Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3127 del 08/02/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 3127 Anno 2018
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: GRASSO GIANLUCA

sul ricorso 1768/2014 proposto da:
ROMITO SALVATORE, rappresentato e difeso in forza di procura
speciale a margine del ricorso dall’avvocato Pietro Gorgoglione,
presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via
Tibullo 10;
– ricorrente contro
POLOMINI ANDREA, GINNETTI GAETANINA, POLOMINI LISA e
POLOMINI CLAUDIA, rappresentati e difesi in forza di procura
speciale in atti dall’avvocato Michele Arcangelo Massari, presso il
cui studio sono elettivamente domiciliati in Roma, via
Marcantonio Colonna 7;
– resistenti avverso la sentenza n. 2546/2013 della Corte d’appello di Milano,
depositata il 19 giugno 2013;

Data pubblicazione: 08/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
30 novembre 2017 dal Consigliere Gianluca Grasso;
vista la memoria scritta depositata dal ricorrente ai sensi
dell’articolo 380 Bis1 c.p.c.

2005 Mario Polomini e Claudia Polomini, cugini di Giancarlo
Vassora, deceduto in data 10 ottobre 2005, convenivano in
giudizio . Salvatore Romito, proclamandosi “unici er’edi legittimi”
del de cuius e dichiarando di disconoscere il testamento olografo
del 15 aprile 1990, pubblicato il 18 ottobre 2005, con il quale
Giancarlo Vassora aveva lasciato a Salvatore Romito, oltre al
“conto in banca per quello che resterà da riscuotere”, anche due
beni immobili, costituiti dalla casa di abitazione in Milano – Piazza
Tirana, n. 6/A, con relativo box, e da altro appartamento sito in
Sartirana Lomellina – Via Buzzoni Nigra, n. 28;
che, costituendosi in giudizio, il convenuto contestava la
fondatezza degli assunti avversari e proponeva istanza di
verificazione al fine di far emergere l’autenticità della scheda
testamentaria;
che, disposta perizia grafologica, il Tribunale di Milano, con
sentenza depositata in data 5 agosto 2011, accertava che il
testamento olografo non era stato redatto e sottoscritto da
Giancarlo Vassora, dichiarando che Mario e Claudia Polomini
erano gli eredi legittimi di Salvatore Romito. Condannava
Salvatore Romito a restituire i beni immobili indicati in atti,
nonché l’importo di euro 232.000,00, oltre al pagamento delle
spese legali e di CTU;
che avverso tale sentenza proponeva appello Salvatore
Romito, deducendo che i fratelli Polomini non avevano mai
formalmente disconosciuto il testamento olografo oggetto di
causa dopo la relativa produzione avvenuta con la memoria
-2-

Ritenuto che con atto di citazione notificato il 22 dicembre

istruttoria 29 marzo 2007, per cui lo stesso doveva intendersi
riconosciuto ai sensi dell’art. 215 c.p.c., dolendosi, in ogni caso,
delle conclusioni raggiunte dal CTU e fatte proprie dal Tribunale;
che si costituivano Claudia Polomini e gli eredi di Mario
Polomini, medio tempore deceduto, insistendo per il rigetto del

che la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il
19 giugno 2013, rigettava il gravame;
che per là cassazione della pronuncia della Corte d’àppello
ricorre Salvatore Romito sulla base di tre motivi;
che Andrea Polomini, Gaetanina Ginnetti, Lisa Polomini e
Claudia Polomini resistono in giudizio con memoria depositata ai
sensi dell’articolo 378 c.p.c.
Considerato che, preliminarmente, va respinta l’eccezione di
inammissibilità del ricorso per passaggio in giudicato della
sentenza della Corte d’appello di Milano, essendo stato il ricorso
notificato presso la cancelleria della Corte d’appello. Alla data di
notifica del ricorso (20 dicembre 2013) non era infatti entrato in
vigore l’articolo 16-sexies del d.l. n. 179 del 2012 convertito con
la legge n. 221 del 2012, come modificato dall’articolo 52,
comma 1, lettera b) del decreto-legge n. 90 del 2014 convertito
con la legge n. 114 del 2014, per cui, in materia di notificazioni al
difensore, a seguito dell’introduzione del “domicilio digitale”,
corrispondente all’indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato
al Consiglio dell’ordine di appartenenza non è più possibile
procedere – ai sensi dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934 – alle
comunicazioni o alle notificazioni presso la cancelleria dell’ufficio
giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario
ha omesso di eleggere il domicilio nel comune in cui ha sede
quest’ultimo, a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra
altresì la circostanza che l’indirizzo di posta elettronica certificata

gravame;

non sia accessibile per cause imputabili al destinatario (Cass. 11
luglio 2017, n. 17048);
che con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e
falsa applicazione di norme di diritto riferita agli artt. 214 e 215
c.p.c. Parte ricorrente evidenzia che i fratelli Polomini non hanno

codice di rito il testamento olografo del 15 aprile 1990. La difesa
degli attuali controricorrenti, infatti, nell’atto di citazione, aveva
avanzato, ai sensi dèll’art. 214 c.p.c., istanza di disconoscimentò
del testamento olografo senza essere in possesso e senza aver
depositato l’originale del documento, né una sua copia. Tale
circostanza era stata evidenziata dal procuratore della parte
convenuta in occasione della comparsa di risposta ma non era
stata valutata dal Tribunale. Il testamento veniva prodotto dallo
stesso convenuto in occasione della memoria istruttoria del 29
marzo 2007 mentre nessun formale disconoscimento sarebbe
mai stato effettuato;
che il motivo è infondato;
che le Sezioni Unite di questa Corte, in caso di contestazione
del testamento olografo, hanno adottato una terza via tra
l’indirizzo favorevole al semplice disconoscimento della scheda
testamentaria ex art. 214 c.p.c. e la tesi della querela di falso,
stabilendo la necessità di proporre un’azione di accertamento
negativo della falsità (Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n.
12307);
che la parte che contesti l’autenticità del testamento
olografo deve pertanto proporre domanda di accertamento
negativo della provenienza della scrittura, e grava su di essa
l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in
tema di accertamento negativo (Cass. 4 gennaio 2017, n. 109);

mai disconosciuto nei modi, nei tempi e nelle forme previste dal

che, pertanto, è sufficiente la contestazione dell’autenticità
del testamento olografo effettuata nell’atto di citazione, così
come disposto nel caso di specie;
che con il secondo motivo di gravame si deduce l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di

critici alla CTU. La Corte d’appello di Milano avrebbe omesso di
esaminare le puntuali contestazioni mosse alla consulenza
d’ufficio e, in particolare, là circostanza che il consulente di parte
avesse concluso la propria perizia sostenendo che la
sottoscrizione apposta in calce al testamento fosse autentica e
che dall’esibizione dei documenti bancari, disposta ex art. 210
c.p.c., fosse emerso che il Vassora avesse deciso di condividere i
suoi beni con Salvatore Romito, cointestando all’odierno
ricorrente una serie di conti correnti e titoli bancari e postali;
che il motivo è inammissibile;
che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54
del d.l. n. 83 del 2012, convertito con la legge n. 134 del 2012,
introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico,
principale o secondario nel cui ambito non è inquadrabile la
censura concernente deficienze argomentative della decisione in
punto di recepimento delle conclusioni della CTU, esigendo,
piuttosto, l’indicazione delle circostanze secondo le quali quel
recepimento, sulla base delle modalità con cui si è svolto, si sia
tradotto nell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di
discussione fra le parti (Cass. 26 luglio 2017, n. 18391);
che gli elementi dedotti dal ricorrente non configurano
l’omesso esame di un fatto decisivo, avendo la corte d’appello
esaminato tutti profili considerati nella relazione del consulente
tecnico, alla luce delle deduzioni del consulente di parte, nelle
pagine da sette a nove della sentenza impugnata e che formano
-5-

discussione tra le parti in relazione all’omesso esame dei rilievi

oggetto di contestazione da parte del ricorrente, il quale
prospetta, in maniera inammissibile – in base al nuovo art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c. – delle conclusioni diverse, alla luce di
quanto affermato dal proprio consulente;
che il profilo riguardante l’esibizione di documenti bancari

all’accertamento dell’autenticità del documento impugnato e
ritenuto apocrifo con valutazione in questa sede insindacabile;
che il ricorrente, invero; mira a una inammissibile
rivalutazione dell’apprezzamento compiuto dal giudice del merito;
che con il terzo motivo di gravame si deduce l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di
discussione tra le parti in relazione all’avvenuta cancellazione
dall’albo dei periti, per motivi disciplinari, della consulente
nominata dal Tribunale. Ad avviso del ricorrente, infatti, dalla
mancanza in capo alla consulente dei requisiti per potere essere
iscritta all’albo dei consulenti presso il Tribunale di Milano o
comunque dei requisiti previsti dalla legge per potere svolgere
l’incarico di consulente tecnico d’ufficio, discenderebbe la nullità,
o quanto meno la scarsa attendibilità, della consulenza svolta;
che il motivo è infondato, non costituendo la deduzione
svolta alcun motivo di invalidità né della consulenza né della
pronuncia resa sulla base della perizia depositata dal consulente
tecnico d’ufficio, la cui vicenda disciplinare – come prospettato
nella memoria dei resistenti – risulta peraltro successiva
all’incarico espletato;
che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo;
che poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione’ del bilancio annuale
-6-

non appare decisivo, facendo riferimento a circostanze esterne

e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha
aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle
spese processuali sostenute dai resistehti, che si liquidano in
complessivi euro 5200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a
spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012,
dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione civile, il 30 novembre 2017.

impugnazione;

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