Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31316 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. II, 04/12/2018, (ud. 05/10/2018, dep. 04/12/2018), n.31316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14660/’14) proposto da:

U.A.S., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

in forza di procura speciale apposta a margine del ricorso,

dall’Avv. Gian Comita Ragnedda e domiciliato “ex lege” presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma, p.zza Cavour;

– ricorrente –

contro

P.P., (C.F.: (OMISSIS)); + ALTRI OMESSI, quali eredi

di F.M., tutti rappresentati e difesi, in virtù di

procura speciale apposta a margine del controricorso, dagli Avv.ti

Tomaso Careddu e Michele Tamponi ed elettivamente domiciliato presso

lo studio del secondo, in Roma, v. A. Friggeri, n. 106;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari – Sez. dist.

di Sassari n. 138/2013, depositata il 22 marzo 2013 (e non

notificata).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con citazione del 2004 i sigg. P.G.M., + ALTRI OMESSI per far accertare la loro qualità di eredi legittimi di S.A., nonchè per far dichiarare la nullità del contratto stipulato tra S.A. e R.L. in data 18 dicembre 1994, oltre che l’inefficacia, nei loro confronti, del contratto di compravendita intervenuto, per atto notaio Pi. del 10 ottobre 2003, tra U.L.N., U.A.S. e Sp.Vi.Gi.An. e, infine, per sentir condannare U.L.N., Pr.Ma. e gli eredi di Ur.Ma.An. alla restituzione di porzioni di un immobile sito in (OMISSIS) e l’ U. anche della somma di Lire 85.000,000.

Nella costituzione delle parti convenute, ad eccezione di Pr.Ma. e degli eredi di Ur.Ma.An., che rimanevano contumaci, l’adito Tribunale, con sentenza n. 174/2010, accoglieva integralmente le domande attoree.

Avverso la suddetta sentenza di primo grado formulavano appello U.A.S. (che si dichiarava anche erede di Sp.Vi.Gi.An.) e Us.Lu.Na., i quali, in particolare, contestavano la qualità di eredi riconosciuta dal giudice di prime cure agli originari attori e, conseguentemente, la loro legittimazione ad agire.

Si costituivano nel giudizio di appello P.G.M., + ALTRI OMESSI in proprio e quali eredi di B.M., nelle more deceduta, nonchè C.M.A., C.P.L. e C.R. quali eredi di F.M., anche lei nel frattempo deceduta. Non venivano evocati in appello nè Pr.Ma. nè gli eredi di Ur.Ma.An., nei cui confronti era, perciò, disposta l’integrazione del contraddittorio alla prima udienza di comparizione nel giudizio di secondo grado. Senonchè, gli appellanti, alla successiva udienza in appello, instavano per la concessione di un ulteriore termine al fine di individuare e citare gli eredi di Ur.Ma.An..

Quindi, con sentenza n. 138/2013, la Corte di appello di Cagliari – Sez. dist. di Sassari dichiarava l’inammissibilità dell’appello sul presupposto che, vertendosi in tema di causa inscindibile ai sensi dell’art. 331 c.p.c., la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti in appello nel termine giudiziale ritualmente concesso (da qualificarsi come perentorio), non poteva che condurre alla suddetta declaratoria di tipo processuale, non ricorrendo, peraltro, i presupposti per la rimessione in termini.

Nei confronti della sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione U.A.S., articolato in quattro motivi, al quale hanno resistito, con un unico controricorso, tutti gli intimati.

Il P.G. ha depositato le sue conclusioni ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. nel senso del rigetto del primo motivo di ricorso, con la conseguente inammissibilità degli altri.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la supposta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 102,153 e 331 c.p.c., nonchè il vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante la mancata integrazione del contraddittorio in appello per errore scusabile.

2. Con la seconda doglianza il ricorrente ha denunciato – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 452 e 2697 c.c. e dell’art. 153c.p.c. (già art. 184 c.p.c.), nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione circa l’ulteriore fatto controverso e decisivo per il giudizio concernente l'(assunta) erronea interpretazione e valutazione delle prove documentali in riferimento alla sussistenza della legittimazione attiva degli originari attori.

3. Con la terza censura il ricorrente ha prospettato – ancora una volta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., oltre al vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa l’altro fatto controverso e decisivo per il giudizio inerente all'(assunta) erronea interpretazione e valutazione delle prove documentali in ordine all’utilizzo delle somme depositate presso il Banco di Sardegna.

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha dedotto – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1479 c.c., in uno al vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa l’ulteriore fatto controverso e decisivo per il giudizio sulla qualità di terzo in buona fede in capo ad Us.Lu.Na..

5. Rileva il collegio che, nell’economia generale dei motivi, assume carattere preliminare (e potenzialmente assorbente) l’esame del primo sulla questione processuale che ha condotto all’inammissibilità dell’appello.

Premesso che il vizio di motivazione (come per gli altri tre motivi) così come dedotto è inammissibile alla stregua della novellazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (il cui testo è applicabile “ratione temporis” nel caso di specie, poichè la sentenza impugnata è stata pubblicata il 22 marzo 2013), la supposta violazione di legge prospettata con la prima censura è da ritenersi infondata (in conformità alle conclusioni rassegnate dal P.G. sul punto).

Infatti, ricorrendo pacificamente – nella fattispecie – una ipotesi di litisconsorzio rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 331 c.p.c. (ed esclusi i presupposti per la configurabilità di un errore scusabile, che solo avrebbe potuto legittimare, ove sussistente, la rimessione in termini), per effetto del mancato rispetto del termine perentorio (sulla cui ingiustificatezza la Corte sassarese ha adeguatamente motivato in proposito, poichè nessuna ricerca era stata effettuata con riguardo al Pr. e, quanto all’individuazione degli eredi di Ur.Ma.An., nessuna prova era stata offerta circa l’inutilità od impossibilità dei relativi accertamenti) che era stato assegnato dal giudice di appello alla prima udienza per procedere all’integrazione del contraddittorio, la Corte di secondo grado ha, del tutto legittimamente, dichiarato l’inammissibilità dell’appello.

In tal senso il giudice di appello si è correttamente conformato alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 7528/2007 e Cass. n. 17416/2010), secondo cui il termine per la notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, fissato ex art. 331 c.p.c., è perentorio, non è prorogabile neppure sull’accordo delle parti (oltre a non essere sanabile per effetto della tardiva costituzione della parte nei cui confronti doveva essere integrato il contraddittorio) e la sua inosservanza deve essere rilevata d’ufficio, sicchè la sua violazione determina, per ragioni d’ordine pubblico processuale, l’inammissibilità dell’impugnazione.

La ravvisata infondatezza della prima censura implica l’assorbimento (improprio) degli altri tre motivi che – attenendo alla denuncia di asseriti vizi riguardanti il merito della vicenda processuale – non possono essere esaminati in conseguenza della ritenuta legittimità della dichiarazione di inammissibilità dell’appello.

6. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente esposte, deve pervenirsi al rigetto del primo motivo con conseguente inammissibilità dei residui (rimanendo precluso l’esame).

Le spese della presente fase di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili i restanti. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 5 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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