Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31354 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 04/12/2018, (ud. 25/10/2018, dep. 04/12/2018), n.31354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11699-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARCONI 15,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA BRUNO, rappresentata e difesa

dall’avvocato PASQUALINO IANNACCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 580/3/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di CAMPOBASSO, depositata il 17/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/10/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI

CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro P.G., impugnando la sentenza della CTR Molise indicata in epigrafe che, in accoglimento dell’appello della contribuente ed in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato le cartelle di pagamento e gli atti di accertamento e di contestazione propedeutici, ritenendo dimostrato che la P. fosse estranea alle attività commerciali alle quali si riferivano le richieste erariali, pur se ad essa formalmente intestate. A tale conclusione la CTR è giunta valorizzando gli esiti della pronunzia assolutoria resa dal Giudice penale nei confronti della predetta, dalla quale era emersa la condizione di sottomissione totale della stessa al marito M.V., identificabile come il reale titolare delle attività. Il giudice di merito rilevava che sulla base di quanto deciso dal giudice penale non era azzardato ritenere che gli atti di accertamento impugnati fossero stati ricevuti dal M. anche se a nome della P.. In definitiva, secondo la CTR l’assoluzione della P. per non avere commesso il fatto in sede penale giustificava l’accoglimento dell’impugnazione proposta dalla contribuente.

La parte intimata si è costituita con controricorso.

Con il primo motivo si prospetta la violazione dell’art. 654 c.p.p.. La CTR avrebbe errato nel ritenere rilevante l’assoluzione pronunziata in sede penale, non opponibile all’Ufficio non costituito parte civile, nè dotata di efficacia dirimente nel giudizio tributario.

Il motivo è infondato.

Ed invero, la CTR ha valorizzato, ai fini della decisione, la sentenza penale assolutoria e l’accertamento in quella sede compiuto dal giudice in ordine alla condizione di vessazione alla quale era stata sottoposta la P., riportando analiticamente i passi della decisione dai quali era emerso che la P. era stata unicamente addetta alle vendite di attività invece riferibile in via esclusiva al marito che, oltre a qualificarsi ai verbalizzanti come titolare dell’impresa, l’aveva più volte sottoposta a violenze, tanto da essere stato attinto da diverse misure cautelari penali.

Orbene, questa Corte ha chiarito, con specifico riguardo al processo tributario, che in siffatto contenzioso non opera automaticamente l’efficacia vincolante del giudicato penale ai sensi dell’art. 654 c.p.p.. Ne consegue che la sentenza penale costituisce semplice indizio od elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa eventualmente accertati sulla base delle prove raccolte nel relativo giudizio e non rappresenta un accertamento preliminare necessario – Cass. n. 4924/2013 -. In definitiva, si è riconosciuto che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione dal giudice tributario come possibile fonte di prova” (Cass. n. 10578/2015, Cass. n. 5720/2007; Cass. n. 19786/2002, Cass. n. 17037/2002).

A tali principi si è attenuto il giudice di merito, che non ha certo inteso fare valere il “giudicato penale” nei confronti dell’Agenzia, ma ha attinto dalla pronunzia penali gli elementi ritenuti idonei ad escludere la fondatezza della pretesa fiscale spiccata nei confronti della P., senza che l’ufficio avesse addotto alcun ulteriori elemento, anche presuntivo, idoneo ad asseverare una soluzione diversa da quella espressa dal giudice penale nel processo che riguardava i medesimi fatti oggetto della contestazione in sede tributaria.

In tal modo non si può quindi ravvisare alcuna violazione dei principi sopra ricordati.

Il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19,comma 3, è anch’esso infondato.

L’Agenzia deduce, in sostanza, che l’affermazione della CTR in ordine alla ritenuta falsificazione delle firme di ricezione degli atti propedeutici alle cartelle pure impugnati dalla P. non potevano “ritenersi idonee a derogare il principio di diritto di cui al su cit. art. 19, il quale, al comma 3, testualmente recita Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”.

Orbene, la CTR ha desunto dagli elementi acclarati in sede penale in ordine allo stato di totale sottomissione della P. al di lei marito che le notifiche degli accertamenti propedeutici non potessero essere state sottoscritte dal M., rilevando altresì la mancata produzione degli avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia.

Ora, è evidente che rispetto a tale accertamento valutativo del giudice tributario, idoneo ad asseverare che la contribuente non avesse dunque avuto conoscenza degli atti propedeutici e li avesse impugnati unitamente alle cartelle non si ravvisa alcuna violazione del parametro normativo invocato dall’Agenzia ricorrente, risolvendosi la censura in una contestazione delle valutazioni operate dal giudice di merito all’interno di una prospettata ed insussistente violazione di legge.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Appare equo compensare le spese del giudizio, in relazione alla peculiarità della vicenda processuale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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