Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3132 del 11/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 11/02/2010), n.3132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7196-2007 proposto da:

C.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

ANTONIO MANCINI 4/B, presso lo studio dell’avvocato FASANO

GIOVANNANTONIO, che la rappresenta e difende, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A.;

– intimato –

sul ricorso 11694-2007 proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA G. VERDI, presso lo studio dell’avvocato TURCO CHIARA, (c/o

l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che lo

rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

ANTONIO MANCINI 4/B, presso lo studio dell’avvocato FASANO

GIOVANNANTONIO, che la rappresenta e difende, giusta mandato a

margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 7368/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/12/2006 r.g.n. 9913/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato FASANO RAFFAELA per delega FASANO GIOVANNANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza non definitiva depositata il 9 ottobre 2006, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza in data 11 dicembre 2001 del Tribunale della medesima città, su appello principale di C.R.M. e di quello incidentale dell’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., ha dichiarato la computabilità anche nel t.f.r., oltre che nel calcolo della 13^ e 14^ mensilità, dei compensi per lavoro straordinario percepiti fino dalla C. fino al 31 ottobre 1992, disponendo la prosecuzione del giudizio per la determinazione del quantum, poi effettuata con sentenza definitiva depositata il 18 dicembre 2006.

Avverso tali sentenze propone ora ricorso per cassazione C. R.M., con un duplice motivo.

Resiste alle domande la s.p.a. Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, con controricorso, proponendo altresì contestualmente ricorso incidentale con quattro motivi.

Resiste al ricorso incidentale la C. con controricorso, depositando infine una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – I due ricorsi, principale e incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto riferiti ad una unica sentenza non definitiva e definitiva.

2 – Col primo motivo di ricorso, C.R.M. denuncia la violazione o falsa applicazione della L. n. 297 del 1982 e il vizio di motivazione in ordine alla posizione del termine finale dell’ottobre 1992 quanto al riconoscimento del diritto al computo del compenso per lavoro straordinario sul t.f.r..

In proposito la ricorrente sostiene che anche la L. n. 297 del 1982 ribadisce una nozione omnicomprensiva di retribuzione ed è anzi più rigorosa del precedente testo dell’artt. 2121 c.c., includendo nel calcolo del t.f.r. la retribuzione di ogni prestazione non occasionale, per cui la deroga a tale regola, pur consentita ai contraenti collettivi dalla legge, dovrebbe essere formulata in modo chiaro e inequivoco.

Una tale deroga, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito non sarebbe individuabile nel combinato disposto degli artt. 34 – prima parte e 21 – prima parte del C.C.N.L. del 1992.

L’art. 21 di tale contratto fornirebbe infatti una nozione di retribuzione percepita diversa dal passato, ancorandola alla prestazione lavorativa “nell’orario normale”.

Ma ciò non inciderebbe sulla disciplina del t.f.r., che sarebbe rimasta, anche nel contratto collettivo del 1992, identica a quella stabilita nei precedenti contratti collettivi e sarebbe stata formulata in termini identici a quelli usati dalla legge (in particolare, con l’uso del termine retribuzione dovuta anzichè di retribuzione percepita – evidentemente unico oggetto della modifica di cui all’art. 21 – e richiamando infine la disciplina di cui alla L. n. 297 del 1982), per cui da essa non sarebbe desumibile in maniera chiara e univoca la volontà di innovare quanto a tale trattamento.

Del resto, i giudici di secondo grado avrebbero ignorato le dichiarazioni del teste sindacalista B., che avrebbe dichiarato che non era intenzione del sindacato innovare quanto alla disciplina del t.f.r..

Inoltre la ricorrente analizza la sentenza di questa Corte n. 5004/04 (della quale i giudici di appello avrebbero fatto applicazione), per contestare la correttezza della interpretazione resa dalla sentenza ivi impugnata delle norme indicate del C.C.N.L. grafici del 1992.

Il motivo conclude con la formulazione dei seguenti quesiti ex art. 366-bis c.p.c..

a) “voglia la Corte riconoscere e dichiarare che il disposto della L. n. 297 del 1982 è indipendente e autonomo rispetto ad ogni definizione del compenso percepito, in quanto la legge medesima basa la sua disposizione sul compenso dovuto (quindi oltre il percepito) e perchè il conteggio di cui alla L. n. 297 del 1982 deve essere effettuato ad anno e non a mese come la retribuzione che l’art. 34 C.C.N.L. 1992 e i contratti precedenti sono autonomi rispetto all’art. 21 del contratto medesimo e che in via principale ed assoluta il conteggio va effettuato in attuazione della L. n. 297 del 1982.

b) il fatto controverso ex art. 360 c.p.c., n. 5 riguarda il rapporto che la Corte d’appello di Roma ha ritenuto esistente tra la definizione di retribuzione mensile (art. 21 CCNL 1992) e la L. n. 297 del 1982, art. 1 il quale fa espresso riferimento a quanto dovuto annualmente”.

3 – Col secondo motivo di ricorso, la C. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 436 c.p.c., in quanto la richiesta di riduzione del t.f.r. censurata nel motivo precedente sarebbe stata formulata dall’Istituto per la prima volta in appello e come tale avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile.

Quesito:

“Voglia la Corte rilevare e dichiarare che tra le conclusioni rassegnate dall’INPS nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado non figura la limitazione del calcolo dell’incidenza del compenso per lavoro straordinario sul TFR all’ottobre 1992. Pertanto, la domanda al riguardo, formulata nel ricorso di appello, è inammissibile”.

4 – Col primo motivo del ricorso incidentale, l’Istituto poligrafico dello Stato s.p.a. deduce il vizio di motivazione e la violazione della L. n. 297 del 1982, degli artt. 2120, 2934 e 2935 cod. civ. in relazione al rigetto dell’eccezione di prescrizione del diritto azionato.

In proposito, la società sostiene infatti che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sic et simpliciter che la prescrizione del diritto al t.f.r. inizi a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, attribuendo pertanto a tale evento natura costitutiva del diritto.

Viceversa, a seguito della trasformazione dell’indennità di buonuscita in t.f.r., operata dalla L. n. 297 del 1982, occorrerebbe distinguere tra la fase di esigibilità (parzialmente del resto ormai stabilita anche in corso di rapporto, quanto alle anticipazioni) e quella di maturazione e concretizzazione quantitativa del diritto, cadente anno per anno, tanto è vero che la giurisprudenza di questa Corte riconosce la possibilità di una azione giudiziale di accertamento del livello dell’accantonamento annuale (cfr. Cass. 6046/00 e altre, tra cui S.U. n. 11945/90), diritto di azione che pertanto non potrebbe che essere esso stesso soggetto a prescrizione con decorrenza dalla possibilità di esercitarlo.

L’Istituto deduce altresì che in realtà la domanda della lavoratrice non atterrebbe alla rivendicazione del diritto al t.f.r., che sarebbe incontestato e per il cui pagamento la prescrizione decorre dal termine del rapporto, ma unicamente alla computabilità di determinati compensi negli accantonamenti annuali del tfr.

Riguardando pertanto il relativo giudizio unicamente il singolo accantonamento annuale, anche la prescrizione relativa avrebbe una decorrenza collegata ad ognuno degli anni considerati.

Il motivo conclude con la formulazione, ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., del seguente quesito di diritto:

“Accerti la Corte se, in costanza di rapporto di lavoro si prescriva, nel sistema normativo introdotto dalla L. n. 297 del 1982, non il diritto all’esigibilità del t.f.r. ma il diritto al computo nella base di calcolo del t.f.r. delle voci di calcolo che maturano anno per anno e che concorrono a comporre ogni rateo annuale”.

5 – Col secondo motivo, la società ricorrente incidentale denuncia l’errata interpretazione dell’accordo aziendale del 1974 relativo ai dipendenti dell’Istituto, con la conseguente illegittima reiezione della domanda riconvenzionale eccezione di compensazione da esso svolta, anche in violazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. e in violazione dell’art. 2120 c.c. come modificato dalla L. n. 297 del 1982.

La Corte territoriale avrebbe in proposito erroneamente ritenuto che l’oggetto di tale accordo fosse lo scambio tra aumento della produttività e un miglioramento retributivo consistente nell’erogazione di un compenso aggiuntivo. Per cui avrebbe altrettanto erroneamente interpretato la clausola, secondo la quale tale assegno “è assorbibile in caso di vertenze comunque proposte dal personale dipendente che possano ricollegarvisi”, come riferibile esclusivamente ad eventuali liti sui compensi della produttività e non sulla effettuazione di lavoro straordinario.

Una tale interpretazione, secondo la ricorrente incidentale, avrebbe omesso di considerare nella sua interezza il testo dell’accordo aziendale del 1974, il quale avrebbe chiaramente distinto la disciplina e le finalità di due incrementi retributivi, assegnando a quello in parola (lett. a) la funzione di evitare in futuro un contenzioso in allora massiccio relativo alla inclusione del compenso dello straordinario nel calcolo del t.f.r., oltre ad altri obiettivi come l’abolizione dei tempi morti e l’aumento di produttività;

mentre questi ultimi avrebbero avuto una contropartita economica esclusivamente in un altro incremento retributivo (quello di cui alla lett. b).

Tutto ciò si desumerebbe dal contesto, oltre che dal tenore letterale dell’accordo e dalla disciplina differenziata dei due istituti, il primo non collegato con la produzione aziendale e non corrisposto ai graduati (che appunto non percepirebbero compenso per il lavoro straordinario, ma unicamente una maggiorazione percentuale della retribuzione normale), mentre il secondo sarebbe legato all’effettiva presenza e al raggiungimento di risultati ed obiettivi programmati.

L’interpretazione sostenuta dall’Istituto sarebbe altresì confermata dal fatto che l’accordo del 1974 era stato rinegoziato, con la sostanziale conferma del relativo contenuto, dopo la riforma della L. n. 297 del 1982, legge che la sentenza violerebbe, laddove mostrerebbe di ignorare il margine da questa attribuito alla libera pattuizione delle parti.

L’Istituto conclude rilevando che per il compenso a) la lavoratrice avrebbe ricevuto nel corso degli anni somme ben maggiori di quelle oggi rivendicate, nel cui importo andrebbero pertanto assorbite quest’ultime (salva l’integrale restituzione delle prime ove l’accordo dovesse essere ritenuto nullo).

Segue la formulazione del seguente quesito di diritto: “Accerti la Corte se, in applicazione dell’accordo aziendale del 1974, le somme eventualmente dovute alla sig. C. a titolo di ricalcalo di IDA e TFR in considerazione del lavoro straordinario prestato debbano in ogni caso essere considerate assorbite e/o compensate sino a concorrenza di quanto percepito dagli stessi per il cd. Punto A”.

6 – Col terzo motivo di ricorso incidentale, viene denunciata l’errata applicazione dell’art. 1322 c.c. in relazione alla normativa collettiva applicabile alla fattispecie e il vizio di motivazione in ordine al ricalcalo dei cc.dd. istituti collaterali.

In proposito, la ricorrente incidentale sostiene che la Corte territoriale, applicando la definizione di cui all’art. 21 del CCNL a tutti gli istituti contrattuali, avrebbe errato omettendo di considerare che ognuno di questi avrebbe una disciplina specifica al riguardo della composizione dello stesso.

Così l’art. 37 del CCNL 1970 (e i corrispondenti articoli dei contratti successivi) legherebbe la 14^ per i quadri e impiegati a una mensilità di retribuzione, ma per gli operai al “salario orario ragguagliato alla retribuzione ordinaria di un mese”.

L’art. 8 parte impiegati conformerebbe la 13^ a “30/26 della retribuzione mensile”, mentre l’art. 7 parte operai a “20 ore di retribuzione”.

Quesito:

“Accerti la Corte se in tema di computabilità dello straordinario nella base di calcolo degli istituti diretti, non esistendo nel nostro Ordinamento un principio generale di omnicomprensività della retribuzione ai sensi dell’art. 37 reg. personale, dell’art. 8, parte terza operai CCNL 89 e 92 nonchè dell’art. 6, parte terza impiegati CCNL grafici, lo straordinario, elemento variabile per sua natura, non posa essere incluso nella base di calcolo degli indicati istituti collaterali 13^ e 14^”.

7 – Col quarto motivo la ricorrente incidentale denuncia il vizio di motivazione della sentenza relativamente alla declaratoria di nullità della domanda di restituzione dell’in più percetto, in quanto ritenuta generica e senza indicazione della corresponsione di somme alla lavoratrice a seguito della sentenza di primo grado che non limitava le condanne all’ottobre 1992.

Viceversa, secondo l’istituto, con la costituzione in appello esso aveva prodotto i documenti comprovanti gli avvenuti pagamenti e depositato i relativi conteggi, in ordine ai quali del resto i giudici avevano disposto ordinanza istruttoria contabile.

Quesito:

“Accerti la Corte se, alla luce dei conteggi depositati dall’Istituto in sede di appello e delle disposizioni istruttorie di causa, la statuizione di nullità della domanda restitutoria avanzata doli Istituto debba essere totalmente riformata, con consequenziali statuizioni anche ex art. 284 c.p.c.”.

8 – Appare preliminare l’esame del primo motivo del ricorso incidentale relativo alla prescrizione quinquennale del diritto all’accertamento dell’ammontare dei singoli accantonamenti annuali del t.f.r..

Il motivo non merita accoglimento.

Già in una precedente occasione, in relazione ad analoga deduzione proposta dall’Istituto, questa Corte (Cass. 10 ottobre 2007 n. 21239) ha infatti avuto modo di rilevare che “non è in contestazione la distinzione tra il diritto al pagamento del trattamento di fine rapporto, che matura alla cessazione del rapporto di lavoro, e il diritto all’accertamento della misura degli accantonamenti utili sulla base a determinati criteri di computo. In relazione a questo diverso oggetto, bisogna ancora distinguere l’azione diretta al mero accertamento dell’entità della quota periodicamente da accantonare, da quella in cui l’esistenza del diritto viene invocata non in sè e per sè, ma strumentalmente al concreto conseguimento del particolare bene della vita che costituisce il contenuto del diritto medesimo.

Per questa seconda fattispecie, la prescrizione dell’azione diretta alla concreta attuazione di tale diritto (che può anche escludere l’interesse all’azione di mero accertamento) non è configurarle finchè perdura la situazione di incertezza, che legittima il lavoratore a richiedere l’accertamento giudiziale del suo diritto, e che non è esclusa dalle comunicazioni datoriali relative alla misura degli accantonamenti utili (Cass. 20 ottobre 2004 n. 20516, 11 marzo 2005 n. 5362, 17 maggio 2006 n. 11536 e successive conformi)”.

Dichiarando di condividere tale valutazione (su cui, cfr., altresì, con orientamento ormai consolidato, ad es., Cass. nn. 6044/08, 2781/08, 2723/08, 2614/08, 1672/08, 1207/08), questo collegio non rinviene nelle difese dell’Istituto elementi sufficienti a rimettere in discussione la soluzione indicata.

Ne consegue la valutazione di correttezza dell’accertamento della Corte territoriale, la quale, affermando che la prescrizione del diritto al trattamento di fine rapporto inizia a decorrere alla cessazione del rapporto di lavoro, ha respinto l’eccezione di prescrizione proposta dall’Istituto sul rilievo che l’azione giudiziaria della C. era stata proposta e notificata all’interno del quinquennio successivo alla cessazione del relativo rapporto di lavoro.

Al quesito di diritto va pertanto risposto che “il diritto al trattamento del t.f.r, si prescrive a decorrere dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, senza che sulla prescrizione incida in alcun modo la mancata proposizione in corso di rapporto di azioni di accertamento del livello dei singoli accantonamenti annuali”.

Va quindi esaminato il secondo motivo del ricorso principale in quanto preliminare al primo.

Il motivo (che non comporta la necessaria formulazione di un quesito di diritto, risolvendosi nella semplice denuncia di violazione della legge processuale per errore di fatto: su cui cfr. Cass., sez. 2^, sent. 20 giugno 2008) è manifestamente infondato, risultando dagli atti, come dedotto e riprodotto dalla controricorrente, che, nelle argomentazioni svolte dall’Istituto nella memoria di costituzione del giudizio di primo grado a sostegno delle conclusioni di rigetto delle domande di controparte, era stato illustrato anche il contenuto dell’art. 21 del C.C.N.L. del 1992, con la nuova definizione di retribuzione rapportata all’orario normale.

Il che appare sufficientemente indicativo del fatto che si chiedeva il rigetto delle domande quantomeno in forza del C.C.N.L. del 1992 e quindi a partire dal momento della sua efficacia.

Il primo motivo del ricorso principale propone una interpretazione di norme del contratto collettivo nazionale di lavoro diversa da quella operata dai giudici di merito e riconducibile al richiamo operato dalla norma collettiva alla definizione di retribuzione di cui alla L. n. 297 del 1982.

Di esso devesi preliminarmente rilevare d’ufficio l’improcedibilità, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), secondo cui, col ricorso per cassazione, devono essere depositati, a pena di improcedibilità, “gli atti processuali i documenti i contratti e accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

La disposizione ricomprende anche i contratti e accordi collettivi di lavoro, a seguito della modifica ad essa apportata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 con effetto, a norma dell’art. 27, secondo comma del medesimo decreto legislativo, riferito ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze depositate successivamente alla data del 1 marzo 2006; essa riguarda il contratto nel suo testo integrale ed è infine da porsi in collegamento con la modifica operata altresì quanto all’art. 360 c.p.c., n. 3, con l’introduzione della possibilità di un controllo di legittimità in ordine al vizio di violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (per cui deve ritenersi riferita esclusivamente a tali accordi e contratti collettivi).

Nel caso in esame la ricorrente si è limitata a riprodurre nel corpo del ricorso e a sostegno del motivo in esame unicamente stralci del C.C.N.L. invocato, allegando unicamente gli altri atti di cui all’art. 369 c.p.c., ivi compresi i fascicoli di parte del giudizio di merito.

Senonchè questa Corte ha già avuto modo di precisare che, a norma della disposizione citata del codice di procedura civile, non appare sufficiente ad adempiere all’onere di cui al art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 l’allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (Cass. S.U. ord. 14 ottobre 2009 n. 21747).

Inoltre e comunque va rilevato che (come recentemente ribadito da questa Corte nelle sentenze gemelle rese all’udienza del 1 dicembre 2009 in cause nn. 18208/08, 18812/08, 20342/08 e 20344/08), anche la parziale allegazione del C.C.N.L. invocato (a voler ritenere equivalente ad essa la riproduzione nel corpo del ricorso) non sarebbe sufficiente ad assicurare l’adempimento dell’onere indicato.

E’ stato infatti al riguardo ripetutamente affermato (cfr., ad es.

Cass. nn. 5050/08 e 19560/07), in sede di procedimento ex art. 420- bis c.p.c. (contenente la disciplina del procedimento relativo all’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, che prevede l’immediata decisione da parte del giudice, con una sentenza impugnabile in cassazione), che questa Corte, nell’interpretazione del contratto invocato, ha il potere di ricercare all’interno dell’intero contratto collettivo le clausole ritenute utili ai tale fine, senza essere in tale funzione condizionata dalle prospettazioni di parte.

Una tale regola è sicuramente applicabile anche in sede di controllo di legittimità del contratto collettivo nazionale di lavoro a seguito di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3, in quanto la produzione parziale di un documento sarebbe incompatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento (che non consentono a chi invoca in giudizio un contratto di produrne solo una parte) nonchè con i criteri di ispirazione dell’intervento legislativo citato volto a potenziare la funzione nomofilattica della Corte (nei medesimi termini, cfr. Cass. 2 luglio 2009 n. 15495).

La regola appare infine coerente con i canoni di ermeneutica contrattuale di cui la Corte deve fare applicazione, in particolare con la regola relativa alla interpretazione complessiva delle clausole, secondo la quale “Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto” (art. 1363 c.c.) (cfr. anche Cass. n. 21080/08).

Passando all’esame del secondo motivo del ricorso incidentale, esso, come il primo, è infondato.

Premesso che il quesito non riguarda in realtà alcuna questione riconducibile al vizio di violazione di leggi, ma attiene semmai alla interpretazione dell’accordo aziendale citato, va infatti ricordato che l’interpretazione del contratto collettivo aziendale citato (così come di ogni contratto di diritto comune, salvo il contratto collettivo nazionale di lavoro nel caso di ricorso per cassazione avverso le sentenze pubblicate successivamente al 1 marzo 2006: cfr.

D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 e art. 27, comma 2) è operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito e pertanto incensurabile in cassazione se non per vizi attinenti all’applicazione dei criteri legali di ermeneutica (art. 1362 e ss. c.c.) o ad una motivazione carente o contraddittoria nella relativa argomentazione.

Nel caso in esame, la ricorrente, pur denunciando la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., non identifica in realtà specifiche violazioni dei canoni ermeneutici legali, limitandosi a riprodurre il testo dell’accordo nella parte considerata, affermando genericamente che è stato violato, nell’interpretazione di esso, il criterio letterale, quello di contesto nonchè quello relativo alla considerazione del comportamento successivo delle parti, che avrebbero rinegoziato l’accordo anche dopo la L. n. 297 del 1982.

Quanto al preteso vizio di motivazione, la ricorrente incidentale omette di indicare i vizi logici o i difetti di indagine che comprometterebbero l’iter logico seguito dalla Corte territoriale, in realtà operando la mera contrapposizione di una propria diversa interpretazione del testo contrattuale a quella dei giudici, contrapposizione in cui non può in nessun caso consistere la censura finalizzata al controllo di legittimità su di una interpretazione di contratto (cfr., ad es., recentemente Cass. 18 aprile 2008 n. 10203 e 2 novembre 2007 n. 23484).

Con riguardo, poi, alla censura di violazione della L. n. 297 del 1982 “nella parte in cui lascia margine di libera pattuizione”, va comunque ribadito che la pattuizione collettiva in deroga, relativamente alla definizione di retribuzione utile per il calcolo del t.f.r., può essere contenuta unicamente in contratti collettivi successivi alla L. n. 297 del 1982, e non è desumibile dal semplice richiamo ad accordi precedenti, genericamente confermati, essendo viceversa necessaria la riformulazione di un esplicita volontà nel senso indicato (Cass. n. 21239/07, cit.).

In proposito, la ricorrente incidentale si limita ad affermare che l’accordo del 1974 sarebbe stato rinegoziato, nel medesimo contenuto, anche successivamente alla L. del 1982, senza specificarne i termini precisi, in violazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione.

In ogni caso, la presenza di una rinegoziazione di identico contenuto non appare in grado di contraddire la interpretazione che di tale contenuto ha fornito la Corte territoriale, per le ragioni sopra indicate.

Con riguardo al terzo motivo del ricorso incidentale, devesi preliminarmente rilevare d’ufficio l’improcedibilità dello stesso, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), per le medesime ragioni in base alle quali è stato dichiarato improcedibile il primo motivo del ricorso principale, essendosi limitata la società nel caso in esame a riprodurre nel corpo del ricorso e a sostegno del motivo in esame unicamente stralci del C.C.N.L. invocato, allegando unicamente gli altri atti di cui all’art. 369 c.p.c., ivi compresi i fascicoli di parte del giudizio di merito.

Infine, il quarto motivo del ricorso incidentale attiene in realtà ad un errore di fatto nell’esame degli atti che sarebbe alla base della pronuncia di nullità della richiesta restitutoria formulata dall’Istituto nel grado di appello.

Esso è inammissibile in quanto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui, cfr., ex ceteris, recentemente, Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09) non specifica se i documenti indicati fossero stati richiamati in sede di domanda e se questa fosse altrimenti stata specificata nel quantum. Inoltre e comunque esso dovrebbe essere dichiarato improcedibile, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4). per la mancata produzione dell’atto processuale sul quale si fonda.

9 – Concludendo, i due ricorsi riuniti, principale e incidentale, vanno respinti, con conseguente compensazione integrale tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010

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