Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31333 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 04/12/2018, (ud. 25/09/2018, dep. 04/12/2018), n.31333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amalia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28649-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, c.f. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente –

contro

B.M., R.C., D.S.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE XXI APRILE 15, presso lo studio

dell’avvocato ANTONELLA MINIERI, che li rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 8113/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/12/2012 R.G.N. 5575/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/09/2018 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONELLA MINIERI.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 10 dicembre 2012) respinge l’appello dell’Agenzia delle Dogane avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 9990/2009, la quale in parziale accoglimento dei ricorsi riuniti proposti da B.M., R.C. e D.S.G. – all’epoca tutti dipendenti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato che avevano partecipato al concorso interno per titoli riservato al personale dell’allora Dipartimento delle Dogane e delle Imposte Indirette indetto dal Ministero delle Finanze con D.M. 29 settembre 1992 per la copertura di numerosi posti di funzionario tributario (ottava qualifica funzionale), risultando nella graduatoria finale tra gli idonei non vincitori – ha: a) accertato il diritto dei ricorrenti al riconoscimento della decorrenza economica dell’inquadramento nella 8^ qualifica funzionale fin dal 2 settembre 1996; b) condannato detta Amministrazione a pagare ai ricorrenti, a titolo di risarcimento del danno, le differenze retributive maturate dalla data di pubblicazione della graduatoria (2 settembre 1996) al 2004 (data di immissione nella qualifica) come quantificate, oltre agli interessi legali; c) respinto ogni ulteriore domanda.

2. La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) va ribadita la spettanza della controversia alla giurisdizione del giudice ordinario, in base alla consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione secondo cui nei rapporti di lavoro contrattualizzati alle dipendenze della P.A., ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, nel caso in cui laddove la pretesa azionata abbia origine da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro, si deve avere riguardo al momento della realizzazione del fatto dannoso e, perciò, al momento della cessazione della permanenza e, nella specie, il comportamento illecito della PA si è protratto ben oltre il 30 giugno 1998;

b) per quanto attiene al merito della vicenda va data continuità, anche in considerazione alle argomentazioni difensive dell’Agenzia, alla giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui l’esclusione della retroattività del trattamento economico vale soltanto in caso di costituzione del rapporto di lavoro pubblico illegittimamente negata, mentre l’annullamento dell’atto amministrativo che fa cessare illegittimamente un rapporto di impiego o ne ritarda la progressione determina come conseguenza la reviviscenza del rapporto nella sua pienezza, quale si svolgeva e avrebbe dovuto svolgersi, con tutte le conseguenze di anzianità, di carriera e di retribuzione (vedi, per tutte: Consiglio di Stato, Sezione 6, sentenza 27 settembre 2002, n. 4955). Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza di merito;

c) va pure disattesa la censura dell’Agenzia si omessa pronuncia sulla prescrizione in quanto, trattandosi di diritto al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, la prescrizione applicabile è quella ordinaria, non rientrando la suddetta ipotesi in alcuna di quelle per le quali si prevede si prevede la prescrizione breve.

3. Il ricorso dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; resistono, con controricorso, B.M. e R.C..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Profili preliminari.

1. Preliminarmente si fa presente che, con provvedimento del Primo Presidente di questa Corte in data 30 marzo 2018, in risposta ad una nota del Presidente Titolare della Sezione Lavoro, questa Sezione è stata autorizzata ad esaminare le questioni di giurisdizione proposte nel presente ricorso, essendosi su di esse già ripetutamente pronunciate le Sezioni Unite.

2. Sempre in via preliminare deve essere dichiarata l’infondatezza della censura di inammissibilità di alcuni motivi del ricorso prospettata nel controricorso in riferimento alla mancata formulazione dei quesiti di diritto per l’illustrazione dei motivi stessi.

Va, infatti, ricordato che, diversamente da quanto sostenuto dai controricorrenti, essendo stata la sentenza attualmente impugnata pubblicata in data 10 dicembre 2012, al presente ricorso non si applica l’art. 366-bis c.p.c..

Il suddetto articolo, inserito nel codice di rito (con decorrenza 2 marzo 2006) dal D.Lgs.2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 marzo 2006), è stato abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), entrata in vigore il 4 luglio 2009.

La L. n. 69 cit., art. 58 è espressamente dedicato alle “disposizioni transitorie”.

Il comma 1 suddetto articolo – cui fa riferimento il contro ricorrente, che però nei propri atti difensivi non ne riporta la significativa parte iniziale detta il regime transitorio generale e stabilisce testualmente: “Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. art. 366-bis c.p.c.”.

Il testo del successivo comma 5 – espressamente dedicato alla disciplina transitoria delle modifiche del codice di procedura civile afferenti il giudizio di cassazione, contenute nel precedente art. 47 – è il seguente: “le disposizioni di cui all’art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge” (vedi, fra le tante: Cass. 8 aprile 2011, n. 8059; Cass. 10 marzo 2011, n. 5752; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21079; Cass. 27 settembre 2010, n. 20323; Cass. 24 marzo 2010, n. 7119).

Ne consegue che è sufficiente leggere il testo integrale del suindicato art. 58, commi 1 e 5 per avere chiaro che l’art. 366-bis c.p.c. non si applica nel presente giudizio, visto che la attualmente sentenza impugnata con il ricorso per cassazione è stata pubblicata dopo il 4 luglio 2009.

Peraltro, vi è una copiosa, uniforme e condivisa giurisprudenza di questa Corte che si è occupata dalla suddetta problematica (vedi, fra le tante: Cass. 10 maggio 2012, n. 7110; Cass. 14 maggio 2012, n. 7471; Cass. 17 ottobre 2011, n. 21431; Cass. 8 aprile 2011, n. 8059; Cass. 10 marzo 2011, n. 5752; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21079; Cass. 27 settembre 2010, n. 20323; Cass. 24 marzo 2010, n. 7119).

2- Sintesi dei motivi di ricorso.

3. Il ricorso è articolato in sei motivi.

3.1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69,contestandosi che la Corte d’appello abbia affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario senza attribuire rilievo, come fatto asseritamente causativo del danno, al solo atto istantaneo della graduatoria – formata nel 1996 – poi giudicata illegittima e che non abbia, quindi, ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7.

Del resto, la domanda riguardava l’illegittimo esercizio del potere pubblico nell’espletamento d’una procedura concorsuale, mentre la Corte territoriale ha fatto riferimento all’asserito carattere permanente dell’illecito contrattuale ascritto all’Amministrazione.

In sintesi, secondo l’Agenzia ricorrente gli atti dai quali i dipendenti hanno fatto derivare le proprie pretese si collocavano interamente in un arco temporale precedente la data del 30 giugno 1998, il che giustificava la giurisdizione del giudice amministrativo a norma del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, atteso che la domanda relativa alla decorrenza economica dal 2 settembre 1996 dell’inquadramento nell’ottava qualifica funzionale era basata sull’esito favorevole di una procedura concorsuale indetta il 3 febbraio 1992. Nel ricorso si aggiunge che la domanda risarcitoria era fondata sull’asserita illegittimità degli atti di ammissione al concorso di candidati non in possesso dei requisiti previsti per parteciparvi (cinque anni di servizio effettivo nella qualifica) e della loro inclusione nella graduatoria approvata con decreto 24 giugno 1996, in posizione anteposta a quella degli attuali controricorrenti, che perciò non avevano potuto acquisire la qualifica superiore.

Di qui la conferma che nel caso di specie era configurabile non già un illecito permanente, bensì un illecito istantaneo ad effetti permanenti, essendo stato il danno causato dall’approvazione della graduatoria, avvenuta nel 1996.

3.2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. per essersi la Corte limitata ad esaminare il profilo di difetto di giurisdizione denunciato D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 69, comma 7, senza avere invece esaminato il profilo di difetto di giurisdizione denunciato in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, sull’assunto secondo cui la controversia era da devolvere al giudice amministrativo anche perchè riguardante una procedura concorsuale diretta a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area funzionale superiore.

3.3. Per l’ipotesi in cui la suddetta omessa pronuncia venga intesa come implicito rigetto, con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, nonchè della L. n. 205 del 2000, art. 7, comma 3, applicabile ratione temporis, sostenendosi che la procedura concorsuale de qua era diretta a consentire l’accesso ad una qualifica superiore sicchè la presente controversia sarebbe da attribuire alla giurisdizione del giudice amministrativo in tutti i suoi aspetti, anche risarcitori.

3.4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c.; violazione del principio di corrispettività della retribuzione desumibile dall’art. 2013 c.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare se il ritardo dell’Amministrazione potesse realmente considerarsi colpevole, visto il succedersi nel tempo di plurime contrastanti sentenze del giudice amministrativo divenute definitive. Invece, nella sentenza impugnata, attraverso l’erronea qualificazione giuridica dei fatti in termini di responsabilità contrattuale, è stata affermata la colpa “in re ipsa” dell’Amministrazione a causa della dichiarazione di illegittimità dell’attività provvedi mentale, mentre comunque si sarebbe dovuta accertare l’imputabilità all’Amministrazione dell’inadempimento.

Si aggiunge che neppure è stato considerato che il conseguimento della superiore qualifica in oggetto si atteggia come nuova assunzione conseguentemente la decorrenza del relativo trattamento economico presuppone l’esercizio delle relative mansioni.

3.5. Con il quinto motivo – in via ulteriormente subordinata – si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’asseritamente mancata valutazione dell’incolpevole incertezza in cui si è trovata l’Amministrazione dato il complesso svilupparsi della vicenda in sede di giustizia amministrativa.

La Corte romana, infatti, non avrebbe considerato che:

a) con atto del 2 settembre 1996, all’esito della procedura concorsuale in oggetto – nell’ambito della quale gli attuali controricorrenti seppur idonei, non erano risultato vincitore – venne approvata la relativa graduatoria;

b) il TAR Lazio, con sentenza n. 185 del 1995, in accoglimento del ricorso di una ventina di concorrenti appartenenti alla 7^ qualifica funzionale ma non in possesso alla data del 31 dicembre 1990 del richiesto requisito dei cinque anni di effettivo servizio nella suddetta qualifica, annullò il bando del concorso ove si richiedeva tale requisito per poter partecipare al concorso stesso;

c) l’Amministrazione dopo aver proposto appello assunse la decisione di eseguire subito la suddetta sentenza, modificando l’originaria graduatoria;

d) nel frattempo diversi gruppi di controinteressati impugnarono la graduatoria a causa della suddetta disposta integrazione;

e) con sentenze del TAR Lazio n. 3672, 3673 e 3679 del 2000 venne ordinato alla Amministrazione di riformulare la graduatoria escludendo coloro che erano stati inclusi in base sentenza del TAR Lazio n. 185 del 1995;

f) il Commissario ad acta successivamente nominato provvide quindi, con determinazione n. 370 del 14 gennaio 2004, alla riformulazione della graduatoria, in esecuzione della quale l’Agenzia delle Dogane ha riformulato la graduatoria generale di merito escludendovi, tenendo conto dell’avvenuto annullamento giudiziale dei provvedimenti di ammissione alla procedura concorsuale dei candidati non in possesso dei prescritti requisiti;

g) sicchè in tale nuova graduatoria erano stati depennati i vincitori privi del requisito sopra indicato ed erano stati invece inseriti, al loro posto, gli idonei, con attribuzione dell’VIII qualifica con decorrenza ai fini giuridici dal 2 settembre 1996 e ai fini economici ex nunc (2004).

Di qui l’assoluta incertezza in cui si è trovata l’Amministrazione e, quindi, la mancanza di colpa della azione della P.A., essendo configurabile una condotta determinata da un errore scusabile, mentre la Corte territoriale ha ritenuto sussistere una sorta di responsabilità oggettiva.

3.6. Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c..

Si sostiene che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, la riformulazione della graduatoria del 2004 non è configurabile come il fatto costitutivo dell’illecito – quale è, invece, il decreto del 1996 di approvazione della prima graduatoria – in quanto tale riformulazione rappresenta l’annoso epilogo di un contenzioso complesso e ondivago e non poteva certamente assicurare la ricostruzione economica delle posizioni, ma soltanto quella giuridica come è accaduto.

Pertanto, essendosi la lesione della posizione giuridica dei ricorrenti in primo grado verificata nel 1996, il diritto degli stessi si era prescritto nel 2001, applicandosi la prescrizione quinquennale per effetto dell’esatto inquadramento della vicenda.

3- Esame delle censure.

4. L’esame dei motivi di censura porta alla dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario e al complessivo rigetto del ricorso, per le ragioni di seguito esposte e in continuità con le numerose decisioni di questa Corte che hanno esaminato analoghe fattispecie, con la precisazione che, con il presente ricorso, l’Amministrazione formula molteplici contestazioni anche con riguardo al merito della vicenda (analogamente da quel che si è verificato, ad esempio, nelle vicende di recente esaminate da Cass. SU 20 dicembre 2016, n. 26276 e da Cass. SU 6 giugno 2017, n. 13981) e non si limita ad impugnare soltanto le sfavorevoli statuizioni in materia di giurisdizione e di prescrizione (come era accaduto nelle controversie di cui a Cass. SU 23 febbraio 2012 n. 2705 e Cass. SU 14 gennaio 2014, n. 580).

5. Il primo motivo del ricorso non è da accogliere, dovendosi dare continuità alla giurisprudenza delle Sezioni Unite (vedi Cass. SU sentenze 23 febbraio 2012, n. 2705; 14 gennaio 2014, n. 579 e n. 580; 20 dicembre 2016, n. 26276; 6 giugno 2017, n. 13981), che nel decidere su fattispecie identiche alla presente (domande proposte da altri dipendenti dell’Agenzia delle Dogane, aventi la medesima causa petendi) ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario in applicazione del consolidato principio secondo cui, qualora la lesione d’un diritto sia stata prodotta da un atto (avente natura negoziale o di provvedimento amministrativo), la giurisdizione va individuata con riferimento alla data dell’atto medesimo (vedi, fra le tante: Cass. SU 22 marzo 2017, n. 7305; Cass. SU 27 dicembre 2011, n. 28808; Cass. SU 28 aprile 2011, n. 9446).

In applicazione di tale principio è stato affermato, proprio riguardo al bando di concorso in oggetto, che il giudice munito di giurisdizione deve essere individuato con riferimento alla data della determinazione con la quale è stata approvata la nuova graduatoria (6 febbraio 2004), atteso che solo tale provvedimento, disponendo la decorrenza economica ex nunc del superiore inquadramento, ha fatto sorgere nei dipendenti la necessità di chiedere la tutela giurisdizionale della propria posizione.

Pertanto, avuto riguardo alla data del 6 febbraio 2004, devono considerarsi appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, le controversie, come quella in esame, riguardanti la gestione dei rapporti di impiego c.d. contrattualizzato.

6. Anche il terzo motivo – da trattare, in ordine logico, prima del secondo – non è da accogliere.

Muovendosi dal tenore del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4 secondo il quale “Restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni…” – a partire da Cass. SU 15 ottobre 2003, n. 15403 e dalle conformi pronunce successive (vedi: Cass. SU n. 3948/2004, n. 10183/2004, n. 6217/2005, n. 10605/2005, n. 20107/2005), in ordine alle controversie aventi ad oggetto i concorsi interni si è affermato che il riferimento all’assunzione, contenuto nel citato art. 63, comma 4, va inteso in senso non strettamente letterale, ma come comprendente le “prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore” (Cass. S.U. n. 15403/2003, cit.).

6.1. In definitiva, il concorso è in ogni caso rivolto all’assunzione allorchè sia pubblico, cioè aperto agli esterni, ed è indifferente che vi partecipino anche lavoratori già dipendenti pubblici; ma è ugualmente rivolto all’assunzione, ove sia riservato agli interni, quante volte risulti finalizzato ad una progressione verticale che consista nel passaggio ad una posizione funzionale qualitativamente diversa, tale da comportare una novazione oggettiva del rapporto di lavoro (vedi Cass. SU 10 dicembre 2003, n. 18886).

Con la lettura estensiva, nei sensi sopra precisati, del lemma “assunzione”, la qualificazione della procedura come attività autoritativa oppure negoziale dipende dall’interpretazione delle fonti che la regolano.

6.2. Non v’è problema quando la procedura sia comunque aperta all’assunzione di esterni: si tratta di procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 97 Cost., e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35.

6.3. Per i concorsi interni, invece, la giurisdizione è determinata dall’esito della verifica in ordine alla natura, o meno, della progressione come verticale, permanendo all’ambito dell’attività autoritativa soltanto il mutamento dello status professionale, non le progressioni meramente economiche, nè quelle che comportino il conferimento di qualifiche più elevate, ma pur sempre comprese nella stessa area, categoria, o fascia di inquadramento, e caratterizzate, di conseguenza, da profili professionali omogenei nei tratti fondamentali, diversificati sotto il profilo quantitativo piuttosto che qualitativo.

La nozione di area, quale insieme di posizioni professionali associato a plurime qualifiche, anche di diverso livello, ma connotate da elementi di omogeneità, viene introdotta dalla riforma c.d. di “privatizzazione” o “contrattualizzazione” del lavoro pubblico, attuata dalle norme generali raccolte nel D.Lgs. n. 165 del 2001.

Alcune aree sono direttamente definite dalle norme di legge (area della dirigenza e dei professionisti: art. 40, comma 2; area della vice-dirigenza: art. 7 bis).

Per il restante personale contrattualizzato, il disegno di delegificazione è stato attuato affidando alla contrattazione collettiva nel settore pubblico (vedi Corte Cost. n. 199 del 2003) anche la materia degli inquadramenti (in quanto non esclusa dalla previsione di cui all’art. 40, comma 1).

6.4. Dunque, per il personale dei Comparti, sono stati i contratti collettivi (della seconda tornata contrattuale) ad introdurre il sistema di classificazione per aree di inquadramento, cui lo stesso testo del D.Lgs. n. 165 del 2001, come successivamente modificato e integrato, si riferisce (art. 30, comma 2 bis, quanto alla disciplina della mobilità; art. 34 bis, comma 1, quanto ai concorsi per l’assunzione).

La giurisprudenza di questa Corte (vedi: Cass. 5 maggio 2005, n. 14193) ha avuto modo di chiarire che la disciplina legale della classificazione dei lavoratori pubblici c.d. contrattualizzati ha carattere speciale rispetto a quella dettata dal codice civile; di conseguenza, il sistema di inquadramento per aree sostituisce quello per categorie, di cui all’art. 2095 c.c., che parimenti può accorpare più qualifiche.

6.5. In conclusione, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, si interpreta, alla stregua dei principi enucleati ex art. 97 Cost., dal Giudice delle leggi, nel senso che per “procedure concorsuali di assunzione”, ascritte al diritto pubblico e all’attività autoritativa dell’amministrazione, si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione ex novo dei rapporti di lavoro (come le procedure aperte a candidati esterni, ancorchè vi partecipino soggetti già dipendenti pubblici), ma anche i procedimenti concorsuali interni, destinati, cioè, a consentire l’inquadramento dei dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate, profilandosi in tal caso una novazione oggettiva dei rapporti di lavoro.

6.6. Le progressioni, invece, all’interno di ciascuna area professionale o categoria, sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive sia con il conferimento di qualifiche (livello funzionale di inquadramento connotato da un complesso di mansioni e di responsabilità) superiori (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 1), sono affidate a procedure poste in essere dall’Amministrazione con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2).

Tale differente disciplina tra i passaggi interni alle aree professionali rispetto a quelli esterni appare, inoltre, confermata dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 193, là dove si riferisce “agli importi relativi alle spese per le progressioni all’interno di ciascuna area professionale o categoria…” e alla diversa nozione di “passaggio di area o di categoria”.

6.7. In presenza di progressioni all’interno di ciascuna area professionale o categoria, secondo disposizioni di legge o di contratto collettivo, necessariamente ci si trova al di fuori dell’ambito delle attività amministrative autoritative e la procedura è retta dal diritto privato (L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 1 bis, nel testo attuale), con conseguente giurisdizione del giudice ordinario.

Questo è il caso di specie, trattandosi di procedura concorsuale per accedere ad una qualifica funzionale interna alla medesima area professionale, come già affermato da questa Corte nelle citate sentenze.

6.8. Nè alla Agenzia ricorrente giova obiettare che il danno che i lavoratori assumono essere loro derivato sarebbe riconducibile non già al ritardo con il quale l’Amministrazione ha provveduto all’attribuzione della superiore qualifica, bensì all’illegittimo ritardo con cui la stessa Amministrazione ha portato a compimento la procedura concorsuale, con l’approvazione definitiva della graduatoria.

Invero, trattandosi – come s’è detto – d’una procedura concorsuale per la progressione in carriera all’interno della medesima area professionale ormai attratta nella giurisdizione del giudice ordinario fin dal 30 giugno 1998 e comunque già alla data del provvedimento del 6 febbraio 2004 – che, approvando la graduatoria con mera decorrenza economica ex nunc del superiore inquadramento, ha integrato la fattispecie determinativa di danno si verte in materia di rapporto di pubblico impiego cd. contrattualizzato, che per sua stessa natura prevede in capo al lavoratore esclusivamente posizioni di diritto soggettivo nei confronti dell’Amministrazione datrice di lavoro.

Inoltre – contrariamente a quanto sostenuto in ricorso – il danno di cui i lavoratori controricorrenti hanno ottenuto il risarcimento deriva non dal ritardo nell’approvazione della graduatoria (come nella vicenda esaminata da queste Sezioni Unite nella sentenza 7 luglio 2014, n. 15428) e neppure dall’illegittima formazione della graduatoria originariamente approvata con decreto 24 giugno 1996 (già annullata all’esito di precedente giudizio), ma dall’illegittima decorrenza (fatta coincidere con il 6 febbraio 2004) degli effetti economici della superiore qualifica.

7. Nella descritta situazione il secondo motivo è inammissibile perchè non risulta formulato in conformità con gli orientamenti consolidati di questa Corte secondo cui:

a) la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l’onere, per il principio di specificità del motivi del ricorso, a pena di inammissibilità, di precisare in quale atto difensivo o verbale di udienza l’ha formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, e quindi la decisività della questione, e perchè, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c. un error in procedendo, per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli (Cass. SU 14 maggio 2010, n. 11730; Cass. SU 22 maggio 2012, n. 8077);

b) il requisito della specificità dei motivi di appello, che assolve la duplice funzione di delimitare l’estensione del riesame domandato e d’indicare le ragioni concrete del medesimo, postula, anche con riguardo a statuizione del giudice di primo grado in tema di giurisdizione, l’indicazione, sia pure in forma succinta, degli errori attribuiti alla sentenza di primo grado, non essendo sufficiente il generico richiamo alle difese svolte in tale sede e non essendo configurabile – in mancanza di specifici motivi di appello in ordine alla statuizione predetta – un vizio di omessa pronuncia del giudice di secondo grado in relazione alla questione di giurisdizione (Cass. SU 25 febbraio 1992, n. 2303).

Peraltro la questione su cui si lamenta l’omessa pronuncia è anche priva di decisività, per quanto si è detto, sicchè può considerarsi implicitamente respinta, come suppone la stessa ricorrente (Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. 11 gennaio 2006, n. 264).

8. Le considerazioni esposte, a proposito del primo e del terzo motivo, dimostrano l’infondatezza anche del quarto motivo.

8.1. Invero, una volta chiarito che il superamento del concorso interno de quo non comportava novazione alcuna e che il concorso si è svolto nell’ambito d’un unico e ininterrotto rapporto lavorativo in essere già da tempo, non si vede come possa qualificarsi aquiliana la responsabilità dell’Amministrazione che ha illegittimamente fatto decorrere gli effetti economici dell’attribuzione della superiore qualifica solo dal 6 febbraio 2004 anzichè dal 2 settembre 1996 (vedi, in tal senso: Cass. SU 20 dicembre 2016, n. 26276 e Cass. SU 6 giugno 2017, n. 13981, citate).

Inoltre, agli attuali controricorrenti è stato riconosciuto non un trattamento retributivo, ma uno meramente risarcitorio ex art. 1218 cod.civ. (e ciò a prescindere dal parametro di quantificazione adottato) e, versandosi in tema di responsabilità contrattuale, l’imputabilità dell’inadempimento si presume fino a prova contraria.

9. Il quinto motivo è inammissibile in quanto nella sostanza le censure con esso proposte si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.

Si tratta, quindi, di censure che finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dalla Corte d’appello, che come tale è di per sè inammissibile. A ciò va aggiunto che le relative censure risultano prospettate in modo non conforme all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, essendo stata la sentenza impugnata depositata dopo l’11 settembre 2012 e precisamente il 10 dicembre 2012. In base alla novella la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928). Evenienze che non si verificano nella specie.

Come precisato dalle Sezioni Unite (vedi, per tutte: sentenze 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054) nei giudizi per cassazione assoggettati ratione temporis alla nuova normativa, la formulazione di una censura riferita all’art. 360 cit., n. 5 che replica sostanzialmente il previgente testo di tale ultima disposizione – come accade nella specie – si palesa inammissibile alla luce del nuovo testo della richiamata disposizione, che ha certamente escluso la valutabilità della “insufficienza” della motivazione, limitando il controllo di legittimità all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, “omesso esame” che non costituisce nella specie oggetto di censura.

10. Tenuto conto della data del provvedimento (6 febbraio 2004) a decorrere dalla quale il diritto poteva essere rivendicato è altresì privo di pregio il sesto motivo con il quale si sostiene che il diritto fatto valere si sarebbe prescritto, reiterandosi l’argomento – già svolto in precedenza, in particolare nel quarto motivo – secondo cui la presente fattispecie non sarebbe configurabile in termini di responsabilità contrattuale della P.A.

4- Conclusioni.

11. In sintesi, si deve dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario e rigettare il ricorso.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza dell’Amministrazione pubblica ricorrente (che, in quanto tale, non è tenuta anche al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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