Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31252 del 29/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 29/11/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 29/11/2019), n.31252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25060/13 R.G. proposto da:

COSTRUIRE S.R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentata

e difesa, per delega in calce al ricorso, dagli avv.ti Angela Roveda

e Antonio Michele Caporale, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo, in Roma, alla via Sardegna, n. 38;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia n. 72/12/13 depositata in data 26 marzo 2013

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24 settembre

2019 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

Fatto

RILEVATO

che:

Con distinti avvisi di accertamento l’Agenzia delle Entrate rilevava, in relazione agli anni d’imposta 2005 e 2006, un maggior reddito d’impresa della Costruire s.r.l., società a ristretta base azionaria, nonchè maggior reddito dei soci P.G. e C.P., avendo riscontrato, all’esito delle dichiarazioni rese da clienti della stessa società, che questi ultimi avevano acquistato gli immobili ad un costo maggiore rispetto a quello dichiarato nell’atto notarile di compravendita.

Proposta opposizione avverso i suddetti avvisi di accertamento da parte della società e dei soci, la Commissione tributaria provinciale, riuniti i ricorsi, li rigettava, ritenendo congruamente motivati e fondati gli accertamenti.

In esito all’appello della società e dei soci, nel corso del procedimento l’Ufficio depositava comunicazioni con le quali dava atto dell’avvenuta definizione della lite pendente da parte dei soci, ai sensi del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12.

La Commissione regionale della Lombardia dichiarava cessata la materia del contendere con riguardo ai soci e confermava la sentenza impugnata nei confronti della società.

Rilevava che la verifica della Guardia di Finanza, risultante dal processo verbale di constatazione richiamato negli avvisi di accertamento ampiamente motivati, aveva fatto emergere che tutti gli acquirenti avevano corrisposto un prezzo maggiore di quello dichiarato e fatturato dalla società e che il pagamento era stato effettuato in parte con assegni circolari o bancari ed in parte in contanti; aggiungeva che dall’anagrafe tributaria risultava pure che gli acquirenti avevano richiesto ed ottenuto un mutuo, per l’acquisto degli immobili, maggiore del prezzo dichiarato nell’atto di compravendita e che le dichiarazioni orali rese dagli acquirenti avevano valore indiziario e consentivano di ricavare elementi presuntivi, a norma dell’art. 2729 c.c., utilizzabili ai fini della decisione.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società Costruire s.r.l., sulla base di quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la contribuente, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c. in relazione al difetto di motivazione degli avvisi impugnati, sostiene che la motivazione della decisione impugnata è soltanto “apparente”, perchè inidonea a supportare ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità della ratio decidendi sottesa al provvedimento, essendosi la Commissione regionale limitata a sostenere che gli avvisi sarebbero “ampi e motivati”, senza considerare la censura svolta circa la mancata allegazione dei processi verbali di constatazione redatti nei confronti dei terzi e senza spiegare le ragioni per cui tale mancata allegazione non inficierebbe la motivazione degli atti impugnati.

1.1. La censura è infondata e va rigettata.

1.2. Va rammentato che il vizio di motivazione apparente della sentenza ricorre quando il giudice, in violazione dell’obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), ossia dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, omette di esporre i motivi in fatto e diritto della decisione, o comunque di illustrare l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia correttamente giudicato iuxta alligata et probata.

1.3. Questa Corte ha precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, nn. 16599 del 5/8/2016 e 22232 del 03/11/2016; Cass. n. 7667 del 24/3/2017).

1.4. Ne discende che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, ossia quelle per le quali la motivazione non consente di comprendere le ragioni poste a fondamento del decisum.

1.5. Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la Commissione regionale, sia pure con motivazione estremamente sintetica, ha spiegato, con riguardo alVeccepito difetto di motivazione degli atti impositivi, che questi sono congruamente motivati perchè richiamano il processo verbale di constatazione dal quale si evincono le circostanze di fatto – espressamente richiamate – su cui poggia la verifica e da cui scaturisce la pretesa fiscale.

Trattasi di motivazione che esplicita le ragioni della decisione e che estrinseca il percorso argomentativo che ha indotto i giudici di appello al loro convinciento e che consente, pertanto, di comprendere a quali elementi presuntivi sia stata riconosciuta valenza, sicchè i profili di genericità ed apoditticità della motivazione, censurati con il mezzo in esame, non viziano tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente e da escludere l’idoneità della stessa ad assolvere alla funzione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

2. Con il secondo motivo, la contribuente censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione della L. 241 del 1990, art. 3, comma 2, della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno affermato che l’Ufficio ha assolto l’obbligo di motivazione a suo carico.

Pur non disconoscendo che, con riferimento agli atti della Pubblica Amministrazione, sia pacificamente ammessa la motivazione per relationem, mediante rinvio ad elementi presupposti contenuti in altri atti, contesta che, nel caso di specie, agli atti impugnati non sono stati allegati i processi verbali di constatazione contenenti le dichiarazioni rese dai terzi acquirenti degli immobili, che sono stati prodotti dall’Amministrazione finanziaria solo al momento della costituzione nel giudizio di primo grado.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Questa Corte è ferma nel ritenere che “nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (Cass. n. 6914 del 25/3/2011; Cass. n. 13110 del 25/7/2012; Cass. n. 9032 del 15/4/2013; Cass. n. 9323 del 11/4/2017; Cass. n. 21066 del 11/9/2017).

2.3. L’avviso di accertamento deve, pertanto, ritenersi correttamente motivato – anche nel regime di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 – ove esso faccia riferimento ad un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria non è affatto tenuta ad includere nell’avviso di accertamento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, nè a riportarne, sia pure sinteticamente, il contenuto (Cass. n. 6232 del 18/4/2003; Cass. n. 7360 del 31/3/2011).

2.4. Questa Corte non ignora che, secondo un orientamento giurisprudenziale di segno maggiormente restrittivo (Cass. 17 ottobre 2014, n. 22003), la motivazione dell’avviso di accertamento assolve ad una pluralità di funzioni, che garantisce il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, per cui, sebbene vada escluso ogni formalismo nell’indicazione delle norme di diritto violate, quando sono chiaramente desumibili, e di tutti gli elementi di prova, eventualmente integrabili in sede di giudizio purchè siano stati indicati gli elementi di fatto e istruttori del procedimento, è comunque necessaria la presenza nell’avviso di accertamento e di rettifica degli elementi identificativi del petitum e della causa petendi e, quindi, una chiara ricostruzione di tutti gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, in modo da rispettare, da un lato, il principio costituzionale di buona amministrazione e, dall’altro, di consentire una adeguata e piena difesa in giudizio (Cass. 21 novembre 2018, n. 30039).

2.5. Tuttavia, quanto alla dedotta omessa allegazione agli atti impositivi dei processi verbali di constatazione redatti nei confronti dei singoli acquirenti, occorre ribadire che ” in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perchè ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. n. 26683 del 18/12/2009; Cass. n. 22118 del 29/10/2010; Cass. n. 7654 del 16/5/2012; Cass. 24417 del 5/10/2018).

2.6. Nella specie, dalla motivazione degli avvisi di accertamento, allegati al ricorso per cassazione, si evince che essi richiamano il contenuto dei processi verbali redatti nei confronti dei singoli acquirenti degli immobili oggetto di compravendita, nei quali erano stati evidenziati gli importi dichiarati negli atti di compravendita e i prezzi realmente corrisposti, ossia gli elementi necessari ai fini di una adeguata motivazione dell’atto impositivo e della sua piena comprensibilità per il contribuente ai fini dell’impugnazione.

Di conseguenza, in difetto di prova, non offerta dal contribuente, che almeno una parte del contenuto del processo verbale redatto nei confronti dei singoli acquirenti fosse necessaria ad integrare la motivazione degli atti impositivi emessi a suo carico, deve ritenersi che ogni ulteriore allegazione avrebbe potuto essere utilizzata dall’Ufficio eventualmente ai fini probatori, ma non ai fini motivazionali, in relazione ai quali l’onere risulta pienamente assolto.

La sentenza impugnata va dunque esente dalle censure ad essa rivolte.

3. Con il terzo motivo, rubricato: omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e/o omessa motivazione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, in relazione alla domanda di rideterminazione degli imponibili, la ricorrente ribadisce di avere evidenziato al giudice di appello l’erroneità della decisione di primo grado che non aveva rilevato gli errori logici e di calcolo commessi dai verificatori e confermati dall’Agenzia delle Entrate nell’attività di accertamento, atteso che era stata posta a base della ripresa la differenza tra il c.d. “importo reale” (somma complessiva che i clienti avevano dichiarato di avere sostenuto per l’acquisto degli immobili) e “l’importo dichiarato”, ma era stato incluso nel secondo termine di confronto il solo imponibile delle cessioni senza tenere conto dell’I.V.A. (evidenziata nei rogiti notarili) e degli addebiti fatturati separatamente ai clienti per gli allacciamenti alle reti delle utilities.

Trascrivendo il motivo di appello, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso, lamenta, quindi, che la Commissione regionale su tale domanda non si è pronunciata o, comunque, ha omesso di motivare l’eventuale rigetto implicito.

3.1. Anche tale censura è infondata.

3.2. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 29191 del 6/12/2017; Cass. n. 20718 del 13/8/2018).

I giudici regionali, respingendo l’appello della contribuente, hanno implicitamente ritenuto legittimo l’accertamento effettuato ed insussistente la doglianza fatta valere dalla contribuente con il motivo di gravame richiamato.

3.3. Peraltro, neppure si ravvisa il dedotto vizio motivazionale, poichè la censura non concerne l’omesso esame di un fatto storico, da intendersi principale o secondario, bensì la valutazione di deduzioni difensive, non inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014; Cass. n. 14802 del 14/6/2017).

4. Con il quarto motivo, la società contribuente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c. e censura la decisione nel passaggio motivazionale in cui si legge: “E’ ulteriormente il caso di rilevare che tali circostanze emergono dai documenti trasmessi alla società interessata, dal processo verbale di constatazione agli avvisi di accertamento, e sono stati oggetto di verifiche in contraddittorio”.

Si duole, in particolare, della incomprensibilità dell’iter logico che ha condotto i giudici di merito alla decisione, poichè non sarebbe possibile individuare i “documenti trasmessi alla società” dai quali i giudici avrebbero tratto il proprio convincimento.

4.1. La censura è infondata, perchè la motivazione della sentenza impugnata, come già evidenziato al p. 1.5., non integra una ipotesi di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa o obiettivamente incomprensibile”, così come denunciato nella censura de qua, posto che è dato comprendere dall’esame complessivo della motivazione quale documentazione la Commissione regionale ha esaminato (processo verbale di contestazione ed avvisi di accertamento) e la valenza probatoria ad essa attribuita e che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, dovendosi escludere qualsiasi rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7/4/2014).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019

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