Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31272 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 29/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 29/11/2019), n.31272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12997-2015 proposto da:

B.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. DE

SANCTIS 15, presso lo studio dell’avvocato PIER PAOLO POLESE,

rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO ZAULI;

– ricorrente –

contro

ZATTINI GROUP S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 36/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 17/02/2015 R.G.N. 1257/2011;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

1. Che il giudice di primo grado, in parziale accoglimento della domanda di B.M.G., ritenuto che all’infortunio lavorativo dell’11.5.2006 era conseguito al detto lavoratore un danno biologico pari al 25%, fatta applicazione delle tabelle milanesi e, quindi, del criterio del cd. punto appesantito, inclusivo del danno morale, condannava la datrice di lavoro Zattini Group s.r.l. al risarcimento di tale danno quantificato in Euro 125.000,00, previa personalizzazione dello stesso; riconosciuta una riduzione della capacità di lavoro specifica pari a 2/3 del danno biologico determinava il relativo ristoro in Euro 60.000,00; detraeva dal credito complessivo, come sopra determinato, quanto riconosciuto dall’INAIL per la componente di danno biologico pari a Euro 62.006,13; previa devalutazione con riferimento all’epoca del sinistro, riconosceva l’ulteriore rivalutazione e gli interessi legali sul capitale via via rivalutato;

2. che la Corte di appello di Bologna, in parziale accoglimento dell’appello di B.M.G. ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la società a corrispondere, quanto alle spese del giudizio di primo grado, per diritti ulteriori, la somma di Euro 1.961,00 oltre accessori di legge; ha respinto l’appello incidentale della società;

2.1. che il rigetto dei motivi dell’appello del B. concernenti la statuizione risarcitoria di primo grado è stato fondato sulla considerazione: a) che il ctu aveva valutato il danno alla efficienza estetica ed il danno psichico per lo stato ansioso depressivo indotto dalla lesione, a fronte della cui valutazione il lavoratore si era limitato a contrapporre una più severa valutazione dei postumi; b) che correttamente il primo giudice, in applicazione dei principi di cui a Cass. 26972/2008, aveva utilizzato le tabelle milanesi e il principio di unificazione del punto con inclusione del danno morale procedendo, quindi, alla personalizzazione del danno; c) che la detrazione da quanto complessivamente calcolato per danno biologico con quanto liquidato dall’INAIL era imposta dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10 e che la capitalizzazione della rendita non poteva che avvenire nell’attualità; d) che erano stati riconosciuti sia gli interessi e la rivalutazione sul capitale rivalutato previa devalutazione dello stesso, essendo stata utilizzata una tabella successiva all’infortunio;

2.2. che la parziale riforma della statuizione relativa alle spese di primo grado è stata fondata sulla considerazione che quanto richiesto in più per diritti di procuratore – pari a Euro 1.961,00 – non era stato contestato di talchè andava liquidato come da relativa notula; quanto agli onorarii, premesso che il criterio del valore della causa deve essere applicato in base al decisum e non al disputatum conformemente all’art. 6 della tariffa ratione temporis applicabile, la doglianza relativa agli onorari risultava generica non avendo l’appellante indicato il minimo e il massimo degli stessi;

3.3. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso B.M.G. sulla base di undici motivi ed ha altresì formulato eccezione di illegittimità costituzionale, sotto il profilo del contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., del contributo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13; la parte intimata non ha svolto attività difensiva all’esito del rinnovo della notifica del ricorso per cassazione disposto in accoglimento della istanza di rimessione in termini formulata dal ricorrente;

4. che il PG ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

5. che parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 – bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. nella parte in cui la sentenza non considera che il danno morale subiettivo e transeunte deve essere considerato autonomamente rispetto a quello biologico ex art. 185 c.p.; deduce, inoltre, violazione degli artt. 1223. 2056,2059 c.c. nonchè degli artt. 2 e 3 Cost. e dell’art. 2, comma 2, Carta di Nizza e di “numerosi trattati e convenzioni internazionali per mancato o del tutto inadeguato riconoscimento di somma riconosciuta ed il mancato computo della voce “danno morale” subiettivo e transeunte anche come pregiudizio psichico”. Assume, in particolare, che il danno morale subiettivo transeunte – derivante dalla commissione del reato- è avulso dal concetto di danno biologico ed è quindi suscettibile di autonomo ristoro;

2. che con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione della legge e dei trattati internazionali (Convenzione di Roma, Carta di Nizza, Convenzione di New York), censurando la sentenza impugnata per avere proceduto ad una determinazione dei danni astratta e non personalizzata nè integrale. Assume “il lento declino delle tabelle milanesi” e la necessità di procedere ad una più attenta personalizzazione del danno non patrimoniale evidenziando la inadeguatezza di criteri liquidatorii rigidi e predeterminati inidonei in sintesi ad assicurare l’effettivo ristoro del pregiudizio denunziato;

3. che con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 35 Cost., comma 2 e art. 36 Cost.. Assume che il metodo della liquidazione equitativa contribuisce alla valorizzazione del principio meritocratico nei singoli luoghi di lavoro che trova chiara anche se non espressa tutela negli artt. 35 e 36 Cost.; in questa prospettiva sostiene che il conteggio del giudice di seconde cure non è esaustivo in quanto questi non aveva computato e distinto il danno morale nè operato la dovuta personalizzazione del risarcimento partendo dalle tabelle ambrosiane, nè liquidato i danni da perdita di chances;

4. che con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. censurando la sentenza impugnata per la omessa considerazione del cd. danno esistenziale consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, danno che deve considerarsi risarcibili nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona;

5. che con il quinto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 2059 c.c. censurando, in sintesi, la omessa considerazione del danno dinamico relazionale o esistenziale, distinto dal danno biologico quale lesione della salute;

6. che con il sesto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. in tema di liquidazione del danno non patrimoniale censurando, in sintesi, la sentenza impugnata per non avere riconosciuto l’integrale ristoro del danno non patrimoniale;

7. che con il settimo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto corretta la devalutazione della somma capitale del danno. Sostiene che tale affermazione si pone in contrasto con la previsione dell’art. 429 c.p.c. alla stregua del quale la rivalutazione è prevista anche per i crediti risarcitori del lavoratore;

8. che con l’ottavo motivo deduce omessa motivazione con riguardo alla mancata devalutazione del credito percepito dall’INAIL a fronte della operata devalutazione del credito lavorativo. Assume che nel respingere il motivo di gravame incentrato sulla omessa devalutazione della rendita INAIL la Corte di appello aveva dimostrato di non comprendere le relative ragioni in quanto si era limitata a ricordare che la detrazione è prevista per legge;

9. che con il nono motivo deduce violazione di legge per avere il giudice di appello considerata generica la doglianza relativa all’ammontare della liquidazione degli onorarii; violazione dell’art. 6 Legge Professionale forense e art. 2233 c.c. con riferimento all’art. 56 bis. Assume che il criterio utilizzato dalla Corte di merito nella determinazione del compensi con applicazione del parametro del decisum anzichè del disputatum è destinato ad operare solo per il giudizio di prime cure; critica, infine, la valutazione di genericità della contestazione relativa allo scaglione tariffario applicabile richiamando la nota spese prodotta in seconde cure;

10. che con il decimo motivo deduce violazione di legge con riferimento all’art. 6 Legge Professionale Forense e con riferimento all’art. 62 bis in relazione al difetto di contestazione. Censura la sentenza impugnata sul rilievo che la nota spese di primo grado, incontestata, avrebbe dovuto essere riconosciuta nella sua integrità;

11. che con l’undicesimo motivo deduce erronea compensazione delle spese della fase di gravame e violazione dell’art. 92 c.p.c.; sostiene, in sintesi, che poichè la società si era costituita tardivamente in prime cure avrebbe potuto proporre solo delle mere difese e che a fortiori l’appello sull’an risultava inammissibile; in conseguenza, configurandosi la soccombenza come più marcata, non appariva giustificata la compensazione delle spese di lite;

12. che il primo motivo di ricorso è inammissibile;

12.1. che, infatti, la sentenza impugnata, nel confermare la decisione di primo grado, ha dato atto che essa aveva espressamente riconosciuto e liquidato il danno morale il quale era stato attribuito attraverso la cd. unificazione del punto (v. sentenza pag. 5, 1 capoverso);

12.2. che, pertanto, la decisione risulta coerente con l’insegnamento di questa Corte secondo il quale in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, il danno biologico, rappresentato dall’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato, è pregiudizio ontologicamente diverso dal cd. danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione. (Cass. 4878 del 2019, Cass. n. 27482 del 2018, Cass. n. 7513 del 2018);

12.3. che il motivo in esame risulta, pertanto, privo di specificità in quanto, al fine della valida censura della decisione di secondo grado in tema di liquidazione del danno morale, occorreva la dimostrazione da parte dell’odierno ricorrente della avvenuta rituale allegazione in prime cure di un pregiudizio identificato come “danno morale “subiettivo e transeunte anche come pregiudizio psichico”” ontologicamente distinto da quello ristorato a titolo di danno morale dalla sentenza impugnata e di averne denunziato in seconde cure la omessa considerazione da parte del giudice di primo grado (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006);

13. che il secondo motivo di ricorso è da respingere per plurimi profili;

13.1. che, in primo luogo, parte ricorrente affida la illustrazione della denunziata violazione di norme di diritto, non riscontrata, come prescritto, dalla indicazione delle affermazioni in diritto della sentenza impugnata in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013, Cass. n. 3010 del 2012, Cass. n. 24756 del 2007, Cass. n. 12984 del 2006), a considerazioni generiche sulla necessità di adeguato integrale e personalizzato ristoro del danno non patrimoniale e sulla inadeguatezza a tal fine della somma liquidata;

13.2. che la doglianza relativa alla inadeguatezza a garantire l’integrale ristoro del danno non patrimoniale del sistema tabellare risulta infondata in quanto in base alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte nella liquidazione del danno non patrimoniale da lesione dell’integrità psico-fisica, in difetto di diverse previsioni normative, l’esigenza dell’adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi è in generale ed allo stato soddisfatta, in considerazione della loro diffusione applicativa sul territorio nazionale, dai parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano che, salva la ricorrenza di circostanze, affatto peculiari, idonee a giustificarne l’abbandono, hanno valenza di parametro di conformità della valutazione equitativa al dettato dell’art. 1226 c.c. (Cass. 11754 del 2018 Cass. n. 27562 del 2017);

13.3. che la affermazione del giudice di appello relativa alla inammissibilità delle censure intese a contestare la determinazione del danno non patrimoniale e la insufficienza della relativa personalizzazione in quanto fondate sulla mera contrapposizione agli esiti della consulenza tecnica di ufficio di prime cure di una più severa valutazione dei postumi non costituiscono, come sostenuto da parte ricorrente, frutto della errata applicazione al giudizio di merito di principi valevoli per il giudizio di legittimità, ma costituiscono espressione della esigenza di specificità dei motivi di gravame ex artt. 342 e 434 c.p.c. ritenuta evidentemente non osservata dal giudice di appello, con affermazione non specificamente contrastata sotto questo profilo dall’odierno ricorrente;

14. che il terzo motivo di ricorso risulta inammissibile per plurimi profili;

14.1. che, in primo luogo, non si configurano le denunciate violazioni di norme di diritto (artt. 35 e 36 Cost.), per insussistenza dei requisiti loro propri di verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme, nè di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa, nè tanto meno di specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013, Cass. n. 3010 del 2012, Cass. n. 24756 del 2007);

14.2. che parte ricorrente, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto, mostra di incentrare le proprie doglianze sulla mancata ed autonoma considerazione del danno morale, sulla mancata personalizzazione del risarcimento e sulla omessa liquidazione dei danni derivanti da perdita di chances (v. ricorso pag. 44, penultimo capoverso);

14.3. che le doglianze sviluppate in relazione alla prima ed alla seconda voce di danno risultano inammissibili per difetto di pertinenza con le ragioni del decisum avendo la Corte di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, espressamente dato atto che nella determinazione del risarcimento, in applicazione delle tabelle milanesi, era stato considerato il danno morale ed operata la personalizzazione del complessivo pregiudizio sulla base di una serie di circostanze (v. sentenza, pag. 5, 2 e 3 capoverso);

14.4. che in relazione alla mancata liquidazione dei danni derivanti da perdita di chances, poichè la questione, implicante accertamento di fatto, del risarcimento di tale pregiudizio non è stata espressamente affrontata dalla Corte di merito, costituiva onere del ricorrente – onere in concreto non osservato -, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, n. 20518 del 2008, n. 22540 del 2006);

15. che il quarto motivo di ricorso è infondato;

15.1. che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, atteso che quest’ultimo consiste proprio nel “vulnus” arrecato a tutti gli aspetti dinamico- relazionali della persona conseguenti alla lesione della salute e atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale) Cass. n. 901 del 2018), di talchè correttamente la sentenza impugnata non ha considerato, in via autonoma, il pregiudizio del quale l’odierno ricorrente lamenta la mancata liquidazione;

15.1. che in tema di quantificazione del danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge e dal criterio equitativo uniforme adottato dai giudici di merito (secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico – relazionale attinente alla vita esterna del danneggiato, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e peculiari, che fuoriescono da quelle normali ed indefettibili secondo l'”id quod plerumque accidit” entro le quali non è giustificata alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento (Cass. 23469 del 2018);

15.2. che la sentenza impugnata ha confermato la misura percentuale del danno biologico (comprensivo, quindi, alla stregua di quanto sopra precisato, del cd. danno esistenziale), attribuita dal giudice di prime cure sulla base dell’espletata ctu, e tale valutazione, secondo quanto ritenuto dal medesimo giudice di appello, non è stata validamente censurata con l’atto di gravame;

15.3. che, pertanto, le doglianze, in sede di legittimità, attinenti alla correttezza della ctu di primo grado ed in particolare della conformità a legge dei parametri utilizzati dal consulente tecnico d’ufficio nella determinazione della misura del danno biologico risulta inammissibile stante la rilevata preclusione scaturente dalla mancata idonea impugnazione dell’accertamento operato dal ctu, condiviso dal primo giudice, con il ricorso in appello;

15.4. che alla stregua di quanto ora osservato si rivela altresì inammissibile la deduzione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio sotto i profili illustrati (v. in particolare ricorso, pag. 60 ultimo capoverso con seguito a pag. 61), non specificamente affrontati dalla Corte di merito, per cui l’odierno ricorrente, secondo quanto già evidenziato sub paragrafo 4.4., doveva dimostrarne la avvenuta rituale deduzione nella fasi di merito, onere in concreto non assolto;

16. che il quinto motivo di ricorso è inammissibile;

16.1. che, infatti, la doglianza di mancato riconoscimento del pregiudizio dinamico – relazionale, è da respingere in ragione di quanto sopra detto sia in ordine alla riconducibilità di tale voce di danno al complessivo pregiudizio collegato al cd. danno biologico sia in ordine all’assenza di valida impugnazione con il ricorso in appello della quantificazione operata dalla sentenza di primo grado sulla base della espletata consulenza tecnica di ufficio circa la complessiva misura di tale danno;

17. che il sesto motivo di ricorso è infondato in quanto l’errore in diritto che parte ricorrente ascrive alla sentenza impugnata non trova riscontro nella motivazione della decisione la quale non contiene alcuna affermazione in contrasto con il principio dell’integrale ristoro del danno non patrimoniale;

18. che il settimo e l’ottavo motivo, esaminati congiuntamente per connessione, sono da respingere;

18.1. che, infatti, la sentenza impugnata, nel confermare sul punto la sentenza di primo grado, ha dato espressamente atto dell’avvenuto riconoscimento della rivalutazione e degli interessi sul capitale rivalutato ” previa ovvia devalutazione dello stesso, essendo stata utilizzata una tabella successiva all’infortunio”;

18.2. che, come è noto, la reintegra del danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto comporta la necessità di rivalutazione del credito e cioè della trasformazione dell’importo del credito originario, quantificato con riferimento alla data del fatto, in valori monetari correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale, avvalendosi del coefficiente di rivalutazione elaborato dall’Istat (di norma applicando l’indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati);

18.3. che, tanto premesso, la sentenza di appello appare corretta in quanto la necessità della devalutazione nasce dalla esigenza della determinazione della somma capitale destinata alla reintegra della situazione patrimoniale del danneggiato con riferimento al momento dell’evento dannoso laddove, invece, la somma capitale scaturente dall’applicazione delle tabelle utilizzate dal primo giudice, esprimeva, per come pacifico, valori riferiti a un momento successivo (sulla necessità di devalutazione con riferimento al momento dell’evento dannoso v. Cass. n. 6357 del 2011 e Cass. n. 3747 del 2005);

18.4. che in base a quanto sopra osservato non è configurabile la dedotta violazione dell’art. 429 c.p.c. in quanto, avendo il giudice di appello attribuito la rivalutazione sulle somme devalutate, la statuizione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte che riconosce il diritto agli accessorii ex art. 429 c.p.c. sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno a carico del datore di lavoro per la mancata adozione da parte di questi delle misure previste dall’art. 2087 c.c. (Cass. n. 14507 del 2011, Cass. n. 3213 del 2004);

18.5. che la censura intesa a denunziare la mancata “devalutazione” dell’importo capitale della rendita liquidata dall’INAIL da detrarre dal credito risarcitorio ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10 è infondata, avendo questa Corte chiarito che il danno “differenziale” deve essere determinato sottraendo dall’importo del danno complessivo (liquidato dal giudice secondo i principi ed i criteri di cui agli artt. 1223 e segg., 2056 e segg., c.c.) quello delle prestazioni liquidate dall’I.N.A.I.L., riconducendolo allo stesso momento cui si riconduce il primo, ossia tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione, ulteriormente puntualizzando che con riguardo al valore capitale delle rendite a carico dell’Istituto, deve tenersi conto, anzichè del meccanismo generale di adeguamento degli importi dovuti a titolo di danno al potere di acquisto della moneta, del meccanismo legale di rivalutazione triennale delle rendite previsto dall’art. 116, comma 7 citato D.P.R., salva, per la parte non coperta, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT(Cass. 10035 del 2004).

19. che il nono motivo ed il decimo motivo di ricorso, trattati congiuntamente per connessione, sono da respingere;

19.1. che la doglianza articolata con il decimo motivo, esaminata in via prioritaria per il rilievo dirimente collegato all’eventuale accoglimento della stessa, risulta inammissibile in quanto articolata con modalità non conformi alla valida censura della decisione sul punto;

19.2. che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (Cass. 24062 del 2017, Cass. 16655 del 2016, Cass. 15961 de12007);

19.3. che parte ricorrente si è sottratta a tale onere in quanto ha operato un mero rinvio per relationem alle pagine del ricorso in appello nel quale asserisce essere stata sviluppata la questione della misura degli onorari di primo grado e non ha dimostrato, con riferimento ai pertinenti atti di causa, in che modo la condotta processuale di controparte si configurava come di non contestazione;

19.4. che la sentenza impugnata laddove nella determinazione degli onorari di avvocato ha fatto riferimento al criterio del decisum anzichè del disputatum è coerente con la lettura dell’art. 6 della Tariffa forense data dalla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato – in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato, nell’opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall’interpretazione sistematica dell’art. 6, primo e comma 2, della Tariffa per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa e tributaria, contenuta nella Delib. Consiglio nazionale forense 12 giugno 1993, approvata con D.M. n. 5 ottobre 1994, n. 585 del Ministro di grazia e giustizia, avente natura subprimaria regolamentare e quindi soggetta al sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – sulla base del criterio del disputatum (ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione parziale della sentenza), tenendo però conto che, in caso di accoglimento solo in parte della domanda ovvero di parziale accoglimento dell’impugnazione, il giudice deve considerare il contenuto effettivo della sua decisione (criterio del decisum), salvo che la riduzione della somma o del bene attribuito non consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, nel quale caso il giudice, richiestone dalla parte interessata, terrà conto non di meno del disputatum, ove riconosca la fondatezza dell’intera pretesa (Cass. Sez. Un. 19014 del 2007);

19.5. che, venendo in rilievo la questione della liquidazione delle spese di lite a carico della parte soccombente, non pertinenti si rivelano le deduzioni (e relativi richiami giurisprudenziali) formulate dall’odierno ricorrente riferite dalla liquidazione del compenso dovuto dal cliente al difensore;

19.6. che il rigetto del motivo di censura incentrato su una delle due autonome rationes decidendi che sorreggono la statuizione di conferma della misura della liquidazione degli onorari di avvocato liquidati dal giudice di prime cure comporta la inammissibilità (per sopravvenuto difetto di interesse ad impugnare) della censura intesa a contestare la ritenuta genericità della doglianza relativa alla misura degli onorari di avvocato liquidati in primo grado;

20. che l’undicesimo motivo di ricorso inteso a censurare la statuizione di compensazione delle spese di lite di secondo grado è infondato. Premesso, in linea di principio, che, ove, come nel caso di specie, la compensazione sia stata motivata, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, per reciproca soccombenza, la valutazione delle proporzioni di tale soccombenza e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito restano sottratte al sindacato di legittimità (Cass. 30592 del 2017, Cass. 2149 del 2014), si rileva che parte ricorrente chiede la modifica di tale statuizione sulla base di assunto rimasto indimostrato e cioè la inammissibilità dell’appello incidentale della Zattini Group s.r.l. per tardiva costituzione della società nel giudizio di secondo grado instaurato dal B., circostanza questa che, anche ove sussistente, è priva di concreto rilievo in quanto superata dalla considerazione che, come emerge dallo storico di lite della sentenza impugnata, la società aveva, in via autonoma, impugnato la sentenza di primo grado con atto di appello, poi riunito a quello del B., atto del quale non è dedotta neppure astrattamente la tardività;

21. che la eccezione di incostituzionalità è inammissibile in quanto la questione relativa al pagamento del contributo unificato non attiene alla decisione sul diritto controverso ma al rapporto del contribuente con l’erario – che non è parte nel presente giudizio; può, inoltre, soggiungersi che l’asserito vulnus ai principi costituzionali invocati e, in particolare, a quello dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed a quello dell’effettività della tutela giurisdizionale sarebbe, in ipotesi, determinato da una norma non applicabile posto che non è allegato il mancato pagamento del contributo e che la questione potrebbe essere rilevante solamente se il pagamento del contributo unificato costituisca condizione di ammissibilità o di procedibilità della domanda, circostanza neppure allegata dall’odierno ricorrente (v. Corte Cost. ord. 248 del 2011);

22. che in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere interamente rigettato;

23. che non si procede al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

24. che sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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