Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31344 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 04/12/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 04/12/2018), n.31344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15456-2013 proposto da:

T.G., (OMISSIS), quale rappresentante legale della

Pasticceria “La Delizia di G.T. & C. S.a.S. (già

Ditta individuale), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE COGLITORE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CINZIA

ZANABONI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONINO SGROI, DE ROSE EMANUELE, CARLA DALOISIO, LELIO

MARITATO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA GERIT S.P.A., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 306/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/03/2013 r.g.n. 783/2010.

Fatto

RITENUTO

CHE:

la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 306/2013, previa riunione, decidendo le impugnazioni proposte dall’Inps, riformava le sentenze che avevano accolto le domande di T.G. in opposizione alle cartelle esattoriali emesse per conto dell’Inps accertando che i rapporti di lavoro intrattenuti con M.S., Ma.Gi., B.F. si fossero svolti in regime di part-time e non di tempo pieno, come preteso invece dall’Istituto previdenziale;

per contro la Corte d’Appello, sulla base dell’istruttoria svolta nel giudizio di gravame, rilevava che le dichiarazioni assunte nel corso dell’ispezione avessero trovato piena conferma e convalidato la tesi dell’Inps circa l’espletamento dei rapporti di lavoro in regime di tempo pieno;

contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.G. con cinque motivi nei quali deduce: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nonchè degli artt. 244 e 245 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) perchè la prova testimoniale assunta nel giudizio era nulla mancando i capitoli di prova formulati ed ammessi in appello del necessario requisito della novità; essi vertevano infatti sugli stessi fatti che avevano formato oggetto delle deposizioni testimoniali rese davanti al giudice di primo grado; deposizioni che secondo le motivazioni dell’Inps avevano ingenerato confusione per la discordanza ed erano state fatte oggetto di richiesta di rinnovo in sede di appello; 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 244 e 245 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dato che la testimonianza di C.P., assunta all’udienza del 18 settembre 2012, era nulla perchè non compresa tra i nominativi indicati dall’Inps nella lista dei testimoni ed essendo stata sentita a sorpresa la mattina dell’udienza al posto di altra teste che non si era presentata; 3) violazione falsa applicazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 244, 245, 420 e 421 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), posto che, anche a voler ritenere una mera irregolarità l’omessa indicazione del teste C.P., il giudice, in sede di pronuncia dei provvedimenti istruttori, avrebbe dovuto indicare alla parte istante la riscontrata irregolarità che non consentiva l’ammissione della prova, assegnandole un termine per porvi rimedio col corollario della decadenza nell’ipotesi di mancata ottemperanza allo spirare del termine, espressamente dichiarato perentorio dal comma 5; 4) la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) non essendosi la Corte d’Appello pronunciata sull’eccezione di inammissibilità delle prove testimoniali richieste, nè sull’eccezione di nullità delle prove espletate quale motivo di rigetto; 5) l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360 c.p.c., n. 5), in quanto la decisione era fondata non su fatti specifici e circostanziati ma sulle dichiarazioni rese in forma libera dalle persone interessate e su valutazioni soggettive e ragionamenti presuntivi espressi dai testi, omettendo di svolgere una analitica ed effettiva considerazione delle risultanze testimoniali che costituivano il fulcro e il punto nodale della vicenda processuale sin dal giudizio di primo grado;

l’Inps ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

il ricorso è infondato atteso che i motivi dal n. 1 al n. 4 violano la regola dell’autosufficienza del ricorso in cassazione in quanto non sono trascritti nel ricorso, nè prodotti unitamente allo stesso, gli atti su cui le medesime censure si fondano ossia il ricorso introduttivo, la sentenza di primo grado, i motivi dell’atto d’appello formulati dall’Inps, il provvedimento in base al quale la Corte territoriale ha disposto la rinnovazione della prova, la lista dei testimoni indicata dall’Inps, il provvedimento con il quale è stata ammessa la testimonianza della signora C.P.; e neppure risulta documentata l’eccezione di inammissibilità delle prove testimoniali richieste e quella di nullità delle prove espletate non essendo stati trascritti e prodotti i verbali di udienza; in proposito è opportuno ribadire che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr. di recente sentenza n. 20694 del 09/08/2018) “in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio;

deve essere inoltre ricordato che (v. ad es. Cass. n. 7110/2016) le nullità concernenti l’ammissione e l’espletamento della prova testimoniale hanno carattere relativo, derivando dalla violazione di formalità stabilite non per ragioni di ordine pubblico, bensì nell’esclusivo interesse delle parti, sicchè non sono rilevabili d’ufficio dal giudice, ma, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, vanno denunciate dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al loro verificarsi dovendosene escludere, in difetto, la possibilità di farle valere in sede di impugnazione;

il quinto motivo di ricorso è inammissibile perchè attiene al merito della valutazione delle prove, mentre non risulta denunciato ritualmente alcun vizio di motivazione ovvero, dopo la novella nel testo dell’art. 360, n. 5 (operata con il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) conv. con modificazioni in L. n. 134 del 2012), l’omessa valutazione di un fatto risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo, tale per cui se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia; fermo restando altresì che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; le censure sollevate in ricorso a tale proposito tendano invece ad operare una contrapposizione non consentita di un diverso convincimento soggettivo della parte rispetto alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice; in particolare prospettando un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti; mentre tali aspetti del giudizio, interni alla discrezionalità valutativa degli elementi di prova e all’apprezzamento dei fatti, riguardano il libero convincimento del giudice e non i possibili vizi del suo percorso formativo rilevanti ai fini in oggetto; essendo noto che la valutazione delle risultanze delle prove e la scelta, tra le varie, delle risultanze probatorie ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, libero di attingere il proprio convincimento dalle prove che gli paiano più attendibili, senza nemmeno alcun obbligo di esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412);

le considerazioni svolte impongono dunque di rigettare il ricorso e di condannare il ricorrente alla rifusione delle spese processuali; sussistono altresì i presupposti per il pagamento dell’ulteriore somma dovuta a titolo di raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 4700 dio cui Euro 4500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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