Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31337 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 04/12/2018, (ud. 09/10/2018, dep. 04/12/2018), n.31337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19187-2014 proposto da:

GRUPPO COIN S.P.A., (già UPIM S.R.L.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO BERTOLONI 31, presso lo studio degli avvocati FABIO PULSONI

e SILVIA MARESCA, che la rappresentano e difendono giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

F.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G. BELLI

27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MEREU, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GIANFRANCO FOCHERINI, ANDREA CANU,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 35/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 28/01/2014 r.g.n. 488/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/10/2018 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SILVIA MARESCA;

udito l’Avvocato PAOLO MEREU.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Pronunziando sulla domanda proposta da F.C. nei confronti del Gruppo Coin spa, il Tribunale di Brescia condannava detta società al pagamento dell’indennità di missione pari ad euro 13.192,00 e del rimborso spese viaggio, pari ad Euro 3.413,61. Tale decisione veniva confermata dalla Corte distrettuale che, nel proprio iter motivazionale, rimarcava come la lavoratrice, già direttrice dell’Upim di (OMISSIS), all’epoca di acquisizione della società da parte del Gruppo Oviesse Coin, era stata inviata presso il negozio Oviesse di (OMISSIS), che raggiungeva quotidianamente dalla propria abitazione di (OMISSIS).

La Corte di merito procedeva, quindi, alla disamina dell’art. 167 c.c.n.l. settore terziario. Argomentava, in estrema sintesi, che un’interpretazione secondo correttezza e buona fede della disposizione disciplinante l’istituto della missione temporanea, induceva a ritenere che l’opzione riservata alla parte datoriale dal quarto comma della disposizione ed applicata nello specifico – alia cui stregua la diaria disciplinata dal secondo e terzo comma per il personale in missione temporanea, poteva essere sostituita dal rimborso a pie di lista delle spese di vitto e alloggio – non si applicasse ai lavoratori che, (come la ricorrente), rientravano ogni sera nelle proprie abitazioni i quali, non sostenendo spese di vitto e alloggio, venivano deprivati anche della diaria per il disagio derivante dallo spostamento temporaneo dalia propria sede di lavoro.

Quanto al rimborso spese sostenute per il trasferimento pari al costo di carburante, usura automezzo ed autostrada, ribadiva che la disposizione contrattuale esigeva solo che fossero documentate, essendo irrilevante la mancata formulazione da parte della lavoratrice, dell’istanza di rimborso anteriormente alla cessazione del rapporto stesso.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Gruppo Coin s.p.a. il quale affida l’impugnazione a tre motivi di censura, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste con controricorso F.C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.c.n.l. terziario e degli artt. 1362-1363 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè erronea ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo per la controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si critica la sentenza impugnata per avere violato il principio di gerarchia dei canoni legali di ermeneutica contrattuale tralasciando quello fondato sul significato letterale delle parole, che prevale su quelli interpretativi-integrativi. Utilizzando il canone sussidiario della correttezza e buona fede la Corte di merito avrebbe travisato il significato della diaria, attribuendole natura retributiva ed introducendo una distinzione, sotto il profilo dell’an, fra trasferta con pernottamento e senza, che la disposizione non prevedeva affatto.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1363 c.c. in relazione al regolamento aziendale sulle trasferte in Italia ed all’estero, violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.c.n.l. terziario ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè erronea ed insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo per la controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ci si duole che il giudice del gravame abbia accolto l’istanza di rimborso spese formulata dalla lavoratrice in violazione dei canoni di interpretazione del negozio giuridico, dei quali il principale è rappresentato dal senso letterale delle parole, atteso che il regolamento aziendale prevedeva espressamente la preventiva autorizzazione all’uso della autovettura da parte datoriale.

3. I motivi possono essere trattati congiuntamente per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse.

2. Preme rilevare che sussiste una causa di improcedibilità del ricorso laddove le ragioni di doglianza si basano sulla dedotta violazione delle summenzionate norme collettive, atteso, che al riguardo la ricorrente ha omesso di produrre il testo integrale del relativo contratto, onde consentire a questa Corte di verificare la fondatezza o meno delle relative censure.

Si è, infatti, statuito (Cass. Sez. Lav. 4/3/2015 n. 4350, cui adde Cass. 26/9/2016 n.18866, Cass. 18/9/2017 n.21554) che “nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; nè, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti.”

Come le Sezioni Unite insegnano, l’onere del deposito degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, sancito, a pena di sua improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, è infatti soddisfatto: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, mediante il deposito di quest’ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile; b) se il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che lo stesso è depositato nel relativo fascicolo del giudizio di merito, benchè, cautelativamente, ne sia opportuna la produzione per il caso in cui quella controparte non si costituisca in sede di legittimità o la faccia senza depositare il fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso, oppure attinente alla fondatezza di quest’ultimo e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante il suo deposito, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (Cass. SS.UU. 7/11/2013 n. 25038; Cass., SS. UU. 25/3/2010 n. 7161).

Inoltre questa Corte, sempre a Sezioni Unite, con sentenza del 23 ottobre 2010 n. 20075 ha sancito che il richiamato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve interpretarsi nel senso che, allorchè il ricorrente denunci la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il deposito suddetto deve avere ad oggetto, a pena d’improcedibilità non già solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche il testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni.

Poichè nella specie parte ricorrente non ha specificato nel ricorso per cassazione, come prescritto dall’insegnamento innanzi ricordato, l’avvenuta produzione integrale del contratto collettivo sul quale fonda i motivi di censura e la sede in cui lo stesso era rinvenibile, nè tale contratto collettivo risulta integralmente prodotto, le censure vanno dichiarate improcedibili.

A tale statuizione consegue l’assorbimento del terzo motivo, formulato in via subordinata, e con il quale è stata avanzata istanza di restituzione degli importi versati in sede di esecuzione della pronuncia di primo grado.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.

Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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