Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31296 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2019, (ud. 08/10/2019, dep. 29/11/2019), n.31296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19458-2018 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORINO 7,

presso lo studio dell’avvocato BARBERIO LAURA, rappresentato e

difeso dall’avvocato VITALE GIANLUCA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI TORINO, PROCURATORE GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2581/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 05/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2019 dal Presidente Relatore Dott. DI VIRGILIO

ROSA MARIA.

La Corte:

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza depositata il 5/12/2017, la Corte d’appello di Venezia ha respinto l’appello proposto da S.F., cittadino del Mali, avverso il rigetto da parte del Tribunale delle domande di riconoscimento della protezione sussidiaria ed umanitaria.

La Corte d’appello, dato atto della narrazione dello straniero (la parte aveva dichiarato di essere fuggito dal Paese dopo che aveva ferito un uomo, che, introdottosi di notte in casa, aveva tentato di violentare la moglie, e che si era sottratto alla convocazione della Polizia, perchè questa, corrotta, non avrebbe creduto alla verità), ha rilevato che gli accertamenti sulla situazione del Mali, come tali escludenti una situazione di violenza indiscriminata, eseguiti dal Tribunale e confermati dall’ufficio, non erano stati specificamente contestati dall’appellante; quanto alle specifiche doglianze del S., ha osservato che dette censure non tenevano conto della storia remota ed attuale del Mali, della presenza attiva di una specifica missione Onu, dell’apprezzabile crescita economica, dell’ordinamento giuridico che si fonda sul modello francese oltre che sui diritti consuetudinari, da cui l’esclusione di violenza generalizzata, solo con alcuni attacchi armati nel nord del Paese, mentre l’area sud, da dove proviene la parte, è tranquilla e normalizzata.

Il Giudice del merito ha respinto l’ulteriore rilievo della parte, inteso a far valere il pericolo che correrebbe al rientro, rilevando la normalizzazione in atti, confermata dalle COI e, nel resto, ha ribadito la sproporzione tra la comparizione disposta dalla Polizia e la fuga dal Paese ed anche la scriminante che la parte avrebbe potuto far valere davanti alla Polizia.

La Corte del merito ha respinto la richiesta di protezione umanitaria, rilevando che non era stata addotta alcuna ragione ulteriore di protezione, nè provata l’integrazione in Italia, ed anzi, il S. ha una figlia in Mali, nata dopo l’allontanamento del padre.

Ricorre avverso detta pronuncia S.F., sulla base di due motivi.

Col primo mezzo, il ricorrente denuncia la violazione dei criteri legali posti a carico della Corte del merito, che ha escluso la condizione di violenza indiscriminata in Mali senza alcun riferimento alle informazioni assunte su detto Stato in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, e sulla base quindi di una valutazione tutta soggettiva, a fronte delle informazioni autorevoli fatte valere in ricorso (Country Reports on Human Rights Practices, elaborati dall’EASO).

Col secondo mezzo, il ricorrente si duole della violazione dei criteri dettati per l’accertamento del pericolo di tortura o trattamenti inumani o degradanti; della mera affermazione da parte della Corte del merito del processo di normalizzazione in atto e della mancata valutazione delle informazioni qualificate (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e Dipartimento di Stato statunitense, pag. 5 della citazione in appello).

I due motivi, strettamente collegati, vanno valutati unitariamente e sono da ritenersi inammissibili.

Quanto alla situazione attuale del Mali, la Corte del merito, alle pagine 5 e 6, ha dato atto che l’appellante non aveva contestato “specificamente gli esiti degli accertamenti del giudice di prime cure, che svolgendo il dovuto compito istruttorio ha escluso una situazione attuale e di conflitto generalizzato in Mali”. Ora, di contro a detto specifico rilievo, di carattere processuale, il ricorrente non ha avanzato alcuna censura, limitandosi a dolersi del mancato uso dei doveri istruttori d’ufficio, con ciò svolgendo una doglianza non congruente con la specifica ragione addotta dalla Corte per ritenere non contestati specificamente gli esiti degli accertamenti compiuti dal Tribunale a riguardo della situazione del Mali.

Nel resto, quanto alla affermata violazione dei criteri per l’accertamento del pericolo di tortura o trattamenti inumani o degradanti, il motivo è parimenti inammissibile, riducendosi nella mera contestazione dell’accertamento di merito specificamente condotto dalla Corte d’appello.

Conclusivamente, va dichiarato inammissibile il ricorso; non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituito l’intimato Ministero.


P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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