Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31293 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 29/11/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 29/11/2019), n.31293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2251-2018 proposto da:

S.T., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’Avvocato SALVATORE CINNERA MARTINO giusta delega in

atti.

– ricorrente –

contro

B.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

RIMINI 14, presso lo studio dell’Avvocato NICOLETTA CARUSO, che la

rappresenta e difende unitamente all’Avvocato GAETANO SORBELLO in

virtù di delega in atti.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 929/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 20/10/2017 R.G.N. 858/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Messina, con la sentenza n. 929/2017, ha confermato la pronuncia n. 1593/2016 del Tribunale di Patti con la quale era stata respinta la domanda, proposta da S.T. nei confronti di B.M.T., diretta ad ottenere – sulla premessa di essere stata alle dipendenze della convenuta dal 3.4.2007 al 19.2.2011 con mansioni di commessa presso l’edicola gestita dalla B. e di proprietà degli eredi R. e che il rapporto formalmente cessato in data 19.2.2011, era poi stato ripreso dal 2.5.2011 al 31.12.2011 senza essere stato regolarizzato, con uno svolgimento per tre giorni alla settimana e due domeniche, dalle 7:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 20:30, a fronte di una retribuzione di soli 350,00 Euro, fino al 31.12.2011 quando vi era stato un licenziamento orale- la reintegra nel posto di lavoro con la condanna al pagamento di una indennità risarcitoria, oltre alle differenze retributive maturate durante il periodo non regolarizzato.

2. I giudici di seconde cure, ritenuta l’utilizzabilità delle prove dedotte dalla B. nella memoria di costituzione di primo grado in cui erano stati tempestivamente indicati i testi da escutere a sostegno della propria posizione e conseguentemente ammessi, alla prima udienza, dal Tribunale, hanno evidenziato che dall’istruttoria svolta era emerso che il primo rapporto intercorso tra le parti si era concluso per dimissioni mentre, per il secondo periodo -oggetto di contestazione – non era ravvisabile alcun vincolo di subordinazione nella presenza della S. nell’esercizio commerciale determinata dalla esigenza di acquisire competenza in relazione ai rapporti con i fornitori dell’attività che era interessata a rilevare.

3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione S.T. affidato a sei motivi, cui ha resistito con controricorso B.M.A..

4. Il PG non ha formulato richieste scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., comma 5, nonchè la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere, nonostante l’eccezione sul punto sollevata, la Corte territoriale rilevato la decadenza della B. dalle prove testimoniali richieste con la comparsa di primo grado, non avendo intimato i testi già per la prima udienza e, conseguentemente, per non avere dichiarato l’inutilizzabilità delle prove illegalmente acquisite.

3. Con il secondo motivo si sostiene la violazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 e 49, la violazione e falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., comma 5, la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 148 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, perchè – anche se si fosse voluto ritenere il giudizio di primo grado – almeno in parte, disciplinato dal rito cd. Fornero, in ogni caso era necessaria l’intimazione dei testi per la prima udienza.

4. Con il terzo motivo la S. censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., la violazione dell’art. 2697 c.c. e la violazione degli artt. 2727 c.c. e segg., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte di merito, usando prove inammissibili, erroneamente valutato il quadro probatorio da cui emergeva la natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti dal maggio al dicembre del 2011.

5. Con un quarto articolato motivo viene eccepita: a) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., la violazione degli artt. 2727 c.c. e segg., la violazione dell’art. 112 c.p.c., la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per essere la motivazione adottata dalla Corte territoriale, in ordine al mancato riconoscimento del vincolo di subordinazione “succinta”, intrinsecamente contraddittoria, perplessa e meramente apparente; b) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c.; della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè del difetto di motivazione, per avere, in sostanza, la Corte di merito malamente valutato le risultanze probatorie; c) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., la violazione degli artt. 115 e 116, anche in relazione all’art. 2727 c.c., nonchè il difetto di motivazione, per avere illogicamente la Corte territoriale dato credito alla tesi di controparte che risultava smentita dai testi e dalla condotta processuale evasiva della convenuta.

6. Con il quinto motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c., della violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, come novellato dalla L. n. 108 del 1990, art. 2, nonchè la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 2727 c.c. e segg., perchè la Corte di appello, non avendo riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro, non si era pronunciata sulla richiesta di illegittimità del licenziamento orale adottato nei suoi confronti.

7. Con il sesto motivo si lamenta, infine, la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., perchè si rappresenta che la cassazione della gravata sentenza, per i motivi sopra esposti, avrebbe dovuto comportare anche l’annullamento delle statuizioni sulle spese del giudizio di 1 e 2 grado.

8. I primi due motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente per connessione logico-giuridica, non sono fondati.

9. Essi riguardano, in sostanza, la problematica dell’intimazione dei testi, nel rito del lavoro, alla prima udienza, a prescindere dal provvedimento di ammissione del giudice, e della conseguente eventuale fondatezza dell’eccezione di decadenza.

10. Questo Collegio, pur consapevole di un diverso orientamento affermatosi in sede di legittimità (Cass. n. 4161/1994; Cass. n. 1133/1984), ritiene tuttavia di aderire a quello che si è imposto a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 262 del 1997 e dei principi in essa statuiti, rappresentato dalla sentenza n. 3275 del 1997 secondo cui, nel rito lavoro, per effetto del combinato disposto dell’art. 202 c.p.c., comma 1 (che prevede che il GI fissi una udienza di assunzione delle prove che non abbia potuto assumere contestualmente alla loro ammissione), dell’art. 420 c.p.c., commi 5 e 6 (che prevede nel processo del lavoro la concentrazione in una sola udienza dell’ammissione e della assunzione delle prove, ma consente in caso di necessità di fissare altra udienza) e dell’art. 250 c.p.c. (che consente alle parti di citare i testimoni a mezzo ufficiale giudiziario, solo in forza del provvedimento del GI di ammissione della prova testimoniale e di fissazione dell’udienza di assunzione), vige il principio che il giudice provvederà nella stessa udienza di ammissione della prova testimoniale alla audizione dei testi, comunque presenti, ma non potrà dichiarare decaduta la parte dalla prova per la mancata presentazione di essi, essendogli consentito di poterli citare solo in forza del provvedimento di ammissione, con la conseguenza che il giudice dovrà fissare altre udienze per la prosecuzione della prova.

11.Tali considerazioni valgono anche per il rito cd. “Fornero”, caratterizzato – nella fase sommaria – dal principio di libertà delle prove, in relazione al quale non è possibile ipotizzare decadenze, e – nella fase a cognizione piena – dalle disposizioni dettate in tema di processo del lavoro che la regolano.

12. Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale ha dichiarato l’utilizzabilità delle prove dedotte dalla B. nella memoria di costituzione in primo grado in cui erano stati indicati i testi da escutere a sostegno della propria posizione e, conseguentemente, ammessi dal giudice, non incorrendo, quindi, nè nel denunziato vizio di cui agli artt. 132 e 112 c.p.c., essendovi stata pronuncia sul punto con manifestazione della ratio decidendi, nè in quello di cui all’art. 420 c.p.c., comma 5, essendo la statuizione conforme al principio di diritto sopra richiamato e condiviso da questo Collegio.

13. Il terzo ed il quarto motivo, anche essi da scrutinarsi congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

14. Con riguardo alla denunciata erronea applicazione dell’art. 2094 c.c., dell’art. 2727c.c. e dell’art. 2697 c.c., in ordine alla prova dei fatti costitutivi del diritto, l’odierna ricorrente, sotto l’apparente veste dell’error in iudicando, tende a contestare la ricostruzione della vicenda accreditata dalla sentenza impugnata. In proposito, giova ribadire che il vizio di falsa applicazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’, dunque, inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.

15. Quanto poi alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., va osservato che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento delle citate norme processuali, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. La denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito è configurabile come un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. n. 23940 del 2017).

16. In relazione al vizio denunciato nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poi, va rilevato che esso, come appunto riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. S.U. n. 8053/2014).

17. Nel caso in esame, la censura di omesso esame di un fatto decisivo si risolve, invece, in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della causa.

18. Relativamente, infine, ai vizi denunciati, ex art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, va osservato che essi sussistono solo quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, senza alcuna esplicitazione al riguardo nè disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. in termini Cass. 21.12.2010 n. 25866): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.

19. Il quinto motivo è inammissibile per carenza di interesse.

20. Invero, il giudice di appello, sulla questione della illegittimità del licenziamento, non si è pronunciato ritenendola assorbita in quanto non ha ravvisato la natura subordinata del rapporto di lavoro.

21. Come affermato da questa Corte (Cass. 22.9.2017 n. 22095), mancando in relazione a tale questione la soccombenza che costituisce il presupposto della impugnazione, il motivo è inammissibile potendo la questione stessa essere riproposta al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza.

22. Il sesto motivo è parimenti inammissibile perchè con esso non viene denunciato uno dei vizi tipici previsti dall’art. 360 c.p.c., bensì si chiede, in sostanza, in ipotesi di accoglimento delle censure sopra esposte, che la sentenza impugnata venga cassata anche sulla pronuncia in ordine alle spese di lite per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..

23. Trattasi, infatti, di valutazione eventualmente da adottare, anche in questo caso, dal giudice di rinvio quale conseguenza del riesame dell’impugnazione che impone una nuova determinazione sulle spese dell’intero processo e non di statuizione da adottare in sede di legittimità.

24. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.

25. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate come da dispositivo.

26. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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