Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31269 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. un., 29/11/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 29/11/2019), n.31269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19873-2018 proposto da:

IRIS S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo studio

dell’avvocato GUIDO ROMANELLI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCESCO LUPPI;

– ricorrente –

contro

AUTORITA’ DI BACINO LAGHI DI GARDA E IDRO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

APPIA NUOVA 96, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ROLFO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURO BALLERINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 79/2018 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 09/05/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto dei ricorso;

uditi gli avvocati Lorenzo Romanelli per delega dell’avvocato Guido

Romanelli e Paolo Rolfo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Iris S.r.l. ricorre, con atto affidato a otto ordini di motivi, avverso la sentenza n. 79/2018 del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, che – in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla medesima società- aveva riformato la decisione data dal Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Milano n. 693/2017.

Con tale decisione era stata accolta la domanda proposta dall’Autorità di Bacino Laghi di Garda ed Idro nei confronti della suddetta società al fine di sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 244.447,53 a titolo di occupazione abusiva di aree demaniali lacuali per il periodo 2003-2013.

Con la decisione oggi gravata il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in accoglimento, più specificamente, del solo settimo motivo dell’appello innanzi ad esso interposto dalla medesima odierna società ricorrente “dichiarava la durata quinquennale della prescrizione”, riducendo per l’affetto “proporzionalmente l’ammontare della prescrizione”.

Il proposto ricorso è resistito con controricorso dalla predetta Autorità di Bacino.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso si eccepisce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione del combinato disposto del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 187 e 208 e degli artt. 163,164,191 e 194 c.p.c..

Viene, per espressa affermazione della parte ricorrente, impugnata la sentenza “del TSAP con cui è stato rigettato il primo motivo di appello proposto da IRIS s.r.l.”.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si prospetta, ai sensi dell’art. 360, nn. 4 e 3 la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione di legge.

Viene, in sintesi, impugnata la statuizione del TSAP relativa al rigetto della sollevata eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’Autorità.

3.- Il terzo motivo del proposto ricorso prospetta la violazione di norme di legge (in particolare dell’art. 2697 c.c.) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e la nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4.

4.- Il quarto motivo del ricorso, espressamente in richiamo del quarto motivo di appello, è così rubricato: ” art. 360 c.p.c., n. 4; Violazione dell’art. 111 Cost.; Violazione dell’art. 132 c.p.c. motivazione apparente, perplessa e contraddittoria”.

5.- Con il quinto motivo di ricorso, anch’esso richiamante il pregresso quarto motivo di appello, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 822,943 e 2697 c.c.”.

6.- Il sesto motivo del ricorso, nell’ulteriore richiamo al quarto motivo di appello, denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del combinato disposto del artt. 822 e 943 c.c., del R.D. 1 dicembre 1895, n. 726, art. 3 e dell’art. 2697 c.c..

7.- Il settimo motivo di appello prospetta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 111 Cost. e la violazione dell’art. 132 c.p.c. (per) motivazione apparente perplessa e contraddittoria.

8.- L’ottavo motivo del ricorso, rifacendosi all’ottavo motivo di appello, denuncia l’apparenza ed insufficienza della motivazione con conseguente violazione dell’art. 132 c.p.c. e 111 Cost. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

9.- I motivi innanzi doverosamente esposti, ancorchè in estrema sintesi, possono essere trattati congiuntamente.

In primo luogo – e per il complesso dei motivi di ricorso- non può evitarsi di notare come quest’ultimi rinnovano, in buona sostanza e pedissequamente, le medesime doglianze già poste innanzi al Giudice dell’appello con ciò non confrontandosi con l’effettiva ratio della decisione del TSAP e, per di più, in un giudizio – come il presente – che non riveste la natura di ulteriore grado di appello.

Ciò posto deve rilevarsi che la controversia per cui è causa risulta decisa dalla sentenza impugnata con compiuta motivazione e facendo buon governo delle norme di diritto e dei principi ermeneutici applicabili.

L’effettiva ratio della decisione è riposta – in primis – nella esatta ricostruzione delle conseguenze dovute all’operatività del D.M. n. 117 del 1948 quanto ai limiti dell’area demaniale lacuale in rapporto alla quale era stata svolta la domanda giudiziale. Quel decreto aveva già stabilito i confini dell’area demaniale stessa fissandola con riferimento alla quota del lago di Garda in occasione delle piene ordinarie.

Quella quota, col medesimo citato atto normativo, veniva individuata nel livello altimetrico di metri 65,69.

E, per effetto di tale individuazione e determinazione, non vi era e non vi è alcuna diversa possibilità di altra valutazione tecnica influente sulla conseguente determinazione dell’estensione di aree demaniali.

I motivi di ricorso innanzi riportati, non cogliendo – come innanzi già affermato ed evidenziato – la ratio della decisione del TSAP, non adducono argomentazioni tali da poter indurre a far ritenere errato il precedente decisum.

Più specificamente per completezza va – in breve – osservato, con riferimento a ciascuno dei motivi innanzi sintetizzati, nell’ordine quanto segue.

Non ricorre l’indeterminatezza, supposta dalla parte ricorrente, dell’atto introduttivo del giudizio non ricorrendo – come ben evidenziato dalla sentenza per cui è ricorso – assoluta incertezza, tale da comportare, nella corretta applicazione del quadro normativo (artt. 187 T.U. Acque e art. 164 c.p.c., comma 4) e del consolidato orientamento giurisprudenziale (ex plurimis: Cass. n. 11751/2013) applicabili nell’ipotesi, la richiesta declaratoria di nullità.

Neppure ricorre una ipotesi di errata valutazione della censura relativa alla pretesa supposta carenza di legittimazione dell’Autorità di Bacino dei laghi di Garda e Idro. Tanto in quanto proprio il dirimente L.R. Lombardia n. 6 del 2012, art. 48 ha, con la trasformazione dell’originario Consorzio dei Comuni della sponda bresciana del lago di Garda e Idro, attribuito all’Autorità controricorrente l’esercizio delle funzioni di legge nella materia del demanio lacuale de quo.

Non sussiste errore per violazione dell’art. 2697 c.c. e nullità della sentenza per cui è ricorso per effetto di ammissione di mezzi istruttori (nella specie CTU) resisi necessari all’esito della contestazione della consistenza dell’area demaniale occupata.

Peraltro rientrava nei poteri del Giudice del merito la valutazione sia della necessarietà dell’espletamento istruttorio de quo, che delle risultanze dallo stesso emergenti e le doglianze relative al punto appaiono di genere inerente squisitamente il merito.

In tale ottica risultano del tutto inammissibili le censure, del tutto apodittiche, relative al carattere “apparente, perplesso e contraddittorio” della motivazione della sentenza per cui è ricorso e che, viceversa, risulta assolutamente sufficiente, logica e non perplessa.

Le stesse censure svolte con riferimento alla pretesa violazione degli artt. 823, 943 e 2697 sono parimenti non ammissibili in quanto svolte strumentalmente attraverso l’evocazione di una pretesa violazione di legge, ma sostanzialmente finalizzate ad una rivalutazione di tipo meritale delle conclusioni argomentatamente fatte dai Giudici del merito.

Infondata è la doglianza relativa al procedimento logico-giuridico attraverso cui il Giudice del merito è pervenuto alla delimitazione dell’alveo lacuale ed alla consequenziale determinazione dell’area occupata.

Al riguardo non può che richiamarsi quanto già innanzi già esposto in orine alla decisiva ratio conseguente al carattere non derogabile del contenuto normativo di cui al succitato decreto n. 1170/1948.

Inammissibili sono, infine e per lo stesso ordine di ragione innanzi già esposto, le doglianze di violazione dell’art. 132 c.p.c. ed 11 Cost. per supposta motivazione “apparente, perplessa e contraddittoria” di cui ai due ultimi motivi del ricorso.

10.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso deve essere rigettato.

11.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

12.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, se dovuto, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore di quella controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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