Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31300 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 29/11/2019), n.31300

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23465-2018 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso l’AREA LEGALE TERRITORIALE dell’Istituto medesimo,

rappresentata e difesa dagli avvocati DE ROSE DORA e MURA NIVES;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore ad negotia

munito di rappresentanza legale in forza di procura speciale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 145,

presso lo studio dell’avvocato GARAU PAOLO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10279/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 21/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata in data 11/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA

ANTONIETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Poste Italiane S.p.a. propose appello avverso la sentenza n. 11016/2016, depositata il 1 aprile 2016, con cui il Giudice di pace di Roma aveva accolto la domanda proposta da Unipolsai Assicurazioni S.p.a. nei confronti di Poste Italiane S.p.a. e condannato quest’ultima al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di Euro 1.200,00, oltre interessi e rivalutazione, nonchè alle spese di lite.

In particolare quel Giudice ritenne che Poste Italiane S.p.a. aveva negoziato il predetto assegno senza attenersi “alla circolare ABI del 7 maggio 2001 L.G./003005, che impone, in sede di identificazione del presentatore del titolo, di richiedere almeno un altro documento munito di fotografia oltre la carta d’identità o patente, notoriamente soggette a contraffazione”, essendo stato. nella specie, il prenditore identificato unicamente mediante patente di guida.

Unipolsai Assicurazioni S.p.a. si costituì anche in secondo grado, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 10279/2018, pubblicata in data 21 maggio 2018, rigettò l’appello e condannò l’appellante alle spese, dando atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, così come introdotto dalla L. n. 228 del 24 dicembre 2012, art. 1, comma 17.

Avverso la sentenza del Tribunale, Poste Italiane S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi, cui ha resistito Unipolsai Assicurazioni S.p.a. con controricorso illustrato da memoria.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con H primo motivo, rubricato “Art. 360 c.p.c., nn 3 e 5 – violazione e falsa applicazione dell’art. 43.del RD 1736/33 in riferimento all’art. 1218 c.c., art. 1176 c.c., 2 comma, art. 1992 c.c., e L. n. 445 del 2000 – omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti”, la ricorrente censura la sentenza impugnata, sostenendo che il Tribunale non si sarebbe uniformato al principio espresso con le sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte nn. 12477 e 12478 del 2018, avendo ritenuto “che la sussistenza della responsabilità L.A. ex art. 43 prescinde dalla valutazione della prova liberatoria ex art. 1218 c.c.” e “risieda solo ed esclusivamente nell’obbligo legale di pagare l’assegno non trasferibile al prenditore effettivo”.

Sostiene la ricorrente che, contrariamente a quanto reputato dal Tribunale, la sua diligenza sarebbe stata provata per tabulas perchè l’annotazione degli estremi identificativi sul retro del titolo avrebbero dimostrato che l’operatore di sportello avrebbe effettuato il versamento solo dopo un attento esame circa l’autenticità del titolo e la verifica dell’assenza di segni di contraffazione e, quindi, di irregolarità e o alterazioni; inoltre, sarebbe stata “resa disponibile la somma portata dal titolo sul rapporto al medesimo intestato, solo dopo aver ricevuto l’incasso e l’autorizzazione al pagamento della banca trattaria/emittente a seguito di scambio del titolo mediante la procedura telematica di check-truncation”.

Deduce, altresì, la ricorrente che sarebbe irrilevante, ai fini della valutazione della diligenza, la circostanza che Poste Italiane S.p.a. abbia consentito l’apertura del libretto a soggetto munito di un solo documento, rientrando tale condotta nella normale e usuale gestione dei rapporti con la clientela, anche sconosciuta.

La ricorrente censura, quindi, la sentenza impugnata perchè il Tribunale, avendo omesso di valutare la diligenza da essa tenuta nella negoziazione di un titolo recante, peraltro, un modesto valore, non si sarebbe attenuto alle norme richiamate in rubrica e la motivazione di detta sentenza non sarebbe conforme a legge nella parte in cui il Giudice di appello afferma genericamente che “nel caso di specie Poste Italiane S.p.a. si è limitata ad addurre di aver indicato la prenditrice dell’assegno a mezzo patente di guida, con ciò incorrendo nella responsabilità sancita dalla legge assegni, art. 43 (secondo l’impostazione da ultimo ricordata, alla quale si ritiene di dover aderire)”.

In relazione alle modalità di identificazione del cliente, la ricorrente sostiene che la L. n. 445 del 2000, tra i documenti di riconoscimento aventi corso legale di validità, include la patente di guida e che nessuna norma impone l’acquisizione di due documenti di riconoscimento per identificare il cliente in ambito bancario così come nessuna norma impone o consente all’operatore di sportello di indagare se un assegno posto all’incasso sia “collegato ad un’accertata attività economica o di risparmio” del presentatore.

2.1. Il motivo, così come illustrato, è infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze nn. 12477 e 12478 del 21 maggio 2018, sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione di diritto attinente all’interpretazione della L.A., art. 43, comma 2, che stabilisce che “colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento”, con la precisazione che la previsione, cui espressamente rinviano la L.A., art. 86, comma 1 e L.A. art. 100, va estesa anche alle ipotesi in cui siano pagati a persona diversa dal prenditore un assegno circolare o un assegno bancario libero della Banca d’Italia non trasferibili, nonchè (secondo quanto già affermato da Cass. S.U. 26/06/2007, n. 14712) un assegno di traenza (usualmente utilizzato, in luogo del bonifico bancario, per il pagamento di un soggetto che non sia titolare di un conto corrente o di cui non si conoscono le coordinate bancarie) munito della clausola di intrasferibilità.

Con le suddette sentenze le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “ai sensi della legge assegni , art. 43, comma 2, (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., 2 comma.”

In particolare le Sezioni Unite, con le più volte citate sentenze, hanno ribadito il principio già dalle medesime enunciato nella pronuncia n. 14712 del 2007, secondo cui “la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dalla legge assegni, art. 43 (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso”.

Le Sezioni Unite hanno, altresì, osservato che “una volta ricondotta la responsabilità della banca negoziatrice nell’alveo di quella contrattuale derivante da contatto qualificato – inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. – non appare più sostenibile la tesi secondo cui detta banca risponde del pagamento dell’assegno non trasferibile effettuato in favore di chi non è legittimato “a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore””.

Hanno, infatti, evidenziato le Sezioni Unite che “una responsabilità oggettiva può infatti concepirsi solo laddove difetti un rapporto in senso lato “contrattuale” fra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fattd dannoso nei confronti del secondo non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno” e che “è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che il criterio che presiede alla valutazione della responsabilità da contatto sociale qualificato è quello delineato dagli artt. 1176,2118 c.c.”.

Pertanto, ad avviso delle Sezioni Unite, “nell’azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice che ha pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve”.

A tali principi, contrariamente a quanto lamentato dalla ricorrente, risulta essersi, in effetti, attenuto il Tribunale con la sentenza impugnata.

Ed invero, pur avendo espressamente precisato di aderire all’orientamento giurisprudenziale che “sembra… configurare una forma di responsabilità oggettiva a carico della banca, sussistente ogniqualvolta la persona fisica del prenditore non corrisponda al legittimato cartolare, a prescindere dalla valutazione del coefficiente di colpa della banca nella procedura di identificazione del prenditore”, quel Giudice ha tuttavia valutato il comportamento dell’attuale ricorrente, ritenendo, in base ad un accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede, che la medesima si è limitata ad addurre di aver identificato la prenditrice dell’assegno, così incorrendo nella responsabilità di cui alla legge assegni, art. 43, e ha reputato irrilevante che “la Banca negoziatrice non abbia ricevuto alcun messaggio di impagato, atteso che la procedura di check truncation relativa all’incasso del titolo non consente la materiale verifica del pagamento dell’assegno al legittimo prenditore”; in tal modo, il Tribunale ha sostanzialmente ritenuto che l’attuale ricorrente non ha dimostrato che l’inadempimento non le era imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2.

Neppure sussistono i lamentati vizi motivazionali (v. ricorso p. 7), così come dedotti (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass., ord., 25/09/2018, n. 22598).

4. Con il secondo motivo, si deduce “violazione e falsa applicazione de(II’) D.P.R. n. 156 del 1973, art. 83 e del D.M. 26 febbraio 2004 (carta della qualità del servizio pubblico postale) in riferimento all’art. 1227 c.c., comma 1 e L.A. art. 43. Omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti” (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

La ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha escluso il concorso di colpa del danneggiato in riferimento alle norme richiamate nella rubrica del motivo all’esame affermando che “l’evento dannoso non dipende dalla spedizione del plico postale – da cui può derivare la sola conseguenza dell’appropriazione del titolo da parte del non legittimato – ma dalla condotta dell’ente giratario per l’incasso, responsabile del pagamento in favore di un soggetto diverso dal beneficiario”.

Ad avviso della ricorrente, invece, proprio la natura dell’assegno di traenza avrebbe imposto la massima cautela anche da parte della banca e della compagnia assicuratrice. In particolare sostiene Poste Italiane S.p.a. che sussisterebbe una responsabilità ex art. 1227 c.c., comma 1, della controricorrente la quale, a suo avviso, in spregio delle richiamate disposizioni, non awebbe negato di aver spedito il titolo al beneficiario con posta ordinaria, senza fornire alcuna prova che l’assegno in questione sia “entrato nel circuito postale”, laddove, invece, la spedizione del titolo a mezzo posta assicurata avrebbe costituito un comportamento diligente dell’attrice, conforme a quanto previsto dall’art. 1182 c.c., u.c., quale forma di cautela finalizzata ad evitare o quanto meno ridurre il danno.

Deduce, altresì, la ricorrente di non condividere il ragionamento del Tribunale, in quanto “il nesso di causalità tra la pacifica spedizione incauta dell’assegno e il danno conseguente (pagamento a mani di soggetto diverso dal beneficiario)” non potrebbe ritenersi interrotto dal “”fatto sopravvenuto” (da intendersi la negoziazione effettuata da Poste) in quanto tale fatto era conseguenza logica”.

4.1. Il motivo, così come illustrato, è infondato, alla luce del principio affermato da questa Corte, secondo cui “In materia di spedizione, per via postale ordinaria, di un titolo di credito pagabile all’ordine, munito della clausola di non trasferibilità, ove il pagamento a soggetto non legittimato sia attribuibile a negligenza della banca negoziatrice, ai fini della valutazione comparativa dell’incidenza o meno della colpa del creditore-emittente nella determinazione del danno, da accertare in concreto e alla luce del principio di “causalità adeguata”, non rilevano nè il rischio generico assunto dall’emittente nell’affidarsi al servizio postale ordinario, nè le modalità con le quali è stato spedito il plico postale” (Cass., ord., 17/01/2019, n. 1049).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato.

6. Tenuto conto che le Sezioni Unite di questa Corte si sono espresse, con le sentenze sopra richiamate, soltanto qualche mese prima della notifica del ricorso e considerata la particolarità della vicenda, le spese del presente giudizio di cassazione vanno compensate per intero tra le parti.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115l, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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