Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31315 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. II, 04/12/2018, (ud. 27/09/2018, dep. 04/12/2018), n.31315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4299-2015 proposto da:

V. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore

V.G., e V.M., rappresentati e difesi

dall’Avvocato PATRIZIA ROCCI, ed elettivamente domiciliati presso il

suo studio in TORINO, VIA COLLI 3;

– ricorrenti –

contro

F.M., (quale erede di M.A.), rappresentato

e difeso dall’Avvocato LUIGI A. FLORIO, ed elettivamente domiciliati

presso il suo studio in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 26;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1222/14 della CORTE d’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/09/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato in data 26.7.2007, M.A. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Asti la V. S.R.L., nonchè V.M. in proprio, chiedendone la condanna in solido a corrispondergli l’importo di Euro 60.500,00, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria sull’importo complessivo del finanziamento pari ad Euro 75.000,00, a titolo di restituzione di un mutuo di Euro 75.000,00 che egli aveva erogato alla V. s.r.l., con contestuale assunzione di garanzia personale di V.M., il quale aveva restituito solo l’importo di Euro 14.500,00, non osservando le successive scadenze pattuite per la restituzione del finanziamento. L’attore esponeva che il finanziamento era stato concesso, a seguito di richiesta del nipote F.F., amministratore della F.U. e F. s.r.l., al fine di consentire alla V. s.r.l. di stipulare un contratto di leasing con la Bpu Leasing s.p.a., relativo a una linea di imbottigliamento da acquistarsi presso la F. s.r.l.; che l’esponente aveva autorizzato la moglie del nipote, N.O., delegata ad operare sul proprio conto corrente, ad emettere n. 2 assegni circolari per l’importo del finanziamento in favore della V. s.r.l.; che quest’ultima aveva stipulato il contratto di leasing e che erano stati vani i tentativi del Maestro di recuperare la somma mutuata.

Nel corso dell’istruttoria l’attore presentava ricorso per sequestro conservativo nei confronti della V. s.r.l., che veniva rigettato, con analogo esito negativo del relativo reclamo.

Nell’ambito della causa di merito la V. s.r.l. e V.M. si costituivano in giudizio ribadendo la carenza di legittimazione attiva in capo all’attore e chiedendo il rigetto della domanda. I convenuti sostenevano che a seguito della stipula del contratto di leasing, mediante F.F., l’assegno prodotto in giudizio era stato emesso con il nome del prenditore in bianco per una problematica relativa all’I.V.A.; che era stato instaurato un processo di usura a carico di F. sfociato in una sentenza di condanna; e che non vi erano mai stati contatti personali con il M..

Successivamente venivano assunte le prove per testi dedotte da entrambe le parti e veniva espletato l’interrogatorio formale di V.M..

Con sentenza n. 55/2012 del 25.1.2012 il Tribunale di Asti rigettava le domande formulate dall’attore assumendo: che, acclarata la legittimazione attiva dell’attore e atteso il mancato disconoscimento della sottoscrizione per girata sugli assegni attribuibile alla V. s.r.l., si doveva ritenere provato il passaggio di denaro dedotto dal M.; che non era stata fornita la dimostrazione dell’avvenuta stipula di un contratto di mutuo e che non era prova idonea la produzione in giudizio dell’assegno, tenuto conto delle difese della V.; che il collegamento con il contratto di leasing era rimasto indimostrato stante l’avvenuta emissione degli assegni in data successiva alla stipula della locazione finanziaria; che erano generiche le ammissioni rese da V.M. circa l’assunzione della garanzia personale e che le dichiarazioni rese dal teste B. erano state smentite dalla deposizione resa dalla teste V.G..

Avverso detta sentenza proponeva appello F.M., pronipote di M.A. e suo unico erede, deducendo che si doveva ritenere dimostrata la dazione di denaro; che si doveva ritenere provato altresì il contratto di mutuo e l’assunzione di una garanzia personale; che le deposizioni rese dai testi B. e N.O. confermavano tale tesi; che il F. aveva agito in rappresentanza del M. e che gli assegni, se fossero stati relativi al versamento del’IVA, sarebbero stati consegnati direttamente alla banca tramite la quale il V. aveva stipulato il contratto di leasing, e che la deposizione resa da V.G. non poteva essere utilizzata stante la formulazione tempestiva dell’eccezione di decadenza per l’omessa citazione dei testi nei termini di rito.

Si costituivano in giudizio gli appellati chiedendo il rigetto dell’appello. Ribadivano che gli assegni erano stati di volta in volta sostituiti dal F., poi imputato del delitto di usura; che il finanziamento era stato effettuato dal R.; che per la prima volta era stata prospettata una funzione procuratoria del F.; che le richieste del M. dovevano essere poste in correlazione con l’esito negativo del procedimento penale a carico di F.F..

La difesa dell’appellante dava atto dell’avvenuta emissione di una sentenza penale assolutoria di F.F..

Con sentenza n. 1222/2014, depositata il 23.6.2014, la Corte di merito accoglieva la tesi dell’appellante e condannava gli appellati, in solido tra loro, al pagamento della somma di Euro 60.500,00, oltre interessi e spese dei due gradi di giudizio.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione V. s.r.l. e V.M. sulla base di tre motivi; resiste F.M. con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1813,1822 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, poichè la Corte di merito avrebbe erroneamente applicato sia le norme relative al contratto di mutuo, ritenendo sussistente il titolo allegato nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, sia le norme sull’onere della prova posto a carico dell’attore in forza dell’art. 2697 c.c., ritenendo che i testi escussi avessero dato prova della sussistenza del titolo giuridico implicante l’obbligo della restituzione.

1.1. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano un “Vizio di motivazione con riferimento all’esercizio dei poteri discrezionali di valutazione della prova in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, là dove la decisione della Corte di merito si baserebbe su una erronea valutazione delle prove testimoniali e dell’interrogatorio formale del ricorrente V.M..

2. – In ragione della loro stretta connessione, i due motivi vanno decisi congiuntamente.

2.1. – Essi non possono trovare accoglimento.

2.2. – Va, innanzitutto, rilevato che la complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018). E peraltro, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018). Peraltro, è principio consolidato che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

2.3. – Orbene, da un lato, non si riscontra alcuna erronea applicazione da parte della Corte di merito delle norme relative al contratto di mutuo, laddove viceversa la medesima Corte del tutto correttamente e motivatamente ha ritenuto sussistente il richiamato titolo giuridico implicante l’obbligo della restituzione, posto a base della domanda attorea, in coerenza con le norme sull’onere della prova in forza dell’art. 2697 c.c., ritenendo (dalla analisi del quadro probatorio emergente dalle deposizioni rese e dall’interpello del ricorrente) che i testi escussi avessero dato prova della sussistenza del titolo medesimo. Ciò in ossequio al consolidato indirizzo di questa Corte (Cass. n. 8386 del 2009; Cass. n. 24328 del 2017), secondo cui l’attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è, ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 1, tenuto a provare gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, da cui derivi l’obbligo della vantata restituzione (in tal senso, ex plurimis, Cass. n. 9209 del 2001; Cass. n. 12119 del 2003; Cass. n. 3642 del 2004; Cass. n. 9541 del 2010); l’esistenza di un contratto di mutuo non può essere desunta dalla mera consegna di assegni bancari o somme di denaro, essendo l’attore tenuto a dimostrare per intero il fatto costitutivo della sua pretesa, senza che la contestazione del convenuto (il quale, pur riconoscendo di aver ricevuto la somma ne deduca una diversa ragione) possa tramutarsi in eccezione in senso sostanziale e come tale determinare l’inversione dell’onere della prova (Cass. n. 20740 del 2009).

2.4. – Dall’altro lato, anche la valutazione delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale (come detto) è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (ex plurimis Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16467 del 2017; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 11511 del 2014).

Invero, nella motivazione della sentenza impugnata (pagg. 8-10) sono chiaramente esplicitate le coerenti ragioni della ritenuta maggiore attendibilità attribuita alle deposizioni rese dai testi B. e N., terzi estranei, rispetto a quanto dichiarato da Gabriella V., figlia del ricorrente (a prescindere dalla eccepita decadenza a rendere testimonianza), oltre alla sottolineatura del fatto che il ricorrente V., nell’interrogatorio formale, ha ammesso le circostanze relative al finanziamento.

3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)/ erronea e carente interpretazione degli atti del processo”, in quanto la Corte avrebbe del tutto omesso la circostanza che V.M. e M.A. non si sono mai incontrati nè hanno mai pattuito nulla in ordine alla restituzione della somma o degli interessi; che il V., nell’interrogatorio formale, ha detto che quando è arrivato in banca era già stato tutto fatto; che infine gli assegni vennero rilasciati in bianco, su richiesta di F.F., ovvero senza indicazione del beneficiario.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 23 giugno 2014) consente (Cass. n. 8053 e n. 8054 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

3.3. – Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dovuto specificamente e contestualmente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Orbene, nel motivo in esame, della enucleazione e della configurazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter procedere all’esame del denunciato parametro, non v’è traccia. Sicchè, le censure mosse in riferimento al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018), inammissibile seppure effettuata con asserito riferimento alla congruenza sul piano logico e giuridico del procedimento seguito per giungere alla soluzione adottata dalla Corte distrettuale e contestata dal ricorrente.

4. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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