Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31294 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/11/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 29/11/2019), n.31294

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32906-2018 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VIGNALI ROSA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 339/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 18/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. VALITUTTI

ANTONIO.

Fatto

RILEVATO

Che:

G.F., cittadina della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, avverso la sentenza n. 339/2018, emessa dalla Corte d’appello di Cagliari, depositata il 18 aprile 2018, con la quale è stato dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla straniera nei confronti della sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dalla medesima;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con l’unico motivo di ricorso – denunciando la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 342 c.p.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che l’atto di appello della medesima non contenesse alcuna specifica censura alle ragioni della decisione emessa dal giudice di primo grado, laddove dalla stessa decisione impugnata emergerebbe, invece, che la pronuncia del Tribunale era stata adeguatamente censurata;

Ritenuto che:

gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis), vadano interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative dogpanze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U., 16/11/2017, n. 27199; Cass., 30/05/2018, n. 13535);

secondo l’insegnamento di questa Corte, pertanto, l’atto di appello, sebbene non debba essere redatto con formule sacramentali, o mediante la prospettazione di un modello di decisione diverso da quello adottato in primo grado, debba pur sempre contenere, oltre alla parte volitiva, nella quale è esplicitata la volontà di riforma della pronuncia impugnata, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice;

tale esigenza di espressa contestazione del decisum della decisione resa dal primo giudice sia, per vero, imposta dalla stessa natura del giudizio di impugnazione, nel quale – sia pure nei limiti della soccombenza gravata, non costituendo l’appello un novum iudicium, bensì una revisio prioris instantiae – l’oggetto del giudizio è costituito, come si desume dall’art. 339 c.p.c., non già dalla materia del contendere del giudizio di primo grado, bensì dalla sentenza che lo conclude;

Rilevato che:

nel caso di specie, la Corte d’appello ha constatato che l’appellante non aveva mosso “alcuna specifica censura all’articolata ed esaustiva motivazione del Tribunale in ordine alla insussistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, e delle altre forme di protezione”, essendosi limitata a ribadire le questioni di merito (esistenza di un grave rischio per l’incolumità della richiedente, in caso di ritorno in patria, per la instabilità delle condizioni socio-politiche della Nigeria, esistenza di un grave pericolo determinato dal terrorismo) già dedotte in primo grado, senza contestare specificamente il decisum della sentenza conclusiva del procedimento;

in altri termini, men che “dialogare” con la decisione impugnata, mediante argomentazioni tese a contestarne le statuizioni, l’appellante si è limitata, piuttosto, a ribadire temi e questioni che avevano costituito la materia del contendere del giudizio di primo grado, in violazione dell’art. 342 c.p.c., nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità succitata;

Considerato che:

neppure nel ricorso per cassazione la ricorrente ha indicato – in conformità al disposto degli artt. 366 c.p.c., n. 6 e art 369 c.p.c., n. 4, sulla specificità del motivo di ricorso – le eventuali critiche mosse in appello alla sentenza del Tribunale, essendosi limitata ad affermare che l’atto di appello “tratteggia la criticità della situazione nigeriana”, e che contiene “specifici elementi di vulnerabilità”, rilevanti per la concessione della protezione umanitaria, e che esso contiene “la richiesta di valutazione” degli elementi di fatto concernenti le vicende narrate dalla istante, che avrebbero giustificato la sua fuga dalla Nigeria;

si tratta, com’è evidente, di una nuova reiterazione delle questioni di merito, che non evidenzia in alcun modo l’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte d’appello nel ritenere l’atto di gravame generico e non riferibile alla sentenza impugnata, in violazione dell’art. 342 c.p.c.;

Ritenuto che:

per tutte le ragioni esposte, il ricorso debba essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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