Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31346 del 02/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 02/12/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 02/12/2019), n.31346

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12609-2018 proposto da:

S.G., titolare dell’omonima ditta individuale,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTIO CALVINO 33, presso lo

studio dell’avvocato ANTONINO BOSCO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICASOLI 7,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO MUGGITI, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4296/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza n. 4296 pubblicata il 16.10.2017 la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato improcedibile l’appello proposto da S.G. avverso la sentenza del Tribunale di Roma che, su ricorso di M.D., aveva accertato lo svolgimento tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo 12.1.200731.8.2010 e condannato l’appellante al pagamento delle differenze retributive, al ripristino delle funzionalità del rapporto e al risarcimento del danno;

2. la Corte territoriale ha rilevato che l’appellante aveva notificato solo il decreto di fissazione della udienza (20.2.2015) relativa alla domanda di inibitoria e non il ricorso in appello e relativo decreto di fissazione dell’udienza (27.1.2017); quest’ultimo decreto non risultava comunicato dalla cancelleria all’appellante, il quale però era comparso all’udienza del 27.1.2017 ed aveva chiesto ed ottenuto la concessione di un termine per la produzione del ricorso in appello notificato; l’udienza a tale scopo fissata era stata rinviata d’ufficio al 29.9.2017, con provvedimento ritualmente comunicato all’appellante che, tuttavia, non aveva prodotto il ricorso notificato ed aveva anzi chiesto termine per rinnovare la notifica;

3. avverso la sentenza ha proposto ricorso S.G., articolato in due motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha opposto difese M.D. con controricorso;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

5. con il primo motivo di ricorso S.G. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2, e della sentenza della Corte Costituzionale numero 15/1977;

6. ha ribadito l’omessa comunicazione da parte della cancelleria del decreto di fissazione della udienza di discussione dell’appello nel merito e precisato di avere casualmente, attraverso la consultazione del sistema informatico “(OMISSIS)”, avuto conoscenza di tale udienza, nel corso della quale aveva chiesto un termine per depositare l’appello notificato; ha aggiunto che la conoscenza della data dell’udienza attraverso la consultazione informatica era inidonea a sostituire la conoscenza legale, che si perfezionava solo per effetto della comunicazione di cancelleria;

7. con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 156 e ss. c.p.c., dell’art. 161 c.p.c., sostenendo che l’omissione della comunicazione di cancelleria di cui all’art. 435 c.p.c. avesse determinato la nullità della fase di merito e della sentenza impugnata;

8. il ricorso è manifestamente infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte, espresso dalle S.U. con la sentenza n. 20604 del 2008, che ha enunciato il seguente principio: “Nel rito del lavoro l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta, non essendo consentito alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo “ex” art. 111 Cost., comma 2 – al giudice di assegnare, ex art. 421 c.p.c., all’appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 c.p.c.”;

9. tale principio è stato ribadito da successive pronunce di questa Corte, non solo in materia di lavoro, ma anche in materia di locazioni e perfino nell’ambito dei procedimenti camerali (cfr. Cass. n. 29870 del 2008; n. 1721 del 2009; n. 11600 2010; n. 9597 del 2011; n. 27086 del 2011; n. 20613 del 2013; n. 6159 del 2018); si è in particolare precisato (Cass. n. 20613 del 2013) che nel giudizio di appello soggetto al rito del lavoro, il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell’attività processuale cui l’atto è finalizzato (con conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l’improcedibilità), non essendo consentito al giudice di assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente, senza che sull’inerzia della parte possa avere influenza (ai fini di una possibilità di sanatoria) l’avvenuta precedente regolare notifica del provvedimento di fissazione dell’udienza per la decisione sulla richiesta di inibitoria ex art. 283 c.p.c., trattandosi di attività che ha esaurito la propria valenza propulsiva nell’ambito della diversa fase cautelare;

10. peraltro, la costituzione nella fase dei procedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza, disciplinata dall’art. 351 c.p.c., non implica l’automatica costituzione della parte nella fase di merito, in quanto, da un lato, la legge regola il procedimento di inibitoria come autonomo, e, dall’altro, diversamente interpretando, l’appellato, costituendosi nella fase sommaria preliminare, sarebbe tenuto a proporre appello incidentale in un termine più breve rispetto a quello fissato dagli artt. 166 e 343 c.p.c., (Cass. n. 8150 del 2014; n. 21596 del 2017);

11. quindi non solo non è consentito, nel silenzio normativo, allungare – con condotte omissive prive di valida giustificazione, come nel caso in esame – i tempi del processo sì da disattendere il principio della sua “ragionevole durata”, ma l’improcedibilità dell’impugnazione, nelle controversie di lavoro, conseguente alla mancata notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, senza possibilità per il giudice di assegnare un termine perentorio per provvedervi, trova giustificazione anche nell’esigenza di tutelare la legittima aspettativa della controparte al consolidamento, entro un termine predefinito e ragionevolmente breve, di un provvedimento giudiziario già emesso; ciò a differenza di quanto avviene nel processo del lavoro di primo grado, dove la notifica del ricorso assolve unicamente la funzione di consentire l’instaurazione del contraddittorio (Cass. n. 6159 del 2018; n. 17368 del 2018);

12. nel caso di specie, è pacifico che la notifica del ricorso in appello non fosse mai stata eseguita e fosse quindi inesistente e difatti non risulta prodotta nel giudizio di appello e neanche in questa sede di legittimità; nè alcun effetto sanante può riconnettersi alla mancata comunicazione all’appellante del decreto di fissazione dell’udienza, essendo stato disposto apposito rinvio onde consentire al predetto di produrre l’appello notificato;

13. per le ragioni svolte, il ricorso deve essere respinto;

14. la regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

15. il ricorrente, in quanto ammesso per il giudizio in cassazione al patrocinio a spese dello Stato, non è tenuto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater (Cass. n. 18523/2014; Ord. n. 7368/17).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2019

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