Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31330 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 04/12/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 04/12/2018), n.31330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16114-2015 proposto da:

AIR ONE spa, e COMPAGNIA AEREA ITALIANA spa (già ALITALIA COMPAGNIA

AEREA ITALIANA spa), in persona dei rispettivi legali rapp.ti pt,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio

degli Avvocati ROBERTO PESSI e MAURIZIO SANTORI, che le

rappresentano difendono giusta procura speciale in atti;

– ricorrenti –

contro

C.A., elettivamente domiciliata presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione unitamente agli Avvocati NYRANNE MOSHI e

IVAN ASSAEL dai quali è rappresentata e difesa giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1024/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/12/2014; R.G.N. 959/2012.

Fatto

RILEVATO

che, con la sentenza n. 1024/2014, la Corte di appello di Milano ha confermato la pronuncia n. 4364/2011 emessa dal Tribunale della stessa città con la quale era stata riconosciuta la nullità del termine apposto al contratto stipulato il 27.3.2003 tra C.A. e Air One spa e, dato atto dell’avvenuta cessione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 1406 c.c. ad Alitalia CAI spa, ha condannato quest’ultima al riconoscimento della durata del rapporto fin dal primo contratto, con il diritto della lavoratrice alla ricostruzione della carriera con effetti anche sull’inquadramento di Assistente di volo dall’1.4.2005 e di Assistente di volo senior dall’1.9.2007, mentre ha condannato la sola AIR One spa a corrispondere l’indennità risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5 pari a 4,5 retribuzioni mensili globali di fatto; che avverso la decisione di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione la Compagnia Aerea Italiana spa (già Alitalia Compagnia Aerea Italiana spa) e la Air One spa affidato a sette motivi;

che C.A. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

che sono state depositate memorie nell’interesse delle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, dell’art. 2697 c.c., dell’art. 421c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essersi la Corte di merito, da un lato, soffermata solamente sul primo contratto a termine stipulato dalla lavoratrice con Air One spa, dichiarando erroneamente la nullità del termine e convertendo l’intero rapporto a tempo indeterminato e, dall’altro, per non avere ammesso le istanze istruttorie dedotte dalla società, senza peraltro attivare, in una situazione di incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, i poteri istruttori di ufficio non soggetti al verificarsi di preclusioni e decadenze, e per avere erroneamente applicato i principi in tema di ripartizione dell’onere della prova; 2) la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., dell’art. 1418c.c., dell’art. 1419c.c., dell’art. 2112c.c. e dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere omesso la Corte di appello di esaminare e valutare correttamente il comportamento posto in essere dalla C., ai fini della dichiarazione di risoluzione per mutuo consenso dei contratti a tempo determinato intercorsi tra le parti, nonchè per avere omesso di valutare un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella cessione del contratto della lavoratrice, nel periodo successivo alla scadenza dell’ultimo contratto a tempo determinato impugnato, alle dipendenze della società Alitalia CAI spa; 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 1230 c.c., dell’art. 1231c.c., dell’art. 2697c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di appello, pur avendo riconosciuto un aliquid novi, nella stabilizzazione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, quando era vigente l’ultimo contratto a termine, erroneamente aveva poi escluso che si fosse verificata una novazione non sussistendo, nel caso di specie, un animus novandi ed una causa novandi rispetto alla nuova fonte contrattuale; 4) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1406e 2112 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c. 1 n. 5 cpc) perchè la gravata sentenza, pur correttamente escludendo nel caso di specie una responsabilità solidale tra le due società in quanto la cessione del rapporto di lavoro era avvenuta ex art. 1406 c.c., non aveva poi dichiarato il difetto di legittimazione passiva di Alitalia CAI spa specificando che su tale società si sarebbero riversati esclusivamente i conseguenti effetti secondo quanto stabilito dal contratto di cessione, così incorrendo anche nel vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; 5) la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 4 e 5 nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del CCAL del personale di cabina della società Air One spa, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), perchè la Corte di merito, nel riconoscere l’indennità risarcitoria di cui al citato art. 32, avente natura onnicomprensiva, non poteva poi anche attribuire alla lavoratrice il diritto agli scatti di anzianità maturati e alla conseguente ricostruzione della carriera a far data dal primo contratto a termine ritenuto illegittimo e comunque non poteva riconoscerli pure per i periodi non lavorati; 6) la violazione e falsa applicazione dell’art. 937 cod. nav., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la impugnata sentenza dichiarato la maturata prescrizione biennale dei diritti e dei crediti derivanti dai contratti a termine intercorsi tra le parti sebbene la lavoratrice non avesse tempestivamente agito per la rivendicazione dei diritti entro il termine biennale dalla data di risoluzione dei relativi rapporti a termine;

che il primo motivo è infondato in ordine a tutti i profili di censura formulati: è sufficiente osservare che, in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore ha imposto, con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle ragioni giustificatrici “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo” del termine finale, il che comporta che le stesse debbano essere sufficientemente particolareggiate così da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo di effettività (cfr. Cass. 27.1.2011 n. 1931), in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e dell’accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sent. 23.4.2009, in causa C378/07 ed altre; sent. 22.11.2005, in causa C-144/04);

che, nella specie, il giudice del gravame correttamente ha ritenuto non connotata da specificità, nei sensi voluti dal legislatore, la causale di cui al primo contratto (in sintesi, per incremento straordinario dei voli cagionato all’attività di start up delle linee e al conseguente anomalo incremento dell’organico stabile) perchè nessuna indicazione era stata fornita in ordine all’entità dell’organico aziendale nel periodo di riferimento, nonchè al fabbisogno aggiuntivo di personale generato dall’incremento dei voli menzionati;

che la Corte territoriale ha, inoltre, rilevato la genericità e la non pertinenza della prova per testi come articolata, in ordine alle suddette circostanze, nonchè la irrilevanza delle prove documentali, mancando la dimostrazione del nesso causale fra l’aumento dei volumi di traffico e l’assunzione della lavoratrice a tempo determinato;

che la decisione sul punto non risulta scalfita dalle critiche formulate che si risolvono in un riesame del giudizio di valutazione delle prove non consentito in sede di legittimità (cfr. Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 18.3.2011 n. 6288);

che non rileva la censura prospettata con il richiamo alla violazione delle regole sul riparto dell’onere probatorio, atteso che, a fronte della deduzione della illegittimità del termine apposto al contratto, era onere della società provare la esigenza organizzativa dedotta, non dovendo tale circostanza essere oggetto di contestazione da parte della lavoratrice (cfr. Cass. 24.11.2014 n. 24954);

che un problema di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi nei termini indicati dalle ricorrenti, ma solo allorchè si alleghi che il giudice di merito: a) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposto di ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; b) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; c) abbia invertito gli oneri probatori, situazioni non rappresentate nei motivi anzidetti, con la conseguenza che le relative doglianze sono mal poste, rifluendo in critiche sul merito non sindacabile: ipotesi, queste, non ravvisabili nella fattispecie in esame; che, nel rito del lavoro, poi, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (cfr. Cass. 12.3.2009 n. 6023); in ogni caso, gli indicati poteri di ufficio non possono essere dilatati fino a richiedere che il giudice supplisca in ogni caso alle carenze allegatorie e probatorie delle parti, in assenza di una pista probatoria rilevabile dal materiale processuale acquisito agli atti di causa; al riguardo deve richiamarsi l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice (previsti nel rito del lavoro dall’art. 421 cpc) anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di illogicità della sentenza: e tale vizio non è desumibile nella gravata pronuncia;

che, in modo corretto, una volta rilevata la nullità del termine apposto al primo contratto, l’indagine non è stata estesa anche a quelli successivi;

che il secondo motivo è parimenti infondato alla stregua dell’orientamento di legittimità (cfr. Cass. n. 29871/2017; Cass. n. 13660/2018; Cass. n. 13958/2018), cui si intende dare seguito, in virtù del quale in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo svolgimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici ed adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente;

che, nel caso in esame, la Corte territoriale, con argomentazioni logiche e corrette giuridicamente, supportate da riscontri oggettivi e soggettivi, valutando pertanto anche le vicende relative alla successiva assunzione a tempo indeterminato, ha evidenziato come il protrarsi della inerzia imputabile alla dipendente non poteva interpretarsi quale sintomo di disinteresse e volontà abdicativi nei riguardi di un rapporto che non era cessato, bensì si trovava in pieno ed effettivo corso di svolgimento nella modalità a tempo indeterminato e che tale sopravvenuta assunzione rappresentava la più concreta ed univoca manifestazione del suo interesse a non risolvere il rapporto lavorativo; che il terzo motivo è anche esso infondato. Questa Corte (cfr. Cass. 11.10.2012 n. 17328) ha affermato che, poichè la novazione oggettiva si configura come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, di tale contratto sono elementi essenziali, oltre ai soggetti e alla causa, l’animus novandi consistente nella inequivoca, comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto; l’esistenza di tali specifici elementi deve essere in concreto verificata dal giudice del merito, con un accertamento di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità solamente se è conforme alle disposizioni contenute nell’art. 1230 c.c., commi 1 e 2 e art. 1231 c.c. e se risulta congruamente motivato;

che, in concreto, i giudici di secondo grado hanno applicato correttamente tale principio, svolgendo la propria indagine sugli elementi sopra menzionati e con argomentazioni congrue hanno sottolineato le ragioni per le quali il venir meno del termine finale, fermo restando ogni altro aspetto del rapporto, non era sufficiente ad evidenziare la comune volontà novativa delle parti, nè la causa novandi;

che il quarto motivo non coglie nel segno. Invero, nel caso de quo, la Corte territoriale, a differenza di altre fattispecie analoghe alla presente, ha dato atto – con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità perchè congruamente motivato – che il contratto ex art. 1406 c.c. era stato ceduto ad Alitalia CAI spa in data 1.3.2011 già con la ricostruzione della carriera, stabilita ai sensi dell’art. 6 CCAL AIR ONE spa, e ha richiamato a tal uopo il relativo documento esaminato (8 ter di parte attrice in primo grado). E’, pertanto, in virtù di tale contratto di cessione del rapporto di lavoro che è stata ritenuta la legittimazione passiva di Alitalia CAI spa in ordine alla ricostruzione della carriera della lavoratrice, escludendo di fatto, quindi, correttamente l’operatività della disciplina dell’art. 2112 c.c.; giova, altresì, sottolineare che parte ricorrente, peraltro, non ha neanche riportato – nell’articolazione del motivo di ricorso – il testo del contratto valutato dai giudici del merito, incorrendo pertanto anche in un vizio di genericità della censura;

che il quinto motivo non è fondato: quanto alla doglianza che l’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32 sia esaustiva di tutti i danni retributivi e contributivi, subiti dal lavoratore per i periodi lavorati, la sentenza gravata è conforme all’orientamento di legittimità di cui alle pronunce di questa Corte n. 262/2015 e n. 17248/2018; relativamente alla parte in cui il motivo censura l’interpretazione data dalla Corte di merito dell’art. 6 CCAL AIR ONE spa, va osservato, preliminarmente, che, trattandosi di disposizione della contrattazione collettiva aziendale e non nazionale, il sindacato di legittimità può concernere o il vizio di motivazione della sentenza impugnata ovvero la violazione delle norme di ermeneutica dettate dagli artt. 1362 c.c. e ss.. Orbene, la censura si limita, invece, a prospettare solo una opzione interpretativa diversa sul termine “assunzione” (che nel caso di trasformazione in un unico rapporto a tempo indeterminato non può che decorrere dalla scadenza del contratto la cui clausola del termine sia stata dichiarata illegittima – cfr. in termini Cass. 21.5.2008 n. 12985) e non tiene conto che anche la contrattazione collettiva aziendale può prevedere condizioni e trattamenti di favore per il lavoratore circa la maturazione degli scatti di anzianità e dei periodi utili alle progressioni di carriera, a prescindere dal fatto che i relativi periodi, riguardanti gli intervalli, siano stati effettivamente lavorati;

che, pertanto, essendo la esegesi della disposizione adottata corretta sia sotto il profilo letterale che logico (per la particolarità delle modalità di esplicazione del rapporto lavorativo di cui si discute), deve essere condivisa la ricostruzione dei giudici di seconde cure non potendo ritenersi intaccata dalle argomentazioni di parte ricorrente;

che il sesto motivo non può essere accolto: invero, nel caso in esame, è pacifico tra le parti che il rapporto di lavoro della C. non è cessato, come dato atto dalla stessa Corte di merito. Orbene, deve richiamarsi l’orientamento di legittimità, affermatosi con riguardo all’art. 373 cod. nav. in tema di navigazione marittima, il cui disposto per la parte che interessa – è sostanzialmente analogo a quello di cui all’art. 937 cod. nav. per la navigazione aerea richiamato dalle ricorrenti, secondo cui i diritti derivanti dal contratto di arruolamento in regime di continuità sono soggetti alla prescrizione biennale che inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto, la quale non coincide con lo sbarco e si verifica nel momento e nel luogo in cui il marittimo riceve la comunicazione della cancellazione dal turno (equivalente alla comunicazione del licenziamento nella disciplina comune) o dalla reiscrizione in esso (cfr. Cass. 26.11.1999 n. 13224; Cass. 1.8.2014 n. 17534). Nell’ipotesi di più contratti a tempo determinato o a viaggio, poi, il termine decorre dalla cessazione o dalla risoluzione dell’ultimo contratto (Cass. 3.8.1991 n. 8524);

che tali principi vanno, altresì, integrati con quello in virtù del quale si è affermato, come sopra detto, che l’illegittimità di un termine di durata ad un contratto di lavoro subordinato importa di per sè la conversione di esso in contratto a tempo indeterminato e, quando più contratti di tale natura si siano succeduti tra le stesse parti, l’unificazione di essi in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

che deriva, pertanto, come conseguenza che, essendo il rapporto di lavoro – da considerarsi come un unico rapporto a tempo indeterminato fin dalla scadenza del primo contratto il cui termine è stato ritenuto illegittimo – ancora in essere, deve essere esclusa la decorrenza della prescrizione delle rivendicazioni economiche sino alla cessazione del rapporto stesso, non operando, peraltro, la disciplina comune in tema di stabilità reale attesa la specialità del rapporto di lavoro regolato dal codice della navigazione, come più volte riconosciuto dalla Corte Costituzionale (tra le altre, sent. n. 98/73 e n. 20/2007): e ciò in aggiunta all’altra corretta argomentazione della Corte di merito secondo cui il ricorso, notificato l’8.6.2011, con cui sono state rivendicate le differenze dovute alla ricostruzione della carriera risultava proposto nel termine biennale rispetto alla avvenuta cessione del contratto dell’1.3.2011;

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;

che al rigetto segue la condanna delle ricorrenti, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, con distrazione;

che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del Difensore della controricorrente. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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