Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31304 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. II, 29/11/2019, (ud. 14/01/2019, dep. 29/11/2019), n.31304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20683/2015 R.G. proposto da:

R.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Giorgio Pivetta, con domicilio

eletto in Roma, Lungotevere della Vittoria n. 11, presso lo studio

dell’Avv. Giuseppe Lorè;

– ricorrente –

contro

R.P., rappresentato e difeso dagli Avv. Marco Durante, con

domicilio eletto in Venezia, via Santa Croce n. 466/D, presso l’avv.

Alessandra Pacifici;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1313/15

pubblicata il 15 maggio 2015 e notificata il 23 giugno 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14 gennaio

2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Treviso – Sezione distaccata di Montebelluna, con una sentenza n. 40 del 2010, accertava e dichiarava che il confine reale posto tra gli immobili di proprietà di R.P., attore, e quelli di R.A., convenuto, corrispondeva alla linea di originaria recinzione di pali in legno infissi a terra e rete metallica definitivamente rimossa da R.A. tra il 1986 ed i primi anni ‘90; inoltre, accertava e dichiarava la corrispondenza tra il predetto confine reale e quello catastale dei suddetti immobili e per tali ragioni, condannava il convenuto al rilascio, a favore dell’attore, della porzione di terreno risultante di proprietà di quest’ultimo alla luce del frazionamento in atti, illegittimamente occupata dal convenuto;

– sul gravame interposto da R.A., la Corte d’appello di Venezia, nella resistenza dell’appellato, rigettava il gravame e, per l’effetto, confermava integralmente l’impugnata sentenza;

– per la cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Venezia ricorre R.A. sulla base di due motivi;

– R.P. resiste con controricorso.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., lamentando l’omessa valutazione del frazionamento predisposto dall’Ing. S., intervenuto nell’anno 1959, a suo avviso unico titolo idoneo a consentire la corretta individuazione dei confini tra i fondi limitrofi.

La censura è inammissibile prima che infondata, in quanto non perviene ad una critica della ratio decidendi.

Nella vicenda in esame, infatti, la deduzione del ricorrente non corrisponde all’accertamento effettuato dalla Corte di merito, laddove, dopo aver affermato la tardività della produzione degli allegati, poichè trattavasi di documentazione “nuova” ex art. 345 c.p.c., a pag. 13 della sentenza è comunque statuito che l’atto “non ha il significato probatorio preteso e non può, pertanto, considerarsi vincolante nella individuazione della linea di confine come evidenziato dallo stesso c.t.u.”.

La Corte di merito è pervenuta al giudizio di non utilizzabilità del frazionamento del 1959 predisposto dall’Ing. S., dopo averlo valutato ed esaminato, e si è convinta della obiettiva non vincolatività dell’atto, poichè – come osservato anche dai c.t.p. solo con l’emanazione del D.P.R. n. 650 del 1972, l’atto di frazionamento ha acquisito particolare valore probatorio, sancendo l’obbligatorietà della sottoscrizione dello stesso da parte degli interessati per accettazione sul tipo di frazionamento e la sua allegazione all’atto traslativo, divenendone così parte integrante. Prima del 1973, anno di decorrenza del D.P.R. cit., le finalità di questo atto erano meramente cartografiche e, come affermato dall’ausiliare del giudice, “ben poteva accadere che i tecnici, nella loro redazione, desumessero le misure dalla mappa o che le stesse fossero riferite a punti o linee catastali inesistenti sul terreno, anche perchè un tipo che corrispondesse alla rappresentazione catastale aveva maggiori probabilità di essere approvato senza problemi”.

Per queste ragioni, essendo stato il frazionamento allegato dalla parte appellante redatto prima del 1973, la Corte lo ha ritenuto non vincolante proprio dal punto di vista probatorio, preferendogli altri elementi di giudizio.

Il ricorrente ha, quindi, travisato quanto accertato dalla Corte distrettuale, la quale, ai fini della sua decisione, ha valutato, esaminato ed analizzato con ponderazione il documento, concludendo per la sua non vincolatività nella individuazione della linea di confine.

A nulla rilevano, per tali ragioni, le pronunce giurisprudenziali invocate dalla parte ricorrente, in quanto non pertinenti al caso in esame e, quindi, irrilevanti;

– con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1158 e 1159 bis c.c., lamentando che la Corte non avrebbe correttamente valutato le dichiarazioni testimoniali in relazione alla esistenza e alle dimensioni della c.d. scolina.

Anche siffatta censura è inammissibile.

Come accertato dalla sentenza della Corte d’appello, a pag. 8, “l’esistenza della citata scolina non era stata affatto accertata dal CTU nel corso del sopralluogo, nè tampoco fatta rilevare dal CTP di parte convenuta”.

Invero, non avendo trovato conferma nell’espletata c.t.u. l’esistenza della scolina, sia il Tribunale che la Corte di merito, hanno ritenuto che mancasse del tutto la prova della realizzazione del manufatto in questione.

Quanto poi, al rilievo di parte, per cui la funzione della scolina sarebbe intrinseca e non richiederebbe una specifica prova, nel caso in esame non è stata valutata la funzione del manufatto, non essendone stato accertato il fatto presupposto della sua esistenza nel sopralluogo effettuato dall’ausiliare del giudice.

Il ricorrente, quindi, erroneamente ritiene che la Corte, come pure avrebbe fatto il Tribunale, non ha dato adeguato valore alle prove testimoniali raccolte, dal momento che, all’esito dell’istruttoria espletata nel giudizio di primo grado, sono emersi una serie di circostanze che hanno fatto sì che venisse sostenuta ed accertata la mancanza dello stesso manufatto (e a maggior ragione l’irrilevanza delle dimensioni dell’opera). Al proposito, infatti, la Corte rileva, a pag. 8 della sentenza, che “l’esistenza e la lunghezza del citato manufatto risulta solo dalle dichiarazioni dei testi di parte convenuta, mentre quelli di parte attorea non avevano affatto confermato la sua esistenza, avendo affermato che nel 1986 la recinzione di rete e pali in legno insisteva per tutta la lunghezza del confine”.

Del tutto prive di pregio risultano, pertanto, le deduzioni del ricorrente sulla mancata valorizzazione delle dichiarazioni rese dai testi indotti dallo stesso. Infatti nell’adempiere all’obbligo della motivazione il giudice di merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è sufficiente che, dopo aver vagliato le une e le altre sul loro complesso, indichi, negli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e tutte quelle circostanze che, sebbene non menzionate specificamente, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. In particolare il giudice, di fronte a più deposizioni testimoniali, e per effetto di tale principio, libero di fondare il proprio convincimento sopra alcune di esse con esclusione delle altre, salvo che le deposizioni non esaminate contengano circostanze decisive al fine di smentire il contenuto di quelle esaminate e di giustificare, perciò una soluzione diversa da quella adottata. Ma ove tale incompatibilità non sussista e vi siano tra le deposizioni solo delle discordanze che il giudice di merito ha superato, compiendo una scelta fondata sulla attribuzione di una maggiore attendibilità alle deposizioni prescelte, tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, non essendo consentito alla corte di cassazione un ulteriore esame del merito.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della società ricorrente che liquida in complessivi Euro 1.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misure del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 14 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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