Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31332 del 12/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 12/08/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 12/08/2019), n.21332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19623/2014 proposto da:

M.A., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato SERGIO DI MODICA;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI RAGUSA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ALESSANDRIA 17, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CASIMIRO,

rappresentata e difesa dall’avvocato DANILO VALLONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 137/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/02/2014; r.g.n. 1602/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito

l’Avvocato ANTONELLA FIDELIO per delega verbale DANILO VALLONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 137/14, pronunciando sull’impugnazione proposta dall’Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Ragusa nei confronti di M.A. e di Calvo Carmelina, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Ragusa, in riforma di quest’ultima, rigettava le domande proposte dalla M. con il ricorso introduttivo del giudizio.

2. La M., medico pediatra convenzionato, iscritto negli elenchi SAUB per il Comune di (OMISSIS), aveva presentato alla ASP domanda per ottenere l’indennità prevista dall’art. 41, comma 6, dell’Accordo collettivo nazionale dei pediatri di libera scelta, per l’utilizzazione di un collaboratore di studio (v., D.P.R. n. 272 del 2000).

Allegava alla domanda una propria dichiarazione sostitutiva attestante che dal 7 aprile 1998 utilizzava il personale di cui al bando per l’attribuzione dell’indennità (decreto Assessorato regionale della sanità del 4 agosto 2003), accludendo il contratto di lavoro della dipendente C.G., nonchè altra propria dichiarazione che reiterava la suddetta data di assunzione ed il livello di inquadramento.

3. La ricorrente, poichè nella relativa graduatoria era risultata inserita all’ottavo posto, e dunque in posizione non utile a percepire l’indennità, aveva adito il Tribunale di Ragusa per l’accertamento del diritto al riconoscimento della stessa.

La lavoratrice aveva prospettato che l’Azienda sanitaria provinciale di Ragusa avrebbe dovuto tener conto non solo del rapporto di lavoro instaurato con la C. con decorrenza dal 7 aprile 1998, ma anche dei precedenti rapporti di lavoro, instaurati sin dall’11 maggio 1987, anche con altri dipendenti.

4. Il Tribunale aveva riconosciuto il diritto della ricorrente a percepire la suddetta indennità di cui al citato art. 41, comma 6, e per l’effetto aveva condannato I’ASP al pagamento della medesima, oltre interessi legali dal dovuto sino al soddisfo.

5. La Corte d’Appello ha accolto il primo motivo di appello con cui I’ASP aveva dedotto che, erroneamente, il giudice di primo grado aveva dato rilievo anche ai rapporti di lavoro non continuativi instaurati dalla Dott.ssa M. a far data dal 1987.

5.1. Il giudice di secondo grado ha affermato che dall’esame del bando (artt. 1 e 3 del decreto dell’Assessorato regionale della sanità del 4 agosto 2003) era chiaro l’intendimento secondo il quale, ai fini della formazione della graduatoria, si doveva tenere conto unicamente del collaboratore esistente alle dipendenze del medico al momento della domanda, e della sua anzianità di servizio.

La ratio della norma era quella di premiare il medico che assicurava il posto di lavoro al proprio dipendente con una continuità maggiore e con una più lunga anzianità di servizio.

L’accoglimento del primo motivo di appello esimeva dall’esame delle restanti censure.

6. Con ricorso per cassazione notificato il 23 luglio 2014, la lavoratrice prospetta due motivi di impugnazione della sentenza di appello.

7. Resiste l’Azienda sanitaria provinciale di Ragusa con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di CCNL (art. 360 c.p.c., n. 2, rette: n. 3).

La ricorrente censura l’interpretazione degli artt. 1 e 3 del decreto dell’Assessorato regionale della sanità del 4 agosto 2003 effettuata dalla Corte d’Appello, che ha affermato che, ai fini del riconoscimento dell’indennità in questione, doveva farsi riferimento esclusivamente al singolo dipendente in servizio al momento della presentazione della domanda e all’anzianità di servizio dello stesso.

Ad avviso della lavoratrice, la ratio delle disposizioni è quella di privilegiare i medici, che sono i destinatari dell’indennità, che per più tempo si siano avvalsi di personale inquadrato come collaboratore di studio.

Ciò risultava anche dall’esame letterale del decreto dell’Assessorato regionale della sanità, atteso il riferimento (art. 3) al criterio dell’anzianità di assunzione del dipendente, al fine della formulazione della graduatoria.

Tale norma andava letta insieme all’art. 4 che prevedeva che l’Amministrazione doveva procedere alla verifica del possesso dei requisiti e, soprattutto, all’esame del contratto e della relativa documentazione attestante la continuità dell’utilizzazione del personale in argomento.

La Corte d’Appello, quindi, aveva confuso il criterio di ammissione a partecipare al bando (art. 1 – utilizzazione di un collaboratore al momento della pubblicazione del bando), con il diverso criterio di valutazione previsto dall’art. 3, che si riferiva genericamente all’anzianità di servizio del dipendente e che, coordinato con l’art. 4, e comunque con la ratio sottesa alla disciplina in esame, doveva intendersi riferito alla continuità di utilizzazione di tutto il personale dipendente.

L’interpretazione prospettata dalla ricorrente, secondo la stessa, sarebbe stata corroborata dalla circostanza che l’indennità era disposta a favore del medico, e che era irragionevole che l’indennità fosse correlata alla presenza del medesimo lavoratore per tutto il periodo in cui ci si era avvalsi della figura del collaboratore di studio.

Infine, tale prospettazione trovava conferma nel successivo provvedimento dell’Assessorato della salute della Regione siciliana del 29 giugno 2011, con cui era stato reso esecutivo l’Accordo integrativo regionale dei pediatri di libera scelta, sottoscritto dalla Regione siciliana e le OO.SS. di categoria il 19 aprile 2011, nel quale, in particolare, ai fini della formazione della graduatoria, si attribuiva rilievo all’anzianità complessiva di assunzione dei dipendenti.

1.1. Il motivo, che in ragione dello sviluppo argomentativo dello stesso va ricondotto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, è inammissibile.

1.2. Occorre premettere che la Corte d’Appello ha proceduto all’interpretazione del bando, emesso dall’Assessorato regionale della sanità il 4 agosto 2003, per la formazione della graduatoria ai fini dell’erogazione dell’indennità di cui all’art. 41, comma 6, dell’Accordo collettivo nazionale dei pediatri di libera scelta (v., D.P.R. n. 272 del 2000).

La ratio decidendi della sentenza impugnata è costituita dall’affermazione che le disposizioni del suddetto bando attribuiscono rilievo ai fini della formazione della graduatoria unicamente al collaboratore esistente alle dipendenze del medico al momento della domanda, e alla sua anzianità di servizio.

1.3. Il suddetto bando assume rilievo come atto unilaterale che regola la procedura per l’attribuzione dell’indennità dal punto di vista, sia degli adempimenti formali, a cui gli aspiranti devono ottemperare in sede di presentazione della domanda; sia delle regole sostanziali relative ai criteri di valutazione per la formazione della graduatoria e l’attribuzione della indennità in questione.

Nell’interpretazione delle relative clausole, pertanto, deve farsi riferimento alle regole sull’interpretazione dei contratti.

La censura relativa alla mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, quale quella prospettata nella specie, esige una specifica indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass., n. 4178 del 2007, n. 873 del 2019).

Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato (citata Cass., n. 873 del 2019).

1.4. Nella specie tale indicazione è mancata, limitandosi la ricorrente, senza la specifica indicazione dei criteri ermeneutici violati nei sensi anzidetti, ad esporre una propria interpretazione del bando in questione, alternativa rispetto a quella della Corte d’Appello, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

La ricorrente riporta le statuizioni con le quali la Corte d’Appello ha affermato, sia che la medesima aveva presentato domanda di indennità solo con riguardo ai dipendenti effettivamente in servizio presso lo studio al momento del bando, e principalmente con riguardo alla C. con maggiore anzianità di servizio; sia che, “solo per completezza”, andava rilevato che in base alla documentazione prodotta dalla M. emergeva che dal 5 agosto 1987 non vi era stata continuità assoluta nella presenza del personale dipendente, essendovi brevi periodi in cui noi vi era stato alcun dipendente.

Deduce la ricorrente che la Corte d’Appello non avrebbe dato rilievo alla dichiarazione, da essa prodotta, nella quale si faceva un elenco di tutti i dipendenti che avevano svolto mansioni di collaboratore di studio (a partire dalla sig.ra Co.Ca.as. nel 1987), e da cui risultava che la ricorrente aveva avuto alle proprie dipendenze personale con continuità almeno sin dal 29 marzo 1993, come ritenuto dal Tribunale.

In ogni caso, i brevi periodi non valevano ad inficiare la prospettata continuità.

2.1. Il motivo è inammissibile.

E’ applicabile alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede d, legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicchè quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perchè non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

Ciò non è ravvisabile nel caso di specie, atteso che la statuizione della Corte d’Appello che ha affermare che le disposizioni del bando in questione attribuiscono rilievo ai fini della formazione della graduatoria unicamente al collaboratore esistente alle dipendenze del medico al momento della domanda, e alla sua anzianità di servizio, esclude che sia configurabile un vizio di omessa esame con riguardo alla documentazione richiamata, in quanto non rilevante rispetto alla ratio decidendi.

Ed infatti (cfr., Cass., n. 17956 del 2015, 20718 del 2018, 15255 del 2019), deve ritenersi implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l’eccezione (rilievo ai fini della formazione della graduatoria di tutti i rapporti di lavoro quale collaboratore di studio, a cui si riferisce la documentazione richiamata) che si assume non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.

Nella specie, l’affermazione della Corte d’Appello della rilevanza, ai fini dell’attribuzione dell’indennità, del solo rapporto di lavoro sussistente al momento della domanda, è incompatibile con la prospettazione cui era funzionale la documentazione in questione.

3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00, per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2019

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