Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31310 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. II, 29/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 29/11/2019), n.31310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14812/2015 proposto da:

C.M.C., rappresentata e difesa da se medesima;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il provvedimento della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 14/11/2012, (opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex

art. 99, inerente il procedimento penale R.G.n. 1819/10);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/06/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda sottoposta al vaglio di legittimità può riassumersi nei termini seguenti:

– l’avv. C.M.C., difensore di D.D.A., all’epoca collaboratore di giustizia, nel proc. penale n. 835/07 R.G., che lo vedeva imputato insieme ad altri, chiese che le fosse liquidato l’onorario ai sensi ai sensi del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito nella L. 15 marzo 1991, n. 82 e ulteriormente novellato dalla L. 15 marzo 2001, n. 45 (ora la materia è disciplinata dal T.U. n. 115 del 2002, art. 115, comma 1);

– la Corte d’appello di Catanzaro rigettò l’istanza relativamente al proc. R.R. n. 1819/2010;

– il Presidente della medesima Corte, in persona del Consigliere delegato, disattese l’opposizione dell’avvocato, evidenziando che “l’assistenza legale del collaboratore (…) è garantita unicamente in relazione ai procedimenti penali riconducibili all’attività di collaborazione, come specificato dal D.M. 23 aprile 2004, n. 161, art. 8”, circostanza che nella specie non ricorreva, poichè il D.D., “imputato di usura ai danni di V.F., contestato al capo 38 della rubrica, non ha reso dichiarazioni collaborative sul punto, ma ha negato la sua responsabilità”;

ritenuto che l’avv. C. ricorre sulla base di due motivi e che l’Amministrazione è rimasta intimata;

ritenuto che con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 125, c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè “omessa motivazione”, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo che in primo grado al precedente difensore era stato riconosciuto il compenso, di talchè ne era derivata una ingiustizia per la diversità di trattamento, nel mentre l’apodittica motivazione non aveva tenuto conto dei motivi d’appello;

considerato che la doglianza è inammissibile per le ragioni di cui appresso:

– ricorre il difetto assoluto di motivazione, integrante il vizio di “mancanza della motivazione” agli effetti di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, allorquando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del “decisum” (Sez. 3, n. 20112, 18/9/2009, Rv. 609353) o, assegnando alla nozione di pseudo-motivazione la massima estensione consentita, allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Sez. 6, n. 9105, 7/4/2017, Rv. 643793); per contro la decisione impugnata ha individuato in forma intellegibile, sia pure stringatamente, la ragione della decisione, peraltro, puntualmente intese dalla ricorrente;

– in disparte è appena il caso di soggiungere che la doglianza, inoltre, priva di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza documentale, indugia in considerazioni senza giuridico rilievo (la circostanza che in primo grado i compensi siano stati, secondo l’assunto, riconosciuti, non inficia, perciò solo, la decisione del Giudice dell’appello);

ritenuto che con il secondo motivo la C. allega violazione del T.U. n. 115 del 2002 e della L. n. 45 del 2001, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che la legge “che prevede l’assistenza legale a carico dello Stato per il collaboratore di giustizia, senza specificare se la stessa debba sortire assoluzione o condanna per il medesimo collaborante nell’ambito dei giudizi scaturiti comunque dalle sue dichiarazioni, poichè è il Giudice terzo a dover comunque emettere sentenza nel rispetto delle regole poste a fondamento del buon giudicare”;

considerato che anche il secondo motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità, tenuto conto delle seguenti considerazioni:

a) dispone il T.U. n. 115 del 2002, art. 115: “L’onorario e le spese spettanti al difensore di persona ammessa al programma di protezione di cui al D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82 e successive modificazioni, sono liquidati dal magistrato nella misura e con le modalità previste dall’art. 82 ed è ammessa opposizione ai sensi dell’art. 84. Nel caso in cui il difensore sia iscritto nell’albo degli avvocati di un distretto di corte d’appello diverso da quello dell’autorità giudiziaria procedente, in deroga all’art. 82, comma 2, sono sempre dovute le spese documentate e le indennità di trasferta nella misura minima consentita”;

b) dispone del D.M. 23 aprile 2004, n. 161, art. 8, commi 8 e 9: “L’onorario e le spese spettanti al difensore sono liquidati dal magistrato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 115″;

L’assistenza legale è concessa al collaboratore di giustizia in relazione ai procedimenti penali riconducibili all’attività di collaborazione, nonchè per i procedimenti relativi all’applicazione di misure di sicurezza, di prevenzione e per quelli dinanzi alla magistratura di sorveglianza; essa spetta per ogni fase del procedimento, compresa quella dell’esecuzione, e per ogni grado del giudizio”;

c) la norma secondaria, sintonica con la disciplina primaria (D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, come modificato dalla L. 13 febbraio 2001, n. 45), per quel che qui rileva, ne specifica il contenuto secundum legem, potendosi enunciare il seguente principio di diritto: “lo Stato si fa carico di assistere economicamente il collaboratore di giustizia, sollevandolo dal costo del processo nel quale rende la collaborazione; estendere il diritto all’assistenza e difesa gratuita in sede penale al di là della ipotesi contemplata implicherebbe riconoscere un irragionevole privilegio privo di giustificazione, non assumendo rilievo la circostanza che l’assistito sia stato assolto o condannato, ma risultando, però, indispensabile che la difesa riguardi il processo o i processi nei quali il medesimo assuma veste attiva di collaboratore di giustizia (cioè di indagato o imputato chiamante in responsabilità), fermo restando l’accesso, ricorrendone i presupposti, al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti e l’irrinunciabile diretto alla difesa d’ufficio”;

d) nel caso in esame il provvedimento impugnato ha espressamente escluso che il D.D. abbia reso dichiarazioni collaborative, limitandosi a negare la propria responsabilità, cioè, esclude il Giudice che abbia rivestito il ruolo di cui sopra, e il ricorso non smentisce documentalmente l’assunto;

considerato che non deve farsi luogo a regolamento delle spese, non avendo l’intimata svolto in questa sede difese;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, in quanto la stessa ha invocato il regime agevolato previsto per i collaboratori di giustizia, al di fuori dei casi contemplati dalla legge.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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