Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31321 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 04/12/2018, (ud. 26/06/2018, dep. 04/12/2018), n.31321

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25398-2013 proposto da:

B.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTO

RUFO 23 presso lo studio dell’avvocato BRUNO TAVERNITI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO VALETTINI;

– ricorrente –

contro

AZIENDA USL (OMISSIS) DI MASSA CARRARA, (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA BRENTA 2-A, presso lo studio dell’avvocato

ISABELLA MARIA STOPPANI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato VINCENZA LIGUORI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 236/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 08/05/2013 R.G.N. 130/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/06/2018 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROBERTO VALLETTINI;

udito l’Avvocato ISABELLA MARIA STOPPANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Genova ha parzialmente accolto l’appello proposto da B.L. avverso la sentenza del Tribunale di Massa che aveva respinto tutte le domande formulate nei confronti dell’Azienda USL n. (OMISSIS) di Massa, e, dichiarata cessata la materia del contendere quanto alla domanda fondata sull’asserito svolgimento di mansioni superiori, ha condannato l’Azienda a corrispondere all’appellante la somma di Euro 3.000,00, oltre accessori, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale derivato dal demansionamento subito nei sei mesi in cui era stato lasciato sostanzialmente inattivo presso la sede di (OMISSIS).

2. La Corte territoriale, per quel che qui ancora rileva, premesso che l’ingiustificato svuotamento delle mansioni si era verificato solo nel periodo luglio/dicembre 2004, ha evidenziato che l’inattività del B., noto anche per il suo impegno politico, ne aveva pregiudicato l’immagine, ledendone la dignità ed arrecandogli disagio e mortificazione.

3. Il giudice d’appello ha, invece, escluso il nesso causale tra il demansionamento e il disturbo dell’adattamento, dal quale l’appellante sosteneva di essere affetto, e ha ritenuto condivisibile la motivazione della sentenza di prime cure che, nel disattendere le conclusioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio, aveva richiamato i rapporti politici ed istituzionali, non solo professionali, che, anche successivamente ai fatti oggetto di causa, avevano caratterizzato l’intensa vita del B..

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso B.L. sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., al quale ha opposto difese con tempestivo controricorso l’Azienda USL (OMISSIS) di Massa e Carrara.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, B.L. denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c.ed assume che la sentenza in tanto può dirsi motivata in quanto la motivazione sia idonea a giustificare razionalmente le conclusioni raggiunte. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale, dopo avere ritenuto provato il comportamento vessatorio del datore di lavoro protrattosi per almeno sei mesi, del tutto immotivatamente ha disatteso le conclusioni alle quali era pervenuto, quanto alla sussistenza della patologia e del nesso causale, il consulente tecnico d’ufficio, senza individuare gli errori nei quali sarebbe incorso l’ausiliare. Aggiunge che la carenza motivazionale non risulta sanata dal richiamo alla sentenza del Tribunale, perchè il primo giudice aveva finito per riconoscere la derivazione eziologica della patologia dal “conflitto con il proprio ambiente lavorativo”, sia pure addebitandone la responsabilità allo stesso B..

2. Non sussiste la denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c. perchè, come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità, quale violazione di legge costituzionalmente rilevante, attiene solo all’esistenza della motivazione in sè, prescinde dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. S.U. n. 8053/2014 che richiama Cass. S.U. n. 5888/1992).

Il difetto del requisito di cui all’art. 132 c.p.c. si configura, quindi, solo qualora la motivazione o manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero esista formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum.

Esula, invece, dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.

2.1. La giurisprudenza di questa Corte, inoltre, è consolidata nel ritenere ammissibile la motivazione per relationem ad altri provvedimenti giudiziari e nell’escludere la nullità della sentenza qualora, attraverso il rinvio, emergano in modo chiaro le ragioni della decisione (Cass. S.U. 16.1.2015 n. 642). Pertanto il giudice di appello, al quale non è imposta l’originalità nè dei contenuti nè delle modalità espositive, ben può aderire alla motivazione della statuizione impugnata ove la condivida, senza necessità di ripeterne tutti gli argomenti o di rinvenirne altri (cfr. fra le tante Cass. 26.5.2016 n. 10937; Cass. 23.9.2016 n. 18754; Cass. 19.7.2016 n. 14786). In tal caso per escludere la violazione dell’art. 132 c.p.c. è sufficiente che la sentenza di appello indichi, anche in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le decisioni, di ricavare un percorso argomentativo adeguato (Cass. n. 14786/2016 cit.).

2.2. Sulla base dei principi di diritto sopra richiamati deve escludersi che nella fattispecie possa essere ravvisata la denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c. perchè la Corte genovese ha indicato le ragioni per le quali dovevano essere disattese le conclusioni alle quali era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio, rinviando alla motivazione della sentenza del Tribunale di Massa e dichiarando di condividere quanto rilevato dal primo giudice “in ordine alla intensa vita di rapporti anche successivi ai fatti di causa non solo professionali ma anche politici ed istituzionali…”.

2.3. Il ricorrente sostiene che il dovere motivazionale sarebbe stato comunque eluso nella fattispecie, anche a voler valorizzare il rinvio alla sentenza di primo grado, perchè il Tribunale di Massa più che escludere la sussistenza della patologia, aveva ritenuto, da un lato, che non ci fosse responsabilità dell’azienda sanitaria, dall’altro che i postumi permanenti fossero comunque di ben diversa entità. Le due motivazioni, quindi, si porrebbero in contrasto fra loro, integrando una contraddittorietà insanabile che determina la violazione dell’art. 132 c.p.c..

La censura è in parte qua inammissibile perchè formulata senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

Hanno chiarito le Sezioni Unite di questa Corte che “ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonchè le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali.” (Cass. S.U. n. 7074/2017).

Nel caso di specie il ricorrente ha riportato nel ricorso solo uno stralcio minimo della sentenza di primo grado, che secondo quanto si legge nel controricorso aveva anche valorizzato l’assenza nelle certificazioni mediche di qualsiasi cenno alle problematiche psicologiche, ed ha omesso di specificare il tenore delle censure mosse con l’atto di appello alla pronuncia di prime cure, impedendo alla Corte di verificare ex actis la fondatezza della doglianza che, quindi, non può essere scrutinata, tanto più che la stessa si fonda su atti non prodotti in questa sede e rispetto ai quali non vengono fornite indicazioni in merito alla loro allocazione nel fascicolo di parte o d’ufficio.

2.4. In relazione alle critiche mosse alla sentenza impugnata per avere disatteso le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio va ribadito che nel nostro ordinamento vige il principio iudex peritus peritorum, in forza del quale il giudice non è vincolato dalle valutazioni espresse dall’ausiliario, dalle quali si può discostare anche sulla base di argomentazioni tratte da proprie personali cognizioni tecniche (cfr. fra le tante Cass. n. 17757/2014).

In tal caso la pronuncia non è censurabile in sede di legittimità quanto alla valutazione di merito se non nei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, sicchè per le sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, non rileva la mera deficienza argomentativa, occorrendo invece che il ricorrente individui ed indichi il fatto storico decisivo che il giudice di merito non ha esaminato nel discostarsi dalle conclusioni del consulente o nel recepire le stesse (Cass. nn. 18391/2017, 30733/2017, 6694/2018, 4008/2018).

Nel caso di specie il motivo si limita a denunciare l’insufficienza della motivazione che, all’esito delle modifiche del codice di rito, non integra un vizio denunciabile in sede di legittimità, non essendo riconducibile al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 e non comportando violazione dell’art. 132 c.p.c. per le ragioni già indicate nei punti che precedono.

Il ricorso va, pertanto, rigettato con conseguente condanna del B. al pagamento delle spese, liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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