Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3127 del 10/02/2020

Cassazione civile sez. III, 10/02/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 10/02/2020), n.3127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18628/2018 proposto da:

JK FUND SUISSE SA, in persona dell’amministratore legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G. P. DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA

CONTALDI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO

PORCARI;

– ricorrente –

contro

BNP PARIBAS LEASE GROUP SPA, in persona del procuratore speciale, ING

BANK N. V. in persona delle procuratrici speciali pro tempore, MPS

LEASING E FACTORING BANCA PER I SERVIZI FINANZIARI ALLE IMPRESE SPA

in persona del direttore generale pro tempore, legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA A. GRAMSCI 7,

presso lo studio dell’avvocato MICHELA CONCETTI, rappresentate e

difese dagli avvocati MARZIO REMUS, LUIGI REMUS;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 693/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 17/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/09/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

JK Fund Suisse S.A. (già Impei s.r.l.) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia del 14/3/2018 che, rigettando integralmente il suo appello, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva, a sua volta, rigettato la sua domanda nei confronti di Brescia Ing Lease Italia SpA, Bnp Paribas Lease Group S.p.A. e Mps Leasing & Factoring Banca per i Servizi Finanziari alle Imprese S.p.A. volta alla risoluzione del contratto di leasing per inadempimento delle convenute o per impossibilità sopravvenuta della prestazione, a seguito di incendio che aveva danneggiato l’immobile dato in leasing, rispetto al quale l’attrice aveva sospeso il pagamento dei canoni di locazione. La Corte territoriale, per quel che ancora rileva in questa sede, ha escluso che il rapporto di locazione finanziaria potesse avere una qualche relazione con il contratto di appalto stipulato dalla utilizzatrice con altra società (peraltro controllata), in ragione, oltre che dei principi cardine del leasing traslativo, di quanto dedotto nell’art. 7 del contratto medesimo; quanto alla domanda di restituzione della somma versata dall’attrice a titolo di canoni di pre-locazione, ha escluso che nell’atto introduttivo del giudizio vi fosse alcun riferimento al tema della risoluzione del contratto di locazione finanziaria ai sensi degli artt. 1526 e 1384 c.c., sicchè, non essendovi stato alcun dibattito processuale ed essendo stato il tema introdotto tardivamente (con comparsa conclusionale peraltro rinunciata), andava confermata la statuizione del giudice di prime cure sulla novità e dunque inammissibilità della domanda. Ha dunque rigettato integralmente l’appello, con condanna dell’appellante alle spese del grado.

Avverso la sentenza JK Fund Suisse S.A. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. Resistono Ing Bank NV, Bnp Paribas Lease Group Spa e Mps Leasing 6 Factoring Banca per i Servizi Finanziari alle imprese con controricorso, illustrato da memoria (e deposito di documenti) con il quale sollevano ed illustrano il difetto di legittimazione ad agire della società ricorrente perchè sciolta in data 26/1/2018, prima della notifica del ricorso. La ricorrente deposita ulteriore memoria, illustrativa della legittimazione ad agire del nuovo soggetto Contam Sa sostenendo che, in base all’art. 742 B comma 2 del Codice Obbligazioni Svizzero, la società sciolta non avrebbe avuto alcun obbligo di informare la controparte del cambio di denominazione sociale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A fronte di numerose questioni pregiudiziali sollevate da parte resistente questa Corte ritiene di poter decidere la causa in base alla ragione più liquida dichiarando l’inammissibilità del ricorso per assoluta carenza di una compiuta esposizione dei fatti di causa oltre che per violazione del principio di autosufficienza, secondo quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6.

Si ricorda, in proposito, che, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, esposizione dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti, con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonchè delle argomentazioni esposte dai giudici dei singoli gradi di merito a sostegno della scelta decisoria dagli stessi operata (cfr. Cass., n. 13312 del 2018).

Trattasi di requisito essenziale, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonchè alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (cfr. n. 10072 del 2018).

Nella fattispecie, infatti, la ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777), sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

I requisiti di formazione del ricorso rilevano infatti ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità anche il requisito prescritto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, deve essere invero dal ricorrente comunque rispettato nella redazione del ricorso per cassazione (come da questa Corte ripetutamente affermato: v., da ultimo, Cass., 9/3/2018, n. 5649, nonchè, con particolare con riferimento all’ipotesi dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c., Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978).

2. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, e la società ricorrente condannata alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, del cd. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la società ricorrente a pagare, in favore delle parti resistenti, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10.000 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Terza Civile, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2020

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