Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31292 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 29/11/2019, (ud. 15/10/2019, dep. 29/11/2019), n.31292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24108/2018 proposto da:

M.R.K., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE, 51/A, presso lo studio dell’avvocato FERNANDO GALLONE, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.S.P. CITTA’ DI PIACENZA – Azienda Servizi alla Persona, in persona

del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ELISABETTA LEVITI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 572/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 22/05/2018 R.G.N. 143/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/10/2019 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FERNANDO GALLONE;

udito l’Avvocato ELISABETTA LEVITI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto dalla odierna ricorrente volto all’accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole in data 21.3/4.4.2016 dalla Azienda Servizi alla Persona (anche A.S.P., di seguito) “Città di Piacenza” ed alla pronunzia dei provvedimenti restitutori economici e reali.

2. La Corte territoriale ha accertato che l’assenza dal lavoro della ricorrente nelle giornate del 14 e del 23 ottobre 2015 non erano giustificate alla luce del mancato riconoscimento da parte del docente delle certificazioni relative alla partecipazione al corso. In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che la stessa ricorrente aveva ammesso che la lezione del 14 ottobre, in relazione alla quale il permesso di studio era stato richiesto e concesso, non si era tenuta e che la lezione del 23 ottobre 2015, per la partecipazione alla quale la ricorrente aveva fruito del permesso di studio, era correlata ad un corso già frequentato dalla ricorrente in relazione al quale la medesima aveva già sostenuto l’esame il 5 novembre 2015.

3. Quanto ai permessi di studio fruiti nell’ottobre 2015 per la preparazione della tesi, ha accertato che le certificazioni costituivano il frutto di una copia di un modulo parzialmente precompilato e firmato dal docente, ha aggiunto che l’art. 15 del CCNL consente la fruizione di permessi di studio per la frequenza delle lezioni e per la partecipazione agli esami e non anche per far fronte ad esigenze correlate alla preparazione della tesi ed ha rilevato che l’autorizzazione alla fruizione dei permessi era stata concessa solo in relazione alla partecipazione alle lezioni ed agli esami.

4. La Corte territoriale ha ritenuto che le condotte poste in essere dalla lavoratrice erano sussumibili entro la fattispecie disciplinare di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, comma 1, lett. b) e idonee a ledere in maniera definitiva il vincolo fiduciario in ragione della gravità delle falsità documentali e dalla arbitrarietà del “complessivo modus operandi” della lavoratrice.

5. Avverso questa sentenza M.R.K. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito con controricorso l’Azienda Servizi alla Persona “Città di Piacenza”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54 commi 1, 2, 3, per non avere la Corte territoriale tenuto conto del divieto di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza e sino al compimento del primo anno di età del bambino di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54, commi 1 e 2.

7. La ricorrente in sintesi addebita alla Corte territoriale di Corte di non avere considerato che la colpa grave, che consente il licenziamento per giusta causa della lavoratrice in stato di gravidanza, non può ritenersi integrata semplicemente dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo ovvero di una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva. Invoca i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 2004 del 2017.

8. Il ricorso è inammissibile.

9. Nella sentenza impugnata non risulta trattata la questione relative allo stato di gravidanza della ricorrente.

10. Ebbene, il ricorso difetta di allegazioni volte a specificare se le questioni relative alla rilevanza dello stato di gravidanza della lavoratrice e alla applicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54, comma 3, questione di diritto implicante anche accertamenti in fatto (stato di gravidanza della lavoratrice) siano state sottoposte, in quali termini ed in quale atto processuale alla Corte territoriale.

11. Al riguardo va ribadito il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (Cass. 5191/2019, 3315/2019, 105102018, 27568/2017, 167/2017, 22934/2016, 23045/2015,5070/2009, 20518/2008, 4391/2007, 25546/2006, 14599/2005).

12. Le spese nella misura liquidata in dispositivo seguono la soccombenza.

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte:

Dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00, per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfettarie, oltre IVA e CPA.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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