Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 31252 del 04/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 04/12/2018, (ud. 19/07/2018, dep. 04/12/2018), n.31252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28741-2016 proposto da:

C.A., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte

di cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO

ANTONIO CASSIANO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

T.A.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 916/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 03/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/07/2018 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

T.A.G. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale, su richiesta di C.A., gli era stato ingiunto il pagamento della somma dovuta quale compenso per l’attività professionale svolta dal ricorrente a seguito di incarico conferito dall’ingiunto nella qualità di “capofila responsabile”.

A sostegno dell’opposizione deduceva di non poter essere chiamato a rispondere delle obbligazioni assunte dalle aziende aderenti al PIF (programma integrato di filiera), aggiungendo che quale responsabile del piano si era limitato a svolgere, come previsto dalla legislazione regionale della Calabria, il ruolo di interlocutore con la Regione nella complessa procedura destinata al conseguimento del finanziamento pubblico.

Contestava altresì l’ammontare della somma ingiunta.

Nella resistenza dell’opposto, ed all’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Rossano Calabro con la sentenza n. 21/2011 riteneva che il responsabile del piano era referente anche per le attività negoziali e per i successivi adempimenti tecnico amministrativi, e che dalla prova assunta emergeva incontestabilmente l’avvenuto conferimento dell’incarico da parte proprio dell’opponente che era quindi tenuto a risponderne.

A seguito di appello del T., la Corte d’Appello di Catanzaro con la sentenza n. 916 del 3 giugno 2016, in riforma della decisione di prime cure, revocava il decreto ingiuntivo, compensando le spese del doppio grado.

In tal senso rilevava che sin dal ricorso monitorio la pretesa responsabilità del T. era fatta risalire alla sua qualità di responsabile del PIF, il che rendeva evidente che lo stesso non aveva contratto nel proprio interesse ma a favore del raggruppamento di imprese.

Si trattava quindi di un fenomeno riconducibile all’istituto della rappresentanza, e specificamente a quello della rappresentanza diretta, avendo appunto l’appellante speso la qualità di rappresentante del partenariato di imprese.

A prescindere dalla natura giuridica del raggruppamento di imprese, delle obbligazioni contratte in suo nome e per suo conto di certo non poteva rispondere il T., non potendosi nemmeno ipotizzare una ipotesi di cd. rappresentanza gestoria, nè apparendo idonea a configurare una sua responsabilità contrattuale la circostanza che tra le aziende inserite nel PIF ve ne erano alcune appartenenti ai congiunti dell’opponente.

In definitiva la qualità di responsabile del piano incideva solo nei rapporti con la PA, atteso che la Delibera Regionale, che contempla tale figura, evidenzia che la finalità della sua nomina è quella di assicurare alla Regione un unico referente per il procedimento amministrativo e negoziale e per lo svolgimento del corretto iter procedimentale.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso C.A. sulla base di due motivi.

L’intimato non ha svolto difese in questa fase.

Il primo motivo di ricorso denunzia l’omessa ed erronea valutazione di un punto decisivo per la controversia ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, assumendosi che la Corte distrettuale non avrebbe considerato la circostanza pacifica del conferimento dell’incarico da parte del T. a titolo personale, come confermato dal fatto che tutta l’attività di progettazione venne seguita personalmente dall’intimato che corrispose altresì gli emolumenti per le residue e pregresse prestazioni professionali. Inoltre la disciplina regionale spiega efficacia meramente interna tra le imprese partners e non può vincolare un terzo quale appunto il ricorrente.

Il secondo motivo denunzia la violazione e/o falsa o omessa applicazione degli artt. 2230-2232 c.c. occorrendo ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la nozione di cliente deve reputarsi estesa a chiunque abbia richiesto le prestazioni al professionista, a nulla rilevando che non sia anche titolare dell’interesse che la prestazione mira a soddisfare.

I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati e devono essere pertanto rigettati.

Nella sostanza, appare al Collegio che le censure mirino a sollecitare una diversa ricostruzione in fatto difforme da quella operata in maniera non sindacabile dal giudice di merito.

Ed, infatti, la sentenza impugnata, avvalendosi delle prerogative del giudice di merito circa la valutazione in fatto della controversia, ha ritenuto che in realtà il T. aveva sì conferito un incarico al ricorrente, ma agendo quale rappresentante dell’associazione di imprese, e quindi contraendo in nome e per conto della stessa, come peraltro emergeva dalla stessa prospettazione dei fatti contenuta nel ricorso monitorio.

Da tale accertamento in fatto scaturiva la conseguenza giuridica che il rappresentante non poteva rispondere in proprio delle obbligazioni scaturenti dal contratto concluso, dovendo quindi il creditore rivolgere le proprie istanze al soggetto rappresentato.

Trattandosi quindi di un fenomeno di rappresentanza diretta, è del tutto compatibile con la conclusione del giudice di merito l’ulteriore circostanza che il T. abbia seguito il corso dell’attività di progettazione ed abbia corrisposto degli emolumenti, trattandosi di attività pienamente compatibili con la veste di procurator del raggruppamento di imprese.

Peraltro la spendita della qualità di responsabile del PIF, alla quale fa riferimento lo stesso ricorrente nella domanda introduttiva, rende evidente che il T. abbia speso tale sua qualità anche nei rapporti con il C., venendo quindi sconfessata l’affermazione secondo cui le imprese partners erano rimaste del tutto estranee al rapporto, contrastando tale affermazione proprio con il dato oggettivo del riferirsi al T. quale responsabile.

La sentenza ha poi dato ampiamente conto dell’irrilevanza dei rapporti familiari tra l’opponente ed alcuni titolari delle imprese interessate a ricevere il finanziamento.

Quanto invece alla dedotta violazione di legge, la sua infondatezza si palesa in considerazione della configurazione giuridica del rapporto fornita dalla sentenza gravata che ha fatto appunto riferimento ad un’ipotesi di rappresentanza diretta, laddove i precedenti richiamati dal ricorrente al fine di giustificare l’attribuzione della qualità di cliente all’intimato, appaiono riferibili ad ipotesi in cui colui che ha conferito l’incarico non ha speso il nome del rappresentato, e cioè del soggetto titolare dell’interesse che le prestazioni professionali commesse mirano a soddisfare.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla per le spese atteso che l’intimato non ha svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2018

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