Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31309 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. II, 04/12/2018, (ud. 23/05/2018, dep. 04/12/2018), n.31309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26373-2014 proposto da:

V.M., e VE.DA.MA.CA., rappresentati e difesi

dall’Avvocato MARIA GURRADO ed elettivamente domiciliati in GRAVINA

in PUGLIA, VIA F.LLI CERVI 9;

– ricorrenti –

contro

V.G., rappresentato e difeso dagli Avvocati UGO PATRONI

GRIFFI e GIOVANNA CICCARELLA, ed elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA BARBERINI 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

T.R. e MASSERIA MODESTI di V.G. & C. s.n.c.

– intimati –

avverso la sentenza n. 1184/13 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 19/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/05/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 25.2.1979 V.G. da una parte, T.G. e gli eredi di M.R. dall’altra, stipulavano un contratto in virtù del quale il primo prometteva di acquistare dai secondi, che promettevano di vendere, l’azienda agricola nota come “Masseria Modesti”, complesso immobiliare di 270 ettari di terreno.

Con rogito B. del 16.6.1980 V.G. acquistava il suddetto complesso aziendale.

Frattanto, con atto del 27.2.1979 (due giorni dopo la conclusione del preliminare), V.G. e V.M. riconoscevano che in data 25.2.1979 era stato stipulato un preliminare di vendita per l’acquisto della Masseria Modesti da parte di V.G. e che da quel momento (27.2.1979) dovevano intendersi costituiti in società con partecipazione paritaria per la compravendita e la conduzione dei terreni, ancorchè nel contratto preliminare il solo V.G. promettesse di acquistare il complesso aziendale. Il motivo di tale fittizia intestazione, voluta dalle parti, risultava dall’atto stesso, secondo il quale il solo V.G. si trovava nella condizione soggettiva che gli avrebbe consentito di accedere ai benefici di legge, cosa che dall’atto risultava preclusa al fratello M., dipendente dell’Ospedale Civile.

Con atto del 30.6.1997, le cui sottoscrizioni erano autenticate dal Notaio D., la società di fatto tra i fratelli germani V. e le loro consorti, veniva regolarizzata ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 3 assumendo la veste formale di società in nome collettivo, denominata “Masseria Modesti di V.G. & C.”.

Con atto di citazione, notificato il 14.2.2000 V.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari, Sezione distaccata di Altamura, V.M., VE.DO.MA.CA. e T.R., nonchè la MASSERIA MODESTI DI V.G. & C., per sentir dichiarare: che di tutti i beni indicati nella scrittura privata del 30.6.1997 aveva conferito nella società Masseria Modesti il solo godimento, ma non anche la proprietà, che aveva conservato; che i consoci T.R., V.M. e Ve.Do.Ma.Ca. nulla avevano conferito; che l’atto di regolarizzazione del sodalizio del 30.6.1997 era invalido, anche nell’ipotesi in cui fosse stata riconosciuta la sua natura di atto costitutivo della società, per indeterminatezza dell’oggetto, e per la mancanza della pluralità dei soci, atteso che i convenuti mai avevano assunto tale qualità, sia per l’invalidità dell’atto costitutivo che per l’assenza di conferimenti da parte loro; che la costituzione del sodalizio era nulla anche per l’evidente violazione del divieto di patto leonino, da ravvisare nella circostanza che i consoci avrebbero partecipato agli utili senza aver fatto conferimenti; che era invalida la trascrizione dell’atto di regolarizzazione della società.

Si costituivano in giudizio i soli coniugi V.M. e Ve.Do.Ma.Ca., chiedendo il rigetto delle avverse domande e, in riconvenzionale, la condanna dell’attore: ad integrare le quote sociali sino alla concorrenza del 25% per ciascun socio; a versare nelle casse sociali le somme di pertinenza della società da lui indebitamente incassate e trattenute; a trasferire alla società anche i suoli censiti alla partita (OMISSIS).

Con sentenza n. 113/2009 del 10 luglio 2009, il Tribunale di Bari, Sezione distaccata di Altamura, rigettava le domande attoree ed accoglieva le riconvenzionali, condannando l’attore a reintegrare le quote sociali degli altri soci fino alla concorrenza del 25% per ciascun socio; a versare nelle casse sociali la complessiva somma di Euro 1.179.629,01; a trasferire alla società i terreni in (OMISSIS), i cui estremi catastali sono stati già indicati.

Avverso detta sentenza proponeva appello V.G. con undici articolati motivi. Resistevano al gravame V.M. e Ve.Do.Ma.Ca., chiedendo il rigetto dell’appello.

Con sentenza n. 1184/2013, depositata il 19.9.2013, la Corte d’Appello di Bari confermava la statuizione di rigetto della domanda proposta in primo grado da V.G.; in riforma sul punto della sentenza di primo grado, rigettava le domande riconvenzionali; compensava integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione V.M. e Ve.Do.Ma.Ca. sulla base di un motivo; cui resiste V.G. con controricorso, proponendo ricorso incidentale sulla base di quattro motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo, i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, in quanto la sentenza di secondo grado sarebbe illogica in ordine alle conclusioni finali, completamente diverse dalle argomentazioni che sottendono la motivazione. La sentenza sarebbe carente su fatti e circostanze oggetto di discussione tra le parti, e in particolare, sulla domanda riconvenzionale rigettata senza motivo, in tutti i suoi profili.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – I ricorrenti censurano non già la violazione e/o la falsa applicazione di norma di legge in riferimento ai dedotti parametri di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 bensì la violazione e la falsa applicazione degli stessi parametri, senza alcuna indicazione delle norme la cui violazione lederebbe tali parametri.

1.3. – Peraltro, va rilevato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare essa il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di “errori di diritto” non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).

Il controllo affidato alla Corte non equivale, dunque, alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014).

1.4. – D’altro canto, neppure è ammissibile la denuncia (non già della norma, ma) del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis anche alla sentenza di appello in esame. Prevede, infatti, il nuovo testo che la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

E’ noto come, secondo le Sezioni Unite (n. 8053 e n. 8054 del 2014), la norma consenta di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, i ricorrenti avrebbero dovuto specificamente indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma della enucleazione di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde poter procedere all’esame del denunciato parametro, non v’è traccia. Sicchè, alla luce del sopra richiamato consolidato indirizzo giurisprudenziale, riguardante la più angusta latitudine della nuova formulazione rispetto al previgente vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, le censure mosse in riferimento al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 si risolvono, in buona sostanza, nella richiesta generale e generica al giudice di legittimità di una (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento in parte qua della sentenza impugnata (Cass. n. 1885 del 2018).

2. – Con il primo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente deduce: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 1362e ss., artt. 1325,1346,1418,2247 e 2265 c.c.”, in quanto la sentenza del Tribunale di Bari n. 3462/2009 (resa inter partes ed avente ad oggetto impugnativa di bilanci) aveva affermato che prima del 19 febbraio 1996 il sodalizio era già sussistente, ma che nessun giudicato si era formato sul punto, perchè non si trattava di statuizione resa su specifica domanda delle parti. Secondo il controricorrente sarebbe evidente che il Tribunale di Bari, in quella sede, per poter decidere se il contributo fosse di competenza di V.G. o della società regolarizzata ha dovuto previamente decidere da quale data esisteva la società di fatto ed ha ritenuto che essa esistesse solo a partire dal 19.2.1996. Avendo travisato la portata letterale del testo della sentenza citata e la ratio della stessa sentenza, la Corte d’Appello ha fornito una motivazione solo apparente, incorrendo nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La conseguenza è che tutte le vicende precedenti al 19.2.1996 risultano irrilevanti.

2.1. – Il motivo, così come formulato, è inammissibile.

2.2. – In primo luogo, non risulta chiarito quale sia l’asserito error in procedendo attribuito alla Corte di merito (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) con riferimento al profilo di doglianza riguardante l’interpretazione data dalla Corte medesima al dictum contenuto nella sentenza del Tribunale di Bari n. 3462 del 2009 (di cui peraltro il contro ricorrente non coglie la rado decidendi), secondo la quale detta decisione “non ha affermato che prima del 19 febbraio 1996 la società non risultava costituita, bensì solo che il sodalizio era sussistente a detta data” (sentenza impugnata pag. 10).

2.3. – In termini più generali, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, va rilevato che il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata.

Se è vero che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014). Ciò richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle singole dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015).

Così, dunque, i motivi di impugnazione che (come nella specie) prospettino una pluralità di questioni precedute dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono altrettanto inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 2016).

2.4. – Il motivo di ricorso, così come formulato, si connota per una articolazione di pluralità di censure eterogenee – riferite contemporaneamente tutte, congiuntamente ed indistintamente, ad asseriti vizi di violazione e/o falsa applicazione di plurime norme di legge, di nullità della sentenza o del procedimento e di omessa pronuncia su fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti – prive di una precisa identificazione, necessaria, appunto, per evidenziarne e compiutamente individuarne il contenuto ed analizzarne la rispettiva fondatezza o meno. Esse, viceversa, appaiono contraddistinte dall’evidente scopo di contestare globalmente l’intero impianto motivazionale della decisione, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018).

3. – Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente deduce: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss, artt. 1325,1346,1418,2247 e 2265 c.c., nonchè della L. n. 662 del 1996, art. 3,comma 70”, in quanto il convincimento raggiunto dal Giudice d’Appello si fonda sulla dichiarazione del 27.2.1979, con la quale i fratelli V. dichiaravano che in data 25.2.1979 era stato stipulato un preliminare di vendita per l’acquisto di fondi rustici nell'(OMISSIS) e che veniva costituita, dal 27.2.1979, una società in parti uguali per la compravendita e la conduzione dei terreni e di quanto sarebbe stato possibile acquistare durante la società usufruendo delle leggi a loro favore e che i terreni sarebbero stati intestati a V.G., in quanto V.M., quale dipendente dell’Ospedale civile di (OMISSIS), non avrebbe potuto ottenere i benefici di legge, ferma restando la ripartizione di tutto al 50% per ognuno; e l’intestazione a V.M., in ragione del 50%, sarebbe avvenuta quando lo stesso l’avesse ritenuta opportuna. Tuttavia, una società di tale tipo sarebbe affetta da nullità radicale, mancando l’indicazione del tipo della costituenda società.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Trattandosi di denunciato vizio di violazione di legge, congiuntamente riferito ad eterogenee norme, valgono le argomentazioni espresse sub 2.3. e 2.4. Altrettanto, va ribadito quanto motivato sub 1.3. relativamente alla necessaria modalità di formulazione, a pena di inammissibilità, del motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3.

4. – Con il terzo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente deduce: “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione o falsa applicazione dell’art. 2659 c.c., comma 1, n. 2 e art. 2665 c.c.Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Osserva il controricorrente che, nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, V.G. aveva rilevato che la nota di trascrizione della scrittura del 30.6.1997 fosse incerta sul rapporto giuridico sotteso al conferimento e che pertanto era invalida. Sul punto la sentenza censurata non si è pronunciata. In base all’art. 2659 c.c., comma 1, n. 2 e art. 2665 c.c., nella nota di trascrizione deve risultare l’atto in forza del quale si domanda la trascrizione, ma anche il mutamento giuridico.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

4.2. – Questa Corte ha affermato il principio secondo cui, qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, egli ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante dello stesso, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresì Cass. n. 22576 del 2015; n. 16254 del 2012); potendo solo così reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), senza che occorra la pedissequa riproduzione letterale dell’intero contenuto degli atti processuali, in quanto diretta ad affidare alla Corte il compito supplementare di scegliere quanto effettivamente rileva ai fini delle argomentazioni dei motivi di ricorso, nell’ambito del copioso materiale prodotto, contenente anche elementi estranei al thema decidendum (Cass. n. 17168 del 2012). Pertanto, il controricorrente (che nella specie non ha evocato la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 112 c.p.c.) aveva l’onere (non assolto) di indicare – mediante anche l’integrale trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazionè, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n. 12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012).

4.3. – Quanto al profilo riguardante il lamentato “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, valgono le stesse considerazioni espresse sub 1.4., con riferimento alla formulazione del motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, nel ricorso principale.

5. – Con il quarto motivo di ricorso incidentale, il controricorrente lamenta: “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4: violazione dell’art. 91 c.p.c.”, in quanto il giudice d’appello, ove avesse accolto le domande di V.G., avrebbe dovuto condannare i ricorrenti al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

5.1. – Il motivo è inammissibile.

5.2. – Ove anche, in ipotesi, configurabile quale motivo di impugnazione (non possedendone i requisiti), la sottesa domanda di condanna dei ricorrenti alle spese processuali dei due gradi del giudizio di merito è priva di attualità, in quanto formulata quale conseguenza dell’accoglimento delle opposte domande del controricorrente.

6. – Il ricorso in via principale e quello incidentale vanno dunque dichiarati inammissibili. Stante la reciproca soccombenza. le spese vanno integralmente compensate tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per ciascuna delle parti.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti e del controricorrente, dell’ulteriore importo titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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