Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31315 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 29/11/2019), n.31315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13876-2016 proposto da:

TECNOSERVICE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato PERONACE ASA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5091/38/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 26/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

ANTONIO FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza in data 26 novembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto dalla Tecnoservice s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lodi che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRES, IRAP ed IVA per l’anno 2007. La CTR osservava, in particolare, che, secondo onere, l’ente impositore aveva adeguatamente provato l’inesistenza oggettiva e soggettiva delle fatture oggetto delle riprese fiscali de quibus, mentre la società contribuente non aveva assolto ai propri correlativi oneri contro probatori.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, deducendo due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Con apposita istanza, la società contribuente ha chiesto la sospensione del processo ai sensi del D.L. n. 50 del 2017, art. 11, comma 8, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 96 del 2017.

Rinviata la causa a nuovo ruolo con ordinanza di questa Corte n. 21364/2017, con istanza del 23 aprile 2018 la ricorrente ha chiesto disporsi la trattazione della controversia, non essendosi perfezionata la definizione agevolata del giudizio.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., poichè la CTR ha affermato assolto l’onere gravante sull’agenzia fiscale della prova della inesistenza oggettiva e della sua consapevolezza di quella soggettiva delle fatture considerate ai fini delle riprese oggetto dell’atto impositivo impugnato.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

Va infatti ribadito che:

– “In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015);

– “In tema d’IVA, l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18118 del 14/09/2016);

– “In materia di detrazione IVA, liquidata nella fattura passiva emessa dal cedente e versata in rivalsa dal cessionario, qualora sia contestata la inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche in via presuntiva, ex art. 2727 c.c., la interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell’operazione, eventualmente da altri soggetti, nonchè la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa; spetta, invece, al contribuente che intende esercitare il diritto alla detrazione o al rimborso, provare la corrispondenza anche soggettiva della operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 13803 del 18/06/2014).

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto e, peraltro, nello sviluppo della censura la ricorrente inammissibilmente chiede a questa Corte una rivalutazione del meritum causae che pacificamente non le è consentito, così collidendo con gli ulteriori principi di diritto secondo i quali “Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7921 del 06/04/2011); “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis, Cass., Sez. 5, n. 26110 del 30/12/2015).

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112, c.p.c., poichè la CTR ha omesso di valutare puntualmente le sue difese in merito a due delle operazioni considerate dall’avviso di accertamento impugnato.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che “La differenza fra l’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. consiste nel fatto che, nel primo caso, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata, mentre nel secondo, l’omessa trattazione riguarda una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione” (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25714 del 04/12/2014).

La censura rientra paradigmaticamente nella distinzione operata da tale principio di diritto e precisamente consiste nella censura, peraltro improponibile trattandosi di una “doppia conforme” di merito, di omesso esame di un fatto decisivo controverso e non in quella proposta di “omessa pronuncia” su di un’eccezione meritale.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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