Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31296 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 04/12/2018, (ud. 07/11/2018, dep. 04/12/2018), n.31296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liliana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19271-2013 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA P. L.

CATTOLICA 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO CIUFOLINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati MARIA CATERINA INZILLO, OLGA

DURANTE, VINCENZO CANTAFIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI VIBO VALENTIA in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/2012 della COMM.TRIB.REG. di CATANZARO,

depositata il 04/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/11/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. F.L. impugnava l’avviso di accertamento con il quale era stata accertata la plusvalenza tassabile ai fini Irpef derivante dalla cessione a titolo oneroso, con atto del 18 luglio 2000, di terreni edificabili di cui era proprietario pro quota. La commissione tributaria provinciale di Vibo Valentia rigettava il ricorso con sentenza che era confermata dalla commissione tributaria regionale della Calabria sul rilievo che il terreno era da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base al piano regolatore generale, indipendentemente dalla adozione di strumenti attuativi. Inoltre le sanzioni erano dovute in quanto la norma di cui al D.L. n. 223 del 2006, art. 36 era retroattiva.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione il contribuente affidato a tre motivi. L’agenzia delle entrate si è costituita in giudizio con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la CTR omesso di enunciare le ragioni del rigetto del motivo di appello proposto dal contribuente relativo alla non applicabilità delle sanzioni.

2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, assumendo che la motivazione scarna resa dalla CTR in ordine alla debenza della sanzioni era insufficiente per chiarire le ragioni del rigetto del motivo di appello svolto sul punto.

3. Con il terzo motivo deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’articolo 112 c.p.c.. Sostiene che il giudice di primo grado aveva compensato le spese di lite e la CTR, pur in mancanza di appello incidentale dell’agenzia delle entrate, aveva condannato il contribuente al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.

4. Osserva la Corte che i primi due motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente in quanto involgono la medesima questione giuridica.

La L. n. 212 del 2000, art. 10, prevede che “non sono irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa. Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta”.

La Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 13076 del 24/06/2015; Cass. n. 4394 del 24/2/2014; Cass. n. 3113 del 12/2/2014; Cass. n. 24670 del 28/11/2007) è ripetutamente intervenuta a definire l’ambito di non debenza delle sanzioni enunciando i seguenti principi di diritto: per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie; l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice e non può essere operato dalla amministrazione; l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria. L’essenza del fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. Tali fatti indice devono essere accertati, esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili. Costituisce, quindi, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione”.

Ora, nel caso di specie non appaiono dovute le sanzioni, tenuto conto che, all’epoca della stipula dell’atto di che trattasi, sussisteva obiettiva incertezza circa la natura edificabile, ai fini fiscali, di un terreno la cui edificabilità fosse prevista da uno strumento urbanistico ma l’edificabilità in concreto non fosse predicabile per mancanza di strumenti attuativi. Solo in seguito sul punto è intervenuta la norma di cui al D.L. n. 223 del 2006, art. 36, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006, stabilendo che “ai fini dell’applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e del D.L. 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. E successivamente la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 25506 del 30/11/2006 ha stabilito la valenza di interpretazione autentica della norma ed il principio che l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi.

3. Il terzo motivo di ricorso rimane assorbito.

7. Vanno dunque accolti i primi due motivi di ricorso e l’impugnata sentenza va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ed il ricorso originario del contribuente va parzialmente accolto dichiarandosi non dovute le sanzioni. Le spese processuali dell’intero giudizio si compensano in considerazione della parziale reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie parzialmente il ricorso originario del contribuente dichiarando non dovute le sanzioni. Compensa le spese processuali dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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