che era stata prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17 bis (introdotto dalla L. n. 145 del 2002 ed abrogato dal D.L. 6 luglio 2012, n. 95 – art. 5, comma 13-convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135).

E’ noto che la richiamata norma prevedeva che la contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplinasse l’istituzione di un’apposita separata area della vicedirigenza, nella quale era ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che avesse maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche 8 e 9 del precedente ordinamento.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che detta disciplina non fosse autoapplicativa perchè presupponeva l’intervento della contrattazione collettiva, cui era demandata tanto la istituzione che la disciplina della categoria.

Per quanto rileva nella fattispecie di causa, le Sezioni Unite hanno escluso potersi configurare, in assenza della contrattazione collettiva, alcuna posizione tutelata dei dipendenti pubblici nei confronti della pubblica amministrazione – neppure a livello di interesse legittimo – benchè nella fattispecie ivi esaminata fosse previsto uno specifico potere di indirizzo del Ministro della Funzione pubblica nei confronti dell’ARAN (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17 bis, comma 2, relativo ai comparti di contrattazione diversi dal comparto MINISTERI).

Si è ritenuto che il potere di indirizzo dell’ARAN originariamente previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17 bis, così come il generale potere di indirizzo di cui all’art. 41 del medesimo D.Lgs., configurano una disciplina tutta interna all’azione della parte pubblica nella formazione della contrattazione collettiva. Tale potere si inserisce in un rapporto di mandato tra le pubbliche amministrazioni e l’ARAN al quale sono estranei non solo le associazioni sindacali dei dipendenti, quali controparti contrattuali ma anche i dipendenti stessi.

Se quindi l’atto di indirizzo vale a regolare i rapporti tra rappresentato (le pubbliche amministrazioni) e rappresentante (l’ARAN), i dipendenti pubblici, che costituiscono la controparte contrattuale rappresentata dalle associazioni sindacali dei lavoratori, estranei al rapporto di mandato della parte pubblica, non hanno alcuna situazione tutelata per orientare l’attività di indirizzo in un senso piuttosto che in un altro.

Situazioni soggettive tutelate possano sorgere già prima della stipulazione del contratto collettivo, vuoi per responsabilità precontrattuale, vuoi per condotta antisindacale o discriminatoria; ma esse atterrebbero alle relazioni intersoggettive tra le parti in sede di trattative contrattuali.

Questa Corte in riferimento alla mancata istituzione dell’area della vice-dirigenza ha dunque già affermato che non è configurabile alcun interesse tutelato dei dipendenti, neppure a livello di interesse legittimo, confermando le pronunce di rigetto delle domande risarcitorie proposte sotto il profilo della perdita di chanches (Cass. sezione lavoro 06/02/2018, n. 2829; 06/11/2018 n. 28247; 18 dicembre 2018 n. 32697).

I richiamati principi sono parimenti riferibili alla mancata definizione negoziale della posizione del personale delle ex-carriere direttive.

In sostanza, nella fase delle trattative in vista della stipula di un accordo collettivo possono rilevare comportamenti inadempienti di una delle parti contrattuali ma essi costituiscono interessi tutelabili soltanto in capo alle parti della contrattazione e non rispetto ai singoli lavoratori.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.500 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019

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