Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31343 del 30/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 30/11/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 30/11/2019), n.31343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1098-2018 proposto da:

D.P.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI

PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato UGO DI

PIETRO, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONINO FILIPPO LA

ROSA, GIOVANNI PINO;

– ricorrente –

contro

P.A.M., S.S., S.F., nella qualità

di eredi di S.A., elettivamente domiciliati in ROMA

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato VINCENZO ISGRO’;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 745/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSIMI,

depositata il 29/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO

SCODITTI.

Fatto

RILEVATO

che:

P.A.M., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Barcellona P.G. L.A. (poi deceduto nel corso del processo di primo grado) e D.P.B., ritenuti responsabili con giudicato penale della morte di S.A., congiunto degli attori, chiedendo il risarcimento del danno. Espose la parte attrice che lo S. era deceduto per incidente occorso mentre, alle dipendenze della ditta edile di P.F., lavorava in cantiere edile per i lavori commissionati dai convenuti. Venne chiamato in causa dai convenuti P.F., al quale era stata applicata la pena su richiesta dal giudice penale. Il Tribunale adito accolse la domanda nei confronti di D.P.B., in proprio e nella qualità, con condanna al pagamento della somma di Euro 865.172,00 e la rigettò per il resto. Avverso detta sentenza propose appello la D.P.. Con sentenza di data 29 novembre 2016 la Corte d’appello di Messina rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che mancavano del tutto le prove dell’asserita colpa concorrente della vittima e così anche per il terzo chiamato P.F., a carico del quale l’unico dato valutabile era la sentenza di patteggiamento, priva di efficacia nel giudizio civile. Aggiunse che, dopo che era stata disposta dal giudice istruttore l’acquisizione degli atti del procedimento penale, la causa era stata rinviata per la precisazione delle conclusioni su richiesta di tutte le parti, che non avevano più insistito nell’acquisizione degli atti mancanti, nè con l’atto di appello si era insistito per l’acquisizione.

Ha proposto ricorso per cassazione D.P.B. sulla base di un motivo e resistono con unico controricorso P.A.M., S.S. e S.F.. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 119 e 347 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè omesso esame del fatto decisivo e controverso. Osserva la ricorrente che la corte territoriale non spiega il perchè manchino le prove della colpa concorrente della vittima e che, pur riconoscendo la decisività degli atti non presenti, ha omesso di disporre l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, facoltà rimessa alla discrezionalità del giudice di appello, ma censurabile in sede di legittimità ove dal detto fascicolo si sarebbero tratti elementi decisivi.

Il motivo è inammissibile. Nel motivo è contenuto un accenno alla denuncia di un difetto di spiegazione delle ragioni per le quali si è affermato che mancherebbero le prove della colpa concorrente della vittima. L’accenno è sufficiente ad integrare la censura, che però difetta di specificità in quanto, a fronte dell’accertamento di inesistenza di prove in ordine alla circostanza in discorso, non si deducono gli elementi in base ai quali ritenere la motivazione sul punto come apparente.

La gran parte del motivo è dedicata all’omessa acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado a fronte del rilievo, da parte del giudice di appello, della mancanza degli atti del procedimento penale. La censura è priva di decisività in quanto non intercetta la ratio decidendi. Ciò che il giudice di merito ha rilevato è che non è stata eseguita da parte della cancelleria nel corso del processo l’acquisizione degli atti del procedimento penale disposta dal giudice istruttore in primo grado e che le parti non hanno insistito nell’acquisizione di tali atti. Rispetto a tale ratio decidendi del tutto eccentrica è la censura in termini di mancato esercizio del potere di acquisizione del fascicolo di primo grado, posto che l’esercizio di tale potere non avrebbe rimediato alla mancanza di atti la cui acquisizione, benchè disposta, non era mai stata eseguita, secondo quanto accertato dalla corte territoriale.

Va inoltre evidenziato che, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, la ricorrente non ha specificatamente indicato se la stessa si sia doluta della mancata acquisizione degli atti del procedimento penale in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado e se la circostanza abbia poi costituito motivo di appello. Infine del tutto incomprensibile risulta il richiamo in rubrica all’art. 119 c.p.c..

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2019

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