Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31352 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 02/12/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 02/12/2019), n.31352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25624-2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MAIORANA, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE SEZIONE DISTACCATA DI

PERUGIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 146/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 01/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M. ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, avverso la sentenza n. 146/2018, emessa dalla Corte d’appello di Perugia, depositata l’1 marzo 2018, che ha confermato la decisione di prime cure laddove era stata rigettata la domanda di protezione sussidiaria o di riconoscimento di quella umanitaria da lui proposta. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui di residuo interesse, la corte distrettuale, ribadita la inattendibilità delle dichiarazioni dell’appellante, ha negato la protezione umanitaria in ragione dell’assenza di particolari situazione soggettive qualificabili come specifiche ed individuali esigenze umanitarie, non potendo farsi un’applicazione generalizzata di un tale istituto ad una intera categoria di soggetti qualificati dalla sola nazionalità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il formulato motivo assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che “Il tribunale ha errato a non applicare al ricorrente la protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 14 luglio 2017, che ha introdotto il reato di tortura ed ai principi generali di cui all’art. 10 Cost. ed all’art. 3 CEDU”. Si afferma che “nel caso cli specie appare probabile che il ricorrente, qualora dovesse fune ritorno in. Senegal, correrebbe il grosso rischio di essere perseguitato ed ucciso, come già accaduto al padre ed al fratello, non essendovi alcun valido motivo per considerare inattendibile il racconto reso dinanzi alla commissione e, poi, di fronte al tribunale” (tir pag. 8 del ricorso).

2. Tale doglianza è inammissibile.

2.1. Essa, invero, da un lato, non tiene conto del fatto che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), e che tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cfr. Cass. n. 3340 del 2019); dall’altro, non contesta efficacemente – e nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – la statuizione posta a base del rigetto della protezione umanitaria, da individuarsi, come stigmatizzato dalla corte distrettuale, nell’assenza di particolari situazione soggettive qualificabili come specifiche ed individuali esigenze umanitarie, non potendo farsi un’applicazione generalizzata di un tale istituto ad una intera categoria di soggetti qualificati dalla sola nazionalità.

2.2. E’ mancata, in altri termini, la credibile prospettazione (ancor prima che la dimostrazione) di una specifica situazione di particolare vulnerabilità, la cui effettiva sussistenza, invece, si pone come imprescindibile per l’accoglimento della corrispondente istanza, atteso che la valutazione dell’esistenza, nello Stato verso cui il soggetto si troverà ad essere allontanato, di “violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani” deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, che, nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare suddetti fattori di vulnerabilità (Cfr. Cass. n. 4455 del 2018, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 9650 del 2019).

9.2.1. Le argomentazioni, affatto generiche, oggi esposte, peraltro in termini del tutto ipotetici, dal ricorrente sono, dunque, sostanzialmente volte alla ripetizione di un giudizio sul fatto in questa sede precluso.

3. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17 – giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019

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